▼ Maltrattata per “fatto culturale”? Gli avvocati: no a processi fuori dai tribunali

"Inammissibile ogni intervento della funzione politica volto a cavalcare reazioni emotive legate ai fatti di cronaca, a promuovere campagne di opinione e a imporre condizionamenti alla celebrazione del giudizio penale, soprattutto, come è avvenuto nel caso di specie, con una totale mancanza di approfondimento rispetto ai primi titoli sensazionalistici fondati su notizie parziali"

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Foto generica da Pixabay

Continua a far discutere il caso della richiesta di assoluzione avanzata da un pm bresciano nei confronti di un uomo del Bangladesh perché i maltrattamenti verso la moglie non sarebbero conseguenza di una determinata volontà ma di un “fatto culturale”.

Le prese di distanze sono state numerose: dal ministro della Giustizia al procuratore capo di Brescia, passando per richieste di ispezioni e provvedimenti da parte della politica. Ma c’è anche chi si è schierato in difesa del pm, come l’Anm di Brescia, che ha parlato di gogna mediatica. Ora – se pure con una posizione più sfumata – in difesa del pm si schiera anche la Camera penale di Brescia.

In una nota, infatti, gli avvocati affermano che “l’inviolabile diritto di difesa dell’imputato non può e non deve in alcun modo incontrare ostacoli o limitazioni: influenze estranee al meccanismo processuale rappresentano pericolosi fattori in grado di pregiudicare la serena valutazione del giudice, il cui convincimento deve formarsi libero, incondizionato, scevro da influenze ovvero da preconcetti, pressioni o influssi esterni”. E ancora sottolineano che “la ricostruzione di fatti e responsabilità deve avvenire attraverso le prove assunte a processo e che la decisione del giudice deve basarsi solo su queste”.

Quindi la Camera penale spiega che l’opinione pubblica e i media non possono “assumere atteggiamenti denigratori e lesivi delle figure coinvolte, siano esse imputati, persone offese, giudici, pubblici ministeri o avvocati”. E bollano come “inammissibile ogni intervento della funzione politica volto a cavalcare reazioni emotive legate ai fatti di cronaca, a promuovere campagne di opinione e a imporre condizionamenti alla celebrazione del giudizio penale, soprattutto, come è avvenuto nel caso di specie, con una totale mancanza di approfondimento rispetto ai primi titoli sensazionalistici fondati su notizie parziali. A riprova – si aggiunge – che l’unico luogo in cui il processo si deve svolgere e in cui i fatti si possono conoscere pienamente è l’aula di tribunale, non il mezzo mediatico”.

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