E’ sempre più al centro dell’attenzione mediatica il caso del pm che ha chiesto di assolvere un uomo originario del Bangladesh dall’accusa di maltrattamenti verso la moglie perché le sue azioni sarebbero state espressione della sua cultura d’origine e non di una determinata volontà di sottomettere la donna.
Il pm, come noto, aveva motivato la sua richiesta con il fatto che “i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura, che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”.
Dopo le richieste di ispezioni, la condanna del ministro e la presa di distanza della Procura generale di Brescia, il consigliere laico del Csm Enrico Aimi, presidente della Prima Commissione, ha chiesto di aprire una pratica nei confronti del magistrato “per la gravità delle asserzioni del pm che parrebbe giustificare, se non autorizzare, la violenza domestica”.
Di parere opposto l’Anm di Brescia, che ha difeso il magistrato. “Nonostante il tenore letterale della formula assolutoria richiesta e dell’argomentazione correlata ad essa sottesa – si legge – dalla lettura completa dell’atto in questione emerge che a fondamento della domanda di assoluzione il sostituto procuratore ha addotto principalmente la mancanza di prova del fatto tipico, e in particolare dell’abitualità della condotta, requisito previsto dalla legge perché il reato di maltrattamenti si configuri”. Quindi l’associazione afferma che “con queste modalità è stata gravemente minata innanzitutto la dignità umana e professionale del singolo magistrato coinvolto – di cui sono state offerte alla gogna mediatica generalità e immagine fotografica – e la cui cifra personale, culturale e professionale è stata indebitamente messa in discussione. Le critiche rivolte al singolo magistrato si propagano al suo ufficio giudiziario di appartenenza e alla magistratura in generale”.