Regione, Piano cave di Brescia al vaglio della commissione, il Pd: disastro annunciato

Concretamente parliamo di 39 bacini estrattivi, per un fabbisogno decennale di sabbia e ghiaia confermato a 42.919.000 metri cubi, che salgono 51,8 milioni con quelli provenienti da fonti alternative.

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Miriam Cominelli in consiglio regionale, foto da ufficio stampa

Arriva in Regione il Piano Cave varato dalla Provincia di Brescia non senza polemiche.

La Sesta commissione Ambiente del Pirellone – dopo l’ok della giunta regionale arrivato a ottobre dello scorso anno – si riunirà fino a ottobre per discutere del piano licenziato dal Broletto su impulso dell’allora presidente Samuele Alghisi (Pd) e del suo vice Guido Galperti (Iv) nonostante la dura contestazione di ampia parte del Partito Democratico (da Gianantonio Girelli a diversi circoli territoriali).

Concretamente parliamo di 39 bacini estrattivi, per un fabbisogno decennale di sabbia e ghiaia confermato a 42.919.000 metri cubi, che salgono 51,8 milioni con quelli provenienti da fonti alternative.

Nell’occasione la commissione ascolterà tutti i soggetti coinvolti Provincia, Confindustria, Ance e Associazione nazionale Estrattori Produttori Lapidei e Affini. Il fronte industriale chiede di confermare i volumi, già ritenuti scarsi rispetto alle esigenze. Ma in molti avanzano la richiesta opposta. Tra questi il consigliere comunale dem (ed ex assessore all’Ambiente di Palazzo Loggia), secondo cui il piano i volumi non sono giustificati perché sono “avanzati la metà dei 70 milioni di mc previsti in quello precedente” e – adottando criteri di calcolo coerenti con quelli previsti dalla normativa “il nostro fabbisogno da quasi 43 sarebbe passato a circa 20 milioni di mc”. “Siamo di fronte a un disastro annunciato”, conclude Cominelli nella nota che riportiamo di seguito.

IL COMUNICATO DI COMINELLI

Il Piano Cave di Brescia, ri-approdato il 21 giugno 2023 in discussione nella VI Commissione (Ambiente) del Consiglio Regionale, dopo un primo avvio dell’iter nella scorsa legislatura, ormai scaduto, regolamenterà le attività estrattive per il decennio 2022-2032.
A partire da mercoledì 6 settembre e fino a metà ottobre, la VI Commissione ascolterà i portatori di interesse del settore, a partire da Provincia di Brescia, Confindustria, Ance e Associazione nazionale Estrattori Produttori Lapidei e Affini (Anepla).
Le forze politiche di minoranza hanno concertato l’invito anche di associazioni e comitati di cittadini, perché è necessario portare alla luce tutte le lacune e le problematicità di un Piano inutilmente sovradimensionato e concettualmente già vecchio.
Il consumo di suolo collegato all’attività estrattiva è tema delicato per una Regione già tristemente prima in Italia su questo tema.
Purtroppo, anche quello attualmente in discussione è un Piano che eccede nei volumi da autorizzare: quasi 43 milioni di mc, nonostante siano avanzati la metà dei 70 milioni di mc previsti in quello precedente.
La stima del fabbisogno, stando alla normativa di settore, dovrebbe essere “prudenziale” e il calcolo per il piano cave di Brescia è stato effettuato sulla base della DGR 11347/2010, che prescrive l’osservazione dell’utilizzo di inerti sul decennio precedente.
Tuttavia, il periodo scelto dalla Provincia come riferimento è il decennio 2008-2017, considerato come rappresentativo dell’attuale situazione del mercato degli inerti per i settori in oggetto. Questa valutazione è arbitraria ed è poco rappresentativa della realistica situazione: il triennio 2008-2010, infatti, non risentiva ancora in maniera strutturale della crisi dell’edilizia, scoppiata in quel periodo e i cui effetti strutturali sono emersi solo negli anni successivi.
Inoltre, essendo il Piano stato approvato dalla Provincia nel luglio del 2021, il “decennio precedente” (come indicato dalla DGR 11347/2010) dovrebbe essere il periodo 2011-2020, che è peraltro molto più realistico e rappresentativo dell’attuale situazione rispetto al decennio 2008-2017. A differenza di quanto accaduto per Brescia, nei piani (già approvati dal consiglio Regionale) di Mantova e Milano, si è utilizzato un valore mediano per calcolare i fabbisogni e non un valore di picco.
Per esempio, se Brescia avesse usato la stessa modalità applicata a Mantova, il nostro fabbisogno da quasi 43 sarebbe passato a circa 20 milioni di mc.
C’è poi anche una questione di inattualità normativa. L’8 novembre 2021 il Consiglio Regionale ha approvato la nuova legge sulla “Disciplina della coltivazione sostenibile di sostanze minerali di cava”, superando quindi la precedente che risaliva all’8 agosto 1998. In base alle disposizioni transitorie e finali della nuova legge (art. 28, c. 5), i Piani Cave adottati dai consigli provinciali prima dell’entrata in vigore sono sottoposti all’iter di approvazione e alla disciplina secondo la vecchia norma del 1998.
Questo Piano nasce quindi già vecchio, licenziato dalla Provincia quattro mesi prima dell’attuale legge, ma continuerà a condizionare e limitare la pianificazione urbanistica dei comuni.
Infatti anche la legge del 2021 conferma la vecchia disciplina: “le previsioni del Pae (Piano delle attività estrattive) prevalgono sulle previsioni degli strumenti urbanistici locali e sono immediatamente efficaci e vincolanti.”
I Comuni possono solo “controllare e convenzionare” e, se ritengono di non firmare la convenzione collegata all’autorizzazione provinciale, questa viene comunque rilasciata d’ufficio dalla Provincia.
Infine, l’iter regionale di istruttoria, avviato nell’autunno del 2021, ha portato alla modifica di alcune parti del Piano adottato dalla Provincia. Ciò senza portare a una diminuzione dei volumi, bensì a un aumento delle superfici (per oltre 500 mila mq).
E’ evidente che ci troviamo davanti a un disastro annunciato, che non farà altro che segnare ulteriormente il nostro territorio, già pesantemente colpito dall’attività estrattiva, senza portare alcun beneficio nemmeno da un punto di vista economico, nella più totale indifferenza da parte di chi dovrebbe tutelare il benessere e la qualità della vita dei cittadini.


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