Per avere i dati ufficiali e completi del Pd bisognerà attendere ancora qualche giorno, quando la complicata elaborazione del saldo fra cessazioni e rinnovi all’ultimo sarà completa. Ma nel frattempo dal voto sembrano emergere alcuni elementi di tendenza su cui ragionare (rimandiamo chi volesse una fotografia più completa sui dem bresciani a questo articolo).
Il primo, comunque andrà a finire il conteggio, è che in città Roberto Cammarata ha ottenuto un’affluenza dimezzata rispetto a quella di Zanardi al provinciale. Un fattore che – stando alle prime analisi – non si spiegherebbe con il venir meno all’atto pratico dell’appoggio di qualche capocorrente all’ex presidente del Consiglio comunale (a sostenerlo in prima battuta sono stati Emilio Del Bono, Pierangelo Ferrari e Claudio Bragaglio, ma Girelli e Bazoli non si sono tirati indietro e quella di Cammarata è una figura che sembra mettere d’accordo quasi tutti), ma con la situazione peculiare di difficolta di alcune sezioni cittadine e con l’elevato numero di iscritti solo online del Capoluogo che non si sarebbero espressi. Basta questo a spiegare quanto accaduto? E’ difficile trovare una spiegazione logica alla dinamica del capoluogo.
Di certo, se ci si ferma ai numeri attuali, Cammarata è stato eletto con una partecipazione al 24%, mentre Zanardi con circa il 49 per cento (per il segretario provinciale uscente era importante dare un segnale sul fronte dell’affluenza portando al voto almeno una metà del partito circa, obiettivo centrato se pur con un centinaio di voti mancanti rispetto a Roggiani).
L’altro dato su cui riflettere è quello dell’affluenza complessiva. Guardando i dati per provincia relativi all’elezione a segretario regionale di Silvia Roggiani (che, come detto, ha avuto una partecipazione leggermente maggiore rispetto a quella di Zanardi), infatti, Brescia risulta l’ultima provincia lombarda per percentuale di partecipanti al voto rispetto agli iscritti.
I tesserati censiti dal regionale, infatti, sarebbero 3.350 (il dato finale potrebbe oscillare tra i 3.200 e i 3.500 ma, come detto, i numeri giusti arriveranno solo tra qualche giorno). A Brescia l’affluenza sarebbe stata del 52,7%, il dato peggiore della Lombardia. A Bergamo, infatti, è stata del 59,6 per cento, a Cremona del 57,6, a Mantova del 56,7, a Milano del 65,8 e a Varese (terra di cui è originaria Roggiani) addirittura del 87,5. Come si spiega? Probabilmente con il fatto che in alcune province non si era alle prese con candidati unici su tutti i livelli: una circostanza che denota una certa unità di fondo del partito bresciano (se pure i malpancisti non manchio), ma che si è rivelata penalizzante nel motivare gli elettori a presentarsi ai seggi in una assolata giornata di settembre. Ma non in tutte i candidati erano più d’uno e Brescia rimane comunque il fanalino di coda. La spiegazione più convincente, al momento, appare quella del drastico calo dei votanti in città, che da sola vale circa un quinto dei tesserati bresciani: se nel capoluogo avesse votato il 50% degli aventi diritto, infatti, la media complessiva della provincia sarebbe arrivata a quella delle altre province limitrofe…