▼ Intrappolata nella grotta per 48 ore: il racconto di Ottavia tra dolore e riconoscenza

La speleologa 31enne di Adro ha deciso di raccontare quanto le è accaduto con una lettera pubblicata sulla pagina Progetto Sebino

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Ottavia , la speleologa intrappolata nella grotta

Circa 48 ore intrappolata in una grotta, a 150 metri di profondità, con una ferita in una gamba. E’ senza dubbio una disavventura che non capita a molti – anche se la vicenda si è conclusa nel migliore dei modi possibili – quella capitata alla speleologa bresciana Ottavia Piana a inizio luglio.

La macchina dei soccorsi è stata imponente e la 31enne di Adro è stata poi portata in salvo. Ottavia ha deciso di raccontare quanto le è accaduto con una lettera pubblicata sulla pagina Progetto Sebino. Lo riportiamo di seguito.

IL RACCONTO DI OTTAVIA PIANA

Partecipanti PS: Nicola B. Gianluca P. (anche Speleo CAI Lovere)

Partecipanti gruppi esterni: Alessandro M. Ottavia P. (Speleo CAI Lovere)

Obiettivo: Risalita e disostruzione a Spalmer, ovvero quella volta in cui Ottavia si ruppe la gamba e l’intervento del CNSAS non fu un’esercitazione

L’appuntamento alle 8.30 per quella che si prospetta una giornata tranquilla e dal risultato quasi assicurato, ricetta incredibile per le esplorazioni con Gianluca, infatti l’ho organizzata io. Vogliamo andare a Spalmer, un paio di mesi prima ci sono stata con Corrado per una ricognizione: ho visto una risalita troppo invitante: 7-8 m di colata enorme con un cospicuo arrivo d’acqua; Gianluca invece è allettato dai racconti di Claudio, poco prima di scendere nel salone della risalita c’è una deviazione per una disostruzione semplice e molto promettente. La zona era stata vista con le esplorazioni dei primi anni, quando c’era in giro molto di comodo e allettante per cui è comprensibile che risalite e disostruzioni seppur semplici, siano rimaste ai posteri.

Scendiamo mediamente carichi: Fonteno Beach, le Fate, Sempre Dritto, Sifonik e nel salone prima che restringa prendiamo la corda per Spalmer, un po’ di cunicolo fossile tutto sommato agevole e scendiamo in una forra dove si trova l’arrivo d’acqua; in due ore o poco più siamo in zona di lavoro. Gianluca quando vede la risalita quasi non vuole più disostruire, anche Alessandro apprezza che per una volta non siamo immersi nel fango e che il tratto da gattonare sia stato molto breve.

Gianluca ed Ale ritornano poco indietro per la disostruzione, ma dovranno cambiare piani: per raggiungere la zona di lavoro c’è un pericoloso traverso con attacchi in alluminio e addirittura qualche rinvio, non l’avevamo previsto e non siamo attrezzati a sufficienza per riarmare anche lì, per cui si dedicano ad “addolcire” il cunicolo di arrivo.

Intanto io inizio la risalita con Nicola che mi fa sicura; piano piano, buono buono arrivo in cima ma è solo un terrazzino, mancano ancora 4-5 m per arrivare a quello che sembra un meandro non larghissimo ma transitabile.

Nicola mi raggiunge e mi fa sicura sul terrazzino; nel frattempo ci raggiungono anche Alessandro e Gianluca. Pianto tre chiodi, salgo e mentre sto martellando la roccia su cui sono si stacca. Pendolo sul fix appena sotto, Nicola quasi mi prende in braccio, ma tanto basta per battere la gamba sinistra contro la roccia e sentire un dolore che non avevo mai provato: credo di aver rotto qualcosa ma se non urlo troppo magari non è vero. Nicola fortunatamente non si è fatto nulla, è saldo e tranquillo, cerca di tranquillizzare anche me, ma io sento il dolore e so che non passerà alla svelta. Ci raggiungono subito Gianluca e Alessandro, penso alla risalita, all’esplorazione: magari posso uscire con uno di loro e gli altri vanno avanti. No, mi fa troppo male se vogliamo avere mezza speranza di uscire dovranno aiutarmi tutti e tre; provo a muovermi, ma non riesco neppure a stare in piedi da sola. Ovviamente l’unica cosa da fare è cercare di uscire prima che il dolore aumenti: Gianluca e Alessandro mi aiutano a raggiungere il pozzo, mentre Nicola si porta sull’armo per mettermi a mo’ di sacca sotto di lui. Ogni passo, ogni movimento sento il dolore alla gamba. Arriviamo a terra e provo a fare qualche passo sorretta da Alessandro e Nicola, ma nulla da fare, il dolore è troppo per proseguire.

Quanto segue non ha nulla a che vedere con l’esplorazione che è stata forzatamente rimandata.

Un resoconto delle ore di attesa e delle ancor più numerose ore di soccorso che sono seguite, esulerebbe dai fini di una relazione d’uscita. Userò tuttavia questo spazio per cercare di esprimere almeno in parte quanto io abbia ammirato e apprezzato l’impegno, la devozione e l’umanità di tutti quanti si sono prodigati per portarmi fuori.

Soccorritori eccezionali, che hanno dato tutto quanto potessero fisicamente e umanamente per portarmi fuori; amici e sconosciuti che hanno messo da parte impegni personali e professionali per dare il loro contributo, che hanno sopportato il mio dolore e supportato il mio umore volubile in ogni modo a loro disponibile.

Amici che pur non facendo parte della macchina del soccorso hanno fatto tutto quanto potevano per agevolarla.

I miei compagni di uscita, che hanno predisposto l’attesa e i soccorsi nel miglior modo possibile.

Non credo di essere in grado di descrivere la serenità che mi ha dato vedere Roby, Ila, Devis e Aldo, e che strano è stato rivedere Gianluca come se non fosse mai uscito!

Non ho parole per l’ammirazione che ho provato vedendo le loro manovre precise, facendo attraversare alla barella posti in cui passava a malapena.

Soprattutto non so trasmettere quanta dolcezza, umanità e affetto hanno saputo trasmettermi loro con la loro presenza, con qualche battuta e con le molte premure. Gli episodi si avvicendano così repentinamente nella mia mente, che a scriverli temo di dimenticarne qualcuno. Anche quando ero tra sconosciuti di cui non ricordavo i nomi, chiusa nella barella, con la claustrofobica visiera del casco abbassata, in ogni singolo istante, mi sono sentita a casa.

Ottavia

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