✻ Il viaggio di Raffaello, passando da Brescia | DAL GRUPPO G9

Lo scorso 13 giugno, presso la sede dell’Ateneo di Brescia, è stato presentato il volume di Laura Picchio Lechi “Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello. Tra fortuna critica e documenti inediti”...

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Un'opera di Raffaello

di LAURA GIUFFREDI* Lo scorso 13 giugno, presso la sede dell’Ateneo di Brescia, è stato presentato il volume di Laura Picchio Lechi “Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello. Tra fortuna critica e documenti inediti”.

Il saggio si occupa di un’opera certamente ben conosciuta e già molto studiata, ma ha il pregio di concentrarsi sulle ragioni della “tappa” bresciana negli spostamenti del dipinto, che alla fine approdò, come si sa, alla milanese Pinacoteca di Brera. Un altro, non marginale tassello della trama che va da mesi a valorizzare aspetti non scontati della Brescia che si studia, e si squaderna come Capitale della Cultura 2023.

Per seguire la vicenda del dipinto, l’autrice si concentra particolarmente sul carteggio di fine Settecento tra i componenti della famiglia Lechi (il padre Faustino ed i figli, soprattutto Giuseppe e Teodoro), rivelando un interessante spaccato del contesto culturale e politico di Brescia tra XVIII e XIX secolo.

Nell’intricata vicenda c’è di mezzo anche la diatriba tra le fonti, alcune delle quali danno per certa la donazione del dipinto, da parte della comunità di Città di Castello (per la quale fu realizzato dal pittore urbinate nel 1504) a Giuseppe Lechi, generale napoleonico che liberò la città dalle truppe dello Stato Pontificio nel 1798. Altre sostengono invece che si trattò di una vera e propria ruberia “alla francese”: tra gli altri, così si espresse, sdegnato, Giuseppe Brognoli nelle sue “Memorie” di fine Settecento; ma forse si tratta d’invidia tra collezionisti.

Il dubbio rimane, anche perché l’originale dell’atto ufficiale di consegna dell’opera a Giuseppe Lechi bruciò nell’incendio che distrusse il suo archivio bresciano, durante il saccheggio delle truppe austro-russe del 1799.

Faustino Lechi ebbe ben 19 figli, dieci dei quali raggiunsero l’età adulta e di essi 5 sposarono la causa rivoluzionaria: tra di loro, sebbene il dipinto raffaellesco sia arrivato in famiglia per i meriti di Giuseppe, fu soprattutto Teodoro a mostrarsi, come rivela il carteggio col padre, il vero, fine conoscitore di opere d’arte, esprimendosi in un perspicace raffronto tra Raffaello e Perugino e mostrando una raffinata capacità interpretativa dell’equilibrata composizione del dipinto. Incidentalmente, ricordiamo che fu proprio Teodoro a consigliare a Paolo Tosio di acquistare l’ “Angelo” e il “Redentore Benedicente”, sempre di Raffaello, che oggi ammiriamo nella nostra Pinacoteca Tosio-Martinengo.

Nella lettera al padre del “19 Piovoso anno 6 Repubblicano”, Teodoro (che si firma affettuosamente “il vostro Doro”), così scrive da Città di Castello: “per tutto non fò che cercar quadri, corro da una parte all’altra, da una chiesa ad un’altra, da questa casa a quella, insomma non risparmio passi per riuscire e per contentar il vostro desiderio, e nel medesimo tempo la mia passione, ancora che va crescendo. La notte stessa mi sogno di quadri e mi sembra esser con voi a far le riflessioni, a darmi gli avvertimenti, a darmi anche del pazzo, ma a non disapprovare la mia passione”.  Un bel ritratto del collezionista appassionato, disposto a tutto pur di accaparrarsi i pezzi migliori, poiché senza dubbio in grado di riconoscerli come tali.

Tuttavia la preziosa tavola dipinta dello “Sposalizio”, che Faustino Lechi rinchiuse in un armadio nel Palazzo di famiglia in Corsetto Sant’Agata, e che mostrava solo ai più fidi amici intenditori, non finì a Brescia le sue peregrinazioni, poiché, come si è detto, nel 1799 gli Austriaci entrarono in città saccheggiandola e facendo incetta di opere d’arte: i palazzi Lechi, anche quello di via Moretto, vennero svuotati e la famiglia, in ristrettezze, fu costretta a svendere il prezioso dipinto per 50.000 lire al milanese Giacomo Sannazzari della Ripa. Alla morte di costui, per lascito testamentario l’opera giunse all’Ospedale Maggiore di Milano, ma fu poi acquistata dal Governo Repubblicano per la Pinacoteca di Brera, sotto l’ala protettrice di Giuseppe Bossi ed Andrea Appiani, rispettivamente Segretario e Commissario dell’Accademia, da dove non si è più mosso.

Faticoso ed impegnativo nel 1856 il restauro di Giuseppe Molteni, che dovette industriarsi per raddrizzare la curvatura del legno e debellare i tarli che lo stavano minando dall’interno. L’intervento è  da lui ben descritto nei particolari, a dimostrazione di una maestria per i tempi insuperabile.

Il volume della Picchio Lechi offre anche un ricco apparato di immagini che riproducono i fogli originali del carteggio e che accostano lo “Sposalizio” raffaellesco ad opere del Perugino ed a disegni di Raffaello raffiguranti teste maschili e femminili, riconducibili ai soggetti della pala, nonché a posteriori incisioni e copie della stessa, di autori vari.

*L’AUTRICE DELL’ARTICOLO: LAURA GIUFFREDI

Laura Giuffredi. Laureata in Lettere Università Degli Studi di Milano e poi specializzata in Storia dell’arte, diplomata in restauro dei dipinti presso Enaip Botticino, insegnante (ora in pensione) del liceo Gambara di Brescia e attualmente consigliere comunale di Brescia.


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Ultimo aggiornamento il 12 Aprile 2024 05:28

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