L’amore tra Brescia e Massimo Cellino, se mai è scoccato, è finito ufficialmente con la retrocessione delle rondinelle in serie C. Ma il matrimonio potrebbe non risolversi a breve.
Nonostante i tifosi (dagli ultrà a quelli delle tribune vip) invochino l’addio del presidente sardo e i toni contro di lui stiano diventando sempre più duri (in alcuni casi fino al limite della violenza), la cessione non appare cosa imminente. In caso di permanenza in B, infatti, Cellino avrebbe potuto vendere a un prezzo ragionevole, magari ad Azerion. Ma in C il valore della società è calato drasticamente e i pretendenti, che già non erano molti, mancano (complici anche una base di tifosi che allo stadio si vede poco e alcune frange violente che rappresentano una variabile pericolosa per un acquirente).
L’affare è soprattutto economico e ora Cellino ha di fronte due opzioni. Vendere tutti i migliori, fare cassa e ripartire dai giovanissimi, senza alcuna fretta di tornare in B (che comunque non sarà un’impresa facile) o salvare il salvabile, investendo e ricostruendo dal basso, nella speranza di agguantare la serie Cadetta il prima possibile e ricreare valore per poi vendere la società. Comunque una missione non facile.
Oggi, infatti, l’ex presidente del Cagliari e del Leeds rischia di rimanere “imprigionato” alla guida della società, a meno di voler buttare improvvisamente alle ortiche ogni prospettiva di rendita dell’investimento fatto. E ogni ipotesi di cessione si allontana. Nessuna cordata di imprenditori bresciani è in vista (peraltro il mondo imprenditoriale bresciano, salvo Marco Bonometti e pochi altri, non ha mai manifestato un vero interessamento al Brescia Calcio) e anche l’ipotesi di una fusione con la Feralpi Salò di Giuseppe Pasini appare più un’illusione che un sogno.