Per le motivazioni bisognerà aspettare i consueti 90 giorni, ma la sentenza parla chiaro: è stato assolto perché “il fatto non sussiste” il bangladese accusato dalla moglie di averle usato ripetutamente violenza, anche sessuale.
L’uomo è stato denunciato dalla moglie, che aveva sposato in patria con un matrimonio combinato, nel dicembre 2019, ma le presunte violenze sarebbero iniziate anni prima. Il caso era quindi finito a processo e avevano suscitato un forte dibattito le motivazioni con cui il pm aveva chiesto l’assoluzione del bangladese. Secondo il pubblico ministero, infatti, i maltrattamenti sarebbero maturati “in un contesto culturale, quello della comunità di riferimento che, sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa, si è rivelato per costei, nei fatti intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono, consapevolezza che la ha condotta a interrompere il rapporto di coniugio rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece l’imputato si è fatto si è fatto fieramente latore”.
Queste parole, però, avevano suscitato un coro di reazioni, con tanto di presa di distanza del procuratore capo e del ministro della Giustizia e richieste di ispezioni da Roma (l’Anm, invece, aveva difeso il magistrato).
Nella nuova requisitoria, quindi, il pm ha rivisto le ragioni della propria richiesta chiedendo l’assoluzione “perché il fatto non sussiste, perché il reato di maltrattamenti contestato difetta del requisito dell’abitualità”. Un’affermazione contestata dall’avvocato della donna, che ha confermato la richiesta di condanna, e invece ribadita da quello del marito, secondo cui la presunta vittima avrebbe fornito versioni troppo contraddittorie sui fatti.