L’arte? Adesso parla dialetto bresciano

Un volume speciale, da sfogliare, nel quale le opere d'arte bresciane parlano in dialetto così come ancora oggi fa qualcuno in città e provincia

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Ida Chiarello - foto dai social
Ida Chiarello - foto dai social

L’arte racconta con le immagini la storia dell’umanità; il dialetto conserva con le parole la storia di una comunità. È su questi due principi che si fonda l’idea con la quale Ida Chiarello ha scritto il libro «L’arte di Brescia parla dialèt bresà», edizioni Marco Serra Tarantola.

Un volume speciale, da sfogliare, nel quale le opere d’arte bresciane, tra cui la lavandaia dipinta da Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto (da pitocchi, persone povere e ai margini della società che diventano protagonisti nella sua pittura), e custodita alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, parlano in dialetto così come ancora oggi fa qualcuno in città e provincia. Rivendicando la necessità di conservare un idioma antico rappresentativo della comunità, Ida Chiarello, calabrese di origine ma bresciana all’adozione, docente di arte in un istituto di Gussago, ha pensato di dare una voce ai personaggi dei dipinti. A darle ispirazione una conversazione tra due donne “rubata” alla fermata del bus: «Come ala?» chiede una, «La ga a bè ai siòri» dice l’altra. Ed è proprio questa la battuta della lavandaia del Ceruti immaginata dalla professoressa. Il dialetto bresciano si fa così portavoce di una riflessione sulla promozione dell’arte, sulla sua importanza per l’essere umano, sulla necessità di frequentare i musei e rendere le opere più vicine al pubblico e accessibili a tutti.

 


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