🔻 “Anche il piede vuole scrivere, sempre” | 🔺DAL GRUPPO G9

Il 13 febbraio 1880 scese dall’omnibus a Riva del Garda un signore fra i 30-40 anni, austero e dal passo incerto, era Friedrich Nietzsche...

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Statua di Nietzsche a Naumburg, foto da Wikipedia, Eandré, CC BY-SA 3.0 DE , via Wikimedia Commons

di MARIO BALDOLI* Il 13 febbraio 1880 scese dall’omnibus a Riva del Garda un signore fra i 30-40 anni, austero e dal passo incerto, era Friedrich Nietzsche. Prese una stanza all’Hotel Du lac, costoso, da poco ristrutturato da un’antica villa padronale. Vi si fermò un mese, fino al 13 marzo. L’aveva prenotato non solo perché c’erano una sala di lettura e una di musica, un pianoforte per i clienti, numerosi spazi di servizio, tavoli da gioco, salone ristorante, ma soprattutto perché l’hotel era circondato da piante e giardini sempreverdi, un parco di 60.000 mq necessari per i suoi occhi malati che non sopportavano la luce. La posizione era bellissima, davanti il lago, alle spalle il bosco.

Nietzsche aveva abbandonato l’insegnamento di filologia all’università di Basilea a causa di un ampio orizzonte di malattie: insonnie, terribili emicranie, disturbi alla vista, gastrite, vomito che durava alcuni giorni, coliche, forme reumatiche acute che gli bloccavano tutto il corpo.

Vi si aggiungeva un pesante fattore psicologico: la definitiva rottura dell’amicizia con Richard Wagner, amicizia risalente a dieci anni prima, quando si erano battuti per una “riforma della cultura germanica” e il “valore metafisico della missione germanica”. Allora Nietzsche aveva scritto con grande successo La nascita della tragedia. Dal canto suo Wagner aveva interpretato le loro aspirazioni con Siegfried, terzo dramma musicale dell’epopea dei Nibelunghi. Con “L’anello del Nibelungo” aveva inaugurato nel 1876 il proprio teatro a Bayreuth con la partecipazione, tra gli altri, dell’imperatore Guglielmo I, Tolstoj e Liszt.

I tre elementi: l’abbandono dell’insegnamento, la rottura dell’amicizia, l’irrompere della malattia l’avevano distrutto. Somatizzò il dolore.

Di Wagner rifiutava ciò che avvertiva come estremo romanticismo unito a nazionalismo, razzismo e antisemitismo. Anni dopo chiama la sorella Elisabeth: vendicativa oca antisemitica. Ed è sufficiente per togliergli quella vergognosa accusa. Di un altro loro idolo, Schopenhauer, ormai rifiutava l’aristocratico isolamento, come di Wagner le “illusioni metafisico-artistiche” che avevano condiviso. Altri motivi della rottura sono oscuri, si pensa anche a un’eccessiva vicinanza a Cosima, la moglie di Wagner.

A Riva i portici sul lago e i fondachi ospitavano i banchi degli ebrei, ben tassati, ma lasciati pressochè indisturbati, dato che provvedevano alla ricchezza della città. Nietzsche li vide sicuramente anche se non ne parla.

In quell’anno ebbe attacchi violenti quasi ogni giorno, scrive: Fossi cieco! Non dovrei pensare, e penso! Ci fu una notte in cui non credeva di sopravvivere.

In quel terribile 1879 Nietzsche pubblicò Umano, troppo umano, un libro per spiriti liberi, saggio aforistico dedicato a Voltaire.

L’inverno del 1879-1880 scrive Nietzsche è l’inverno peggiore della mia vita (…) le mie condizioni sono spaventose, l’ultimo attacco accompagnata da tre giorni di vomito, ieri una perdita di conoscenza di una durata preoccupante. Se non riesco ad andarmene dove c’è aria migliore e più calda, siamo agli estremi.

Scrive in una lettera: Sto così male che tra due settimane dovrò partire per Riva (sul lago di Garda) per ritornare alla mia unica dimensione esistenziale, le passeggiate.

È un addio al gelido inverno tedesco tra dolori atroci che gli rendono la vita impossibile. Soffro enormemente e senza tregua, attacchi su attacchi. Penso di fuggire al sud- forse sul lago di Garda. Ma forse non esiste più un sud.

Quattro anni prima era stato a Sorrento, ospite di un’amica, e la bellezza del luogo l’aveva convinto “che la felicità si raggiunge con la pienezza dell’essere”. Quella pienezza che già lo allontanava da Wagner, era l’Italia, pur amata – ma diversamente – da Wagner che vi soggiornò almeno quattro volte e morì a Venezia nel 1883.

A differenza del parere dominante, io credo che quel mese a Riva non sia stato felice. Certamente non mancavano passeggiate: a nord verso Arco; oppure a Ledro, a Tenno; a est a Nago, oltre il Sarca, a Torbole; a ovest Chiarano- Varignano, e lui camminava anche per dieci ore. Amava la tagliata del Ponale e il monte Rocchetta, dove il sole scompare improvvisamente, mentre ne rimane la luce ombrata ma vivida e la montagna si alza a picco dal lago formando uno scenario irreale.

Da Riva percorre grandi distanze anche se piove, il clima non è freddo, il suo passo attraversa vaste selve d’olivo e di querce in quell’ombrosità che cerca continuamente. Il paese è piacevole, appena investito dalla nascente industria del turismo.

Le passeggiate erano il suo benessere, e Nietzsche vi aggiungerà: Io non scrivo soltanto con la mano, anche il piede vuole scrivere, sempre. Ma purtroppo quasi sempre pioveva.

Alla mamma Franziska scrive: Io sono a Riva, il tempo finora nuvoloso, oggi piove. Giardino. Il sentiero sulle rocce corrisponde alla mia aspettativa. Sempre poco bene (…) qui piove sempre, incessantemente.

L’aria era pura, l’ambiente suggestivo, ma la sventura di quella pioggia richiama l’angoscia iniziale: esiste ancora un sud?

Il 4 marzo scrive alla sorella: Ho appena superato quattro brutte giornate e sono di umore più allegro. Ad un amico scrive: Domani io parto per Venezia. Sono molto scontento. In queste tre settimane la mia salute è andata peggiorando e il dolore è sempre molto tormentoso. Il grande filosofo Karl Jaspers vede in quel periodo una vera e propria trasformazione biologica.

Una nuova vita con una nuova filosofia è difficile da costruire e richiede un grande lavoro su se stessi, mentre Nietzsche, mi sembra, ripiega su una scelta esistenziale che, anche alla luce del successivo amore due anni dopo per Lou Andreas-Salomè cui chiede invano due volte di sposarlo, è forse un ripiego provvisorio: la solitudine.

La solitudine, sentimento pur sempre vissuto dagli intellettuali, è uno stato d’animo universalmente diffuso in quegli anni: Th. Mann scrive in La morte a Venezia: La solitudine fa maturare l’originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia. Rilke in Lettere a un giovane poeta, scrive: Una cosa sola è necessaria: la solitudine. La grande solitudine interiore. Andare in se stessi e non incontrarvi, per ore, nessuno. Conrad scrive: Si vive come si muore, soli. Virginia Woolf chiede Una stanza tutta per sé.

Nietzsche doveva rigenerarsi, passare da una vita tradizionale e ripetitiva a una errabonda e fuggitiva, trasformarsi nell’apolide dell’esistenza. Più tardi, ispirato dai suoi sentimenti per Lou, avrebbe concluso La gaia scienza, in cui scrisse la celebre frase: Dio è morto, e l’abbiamo ucciso noi.

Portrait of Friedrich Nietzsche, 1882; One of five photographies by photographer Gustav Schultze, Naumburg, taken early September 1882. Public domain due to age of photography. Scan processed by Anton (2005), foto Wikipedia

Aveva conosciuto Lou nel 1882 nella basilica di San Pietro a Roma, le si era inchinato davanti e aveva detto: Quali stelle ci hanno fatto incontrare qui?

Quelle stelle evidentemente cancellavano la solitudine. Forse si risvegliò in lui, fra infiniti dubbi, il Dioniso di cui aveva scritto nella Nascita della tragedia. Divenuto quasi cieco, i due ebbero un altro appuntamento in cui lui sfoderò il suo maggior punto di forza: una passeggiata per sedurre quella giovane russa intelligentissima. Salirono al Sacro Monte presso il lago d’Orta. Lì avvenne forse il celebre bacio che Lou, nemmeno da vecchia, raccontò all’amico Pfeiffer: Se io sul Monte Sacro abbia baciato Nietzsche, questo non lo so più. Qualche critico è certo che il bacio avvenne. Non essendo esperto in materia, l’unica cosa che noto è che – come sempre- l’iniziativa partiva da lei.

La solitudine– scrive Graziano Riccadonna in “Il sommolago”, aprile 2001, n 1 – non è comunque isolamento, ma efficace presa di distanza dagli elementi per poterli meglio giudicare e connettere. La solitudine rappresenta la condizione della saggezza e di quella particolare condizione esistenziale e conoscitiva che il filosofo chiama “la grande salute”. La connessione tra saggezza, salute e solitudine, questo può essere un nuovo modo di vivere e di pensare.

È possibile, ma è un percorso che si svolse a strappi e che portò in dieci anni Nietzsche alla follia, strappi che si rivelano nella scrittura ad aforismi, imputabile anche alla semicecità.

A Riva il camminare diventò una ragione di vita e di pensiero.

Sulle passeggiate e l’imprevedibilità dei loro incontri ed avventure si deve leggere lo straordinario sempre attuale racconto di Robert Walfer, La passeggiata (1917).

A Riva lo raggiunge l’amico Koselitz (da lui soprannominato Peter Gast, nome che gli restò per sempre appiccicato), un musicista che lo stimava tanto da dedicargli parte della sua vita. Nietzsche gli dettava appunti e aforismi, mentre Gast gli faceva anche da correttore di bozze e da interlocutore. Nietzsche gli dettò i primi pensieri di Aurora, pubblicata tre anni dopo, un’opera spartiacque, la sua prima interamente filosofica. Nel 1887 completa quel lavoro con La genealogia della morale.

Koselitz fu tra i pochi che considerava seriamente le sue opere e lo incoraggiava. Ma non era entusiasta, Nietzsche fu il suo tiranno. Scrive ad un amico: Non puoi neanche immaginare la fatica, ieri mi è stato impossibile scrivere, quando sono tornato a casa sono caduto letteralmente sul letto. Stamattina di nuovo, subito fuori, un impegnativo servizio samaritano.

Non puoi immaginare che cosa io abbia sopportato, quante notti sia giaciuto cercando invano di dormire e spesso pensando a ciò che era avvenuto durante il giorno, e vedendo che nulla avevo fatto per me e tutto per gli altri, mi prendeva una tale rabbia che mi contorcevo e invocavo la morte e la dannazione su Nietzsche. Poi alle quattro o alle cinque del mattino quando finalmente ero riuscito a prender sonno, alle nove o alle dieci Nietzsche veniva spesso a chiedermi se volevo suonare Chopin per lui.

Koselitz inoltre gli leggeva Spencer, Baumann, Stifter, oltre ai romanzi di Stendhal, Balzac, De Musset, George Sand. Nietzsche entrava nella cultura francese.

Passato il mese a Riva, profondamente insoddisfatto, si trasferì a Venezia: Cento profonde solitudini formano insieme la città di Venezia- questo è il suo incanto. Un’immagine per gli uomini del futuro. Continuò poi a vagabondare in Italia da una città all’altra, ma a Riva, tra gli aforismi, era nata Aurora: Vi sono tante aurore che devono ancora risplendere.

*L’AUTORE DELL’ARTICOLO: MARIO BALDOLI

Mario Baldoli, laureato in filosofia, giornalista, direttore responsabile di “Tuttogarda” (2004-2005), periodico della Comunità del Garda. Dal 2009 è direttore della rivista online www.gruppo2009.it, e redattore della rivista “Atlante bresciano”. Due suoi saggi sono alla Library of Congress Washington.


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Ultimo aggiornamento il 24 Aprile 2024 11:52

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