▼ Facchetti (Coldiretti): agricoltori e allevatori vanno valorizzati, non ostacolati | L’INTERVISTA

Nel giugno del 2023 ha accettato la sfida - decisamente impegnativa, tanto più in questo periodo - di guidare Coldiretti Brescia, una realtà che in provincia conta 7mila soci, incluso il presidente nazionale dell’organizzazione, Ettore Prandini. Non un lavoro, ma una missione che – unita a impresa e famiglia – concede poco spazio per le passioni...

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Laura Facchetti, foto Andrea Tortelli

di Andrea Tortelli – Nel giugno del 2023 ha accettato la sfida – decisamente impegnativa, tanto più in questo periodo – di guidare Coldiretti Brescia, una realtà che in provincia conta 7mila soci, incluso il presidente nazionale dell’organizzazione, Ettore Prandini. Non un lavoro, ma una missione che – unita a impresa e famiglia – concede poco spazio per le passioni.

Dopo essersi laureata in Giurisprudenza e aver esercitato per qualche anno la professione di avvocato, infatti, Laura Facchetti – che vive a Ospitaletto ed è madre di tre figli – ha scelto di lavorare nell’impresa fondata dalla nonna Elvira Benedetti negli anni Cinquanta, la Avicola Alimentare Monteverde di Rovato. Un colosso del settore (per fatturati è quinta in Italia), che gestisce ogni anno circa 20 milioni di capi sparsi tra un centinaio di siti produttivi della Lombardia. La presidente di Coldiretti ne è socia con deleghe a Qualità e Comunicazione. Ma nel 2022 ha anche deciso di avviare un proprio allevamento (la Azienda Facchetti Laura di Passirano), che produce ogni anno circa 250mila polli da carne.

Prima, però, Laura Facchetti ha deciso di avvicinarsi a Coldiretti nella convinzione che “Prandini e l’organizzazione sono stati tra i primi a riconoscere l’importanza del nostro settore e ad attivarsi concretamente per sostenerlo”. Un’ascesa rapidissima la sua, che l’ha portata in pochi anni a passare da invitata nella giunta al massimo incarico. L’abbiamo intervistata.

DOMANDA – Il suo mandato, in apertura, ha coinciso con il picco delle proteste nei confronti delle politiche agricole comunitarie. Giusto pochi giorni fa avete manifestato a Bruxelles: cosa volete dall’Europa e dall’Italia?

RISPOSTA – Chiediamo un’inversione di marcia netta. Negli ultimi anni la politica europea – partendo da considerazioni errate e preconcetti – ha emanato direttive fortemente penalizzanti per il settore agricolo. E’ giusto che si lavori concretamente per ridurre l’impatto ambientale, ma non si può dimenticare che l’agricoltura italiana è già oggi la più sostenibile al mondo. Il problema principale è che, oltre a una serie di adempimenti burocratici che mettono in difficoltà le imprese, attualmente non c’è alcuna forma di reciprocità con gli spazi extra-europei. In Italia entrano prodotti con prezzi molto più bassi dei nostri perché hanno qualità inferiore, meno garanzie sul fronte della sicurezza alimentare e un costo del lavoro decisamente minore, che sfrutta il bassissimo costo della manodopera e l’assenza di diritti per i lavoratori di alcuni Stati. Questa è concorrenza sleale… Mette in ginocchio noi e non tutela i consumatori.

D – Come dice lei, però, la sfida della sostenibilità va affrontata. In che modo è possibile conciliare tale esigenza con quelle delle imprese agricole?

R – Di certo non autorizzando l’importazione di prodotti che vengono coltivati con agrofarmaci a noi vietati. E’ giusto che si cerchi di ridurre l’impatto di culture e allevamenti, ma attualmente non abbiamo alternative all’utilizzo di alcuni fitofarmaci e concimi specifici: il rischio è quello di rendere le produzioni economicamente insostenibili. Basti pensare agli ulivi: la produzione di olio è crollata dopo che l’Unione Europea ha vietato alcuni trattamenti, ma nel frattempo importiamo da Paesi extra Ue grandi quantità di olio prodotto da piante trattate con gli stessi prodotti. Assurdo. In questo modo rischiamo di paralizzare il settore e di farci conquistare, mentre avremmo l’esigenza opposta: coltivare il coltivabile per arrivare alla sovranità alimentare.

Laura Facchetti, foto Andrea Tortelli

D – Nel settore, però, ci sono gruppi – come quelli protagonisti delle cronache delle ultime settimane – che vi accusano di essere troppo morbidi…

R – La nostra linea è sempre stata chiara. La forza di Coldiretti è quella di non limitarsi a protestare, ma di lavorare sempre a soluzioni concrete e fattibili ai problemi. Per questo, oltre che per i nostri numeri, siamo considerati interlocutori credibili e importanti dalle istituzioni e, per le stesse ragioni – probabilmente – alcune realtà marginali rivolgono oggi tanta attenzione alla nostra realtà. Ma mi pare che qualcuno abbia oltrepassato il limite e stia anteponendo agli interessi del settore la propria rabbia. La strada di Coldiretti non può essere la stessa di queste persone.

D – Scendiamo di livello istituzionale. Cosa chiedete, invece, alla Regione e alla Provincia?

R – I temi sono tanti, ma una delle priorità è certamente quella degli animali selvatici. Cinghiali, cervi, lupi e nutrie sono un problema crescente, che agli agricoltori bresciani negli ultimi anni è costato diversi milioni di euro. In questo contesto vedo positivamente la task force recentemente creata dalla Regione per affrontare la questione in maniera coordinata, coinvolgendo cacciatori, enti locali, associazioni di categoria e via dicendo. E’ un punto di partenza per attuare il controllo faunistico.  Allo stesso modo trovo incoraggiante che la Regione abbia finalmente avviato un piano per l’eradicazione delle nutrie, che tanti danni provocano soprattutto nella Bassa bresciana.

D – Nei primi mesi del suo mandato lei ha fatto un importante lavoro di dialogo con i soci del territorio. Quali richieste sono emerse?

R – Solo nelle ultime tre settimane abbiamo incontrato 1.300 soci. Mi pare che siano emersi soprattutto tre temi. Il primo sono i selvatici, di cui ho già parlato. Mentre il secondo è quello degli impianti fotovoltaici a terra. Oggi, purtroppo, si sta verificando una speculazione – favorita dagli incentivi – per cui il prezzo dei terreni è in costante aumento e alcuni agricoltori trovano più conveniente vendere che coltivare. Infine c’è la questione degli spandimenti, con l’esigenza di finestre temporali meno rigide.

D – Su quest’ultimo fronte, però, agricoltori e allevatori sono spesso accusati di essere tra i principali responsabili dell’inquinamento bresciano, sia per quanto riguarda le falde, sia sul versante dell’aria (Pm10). Che risponde?

R – Che chi accusa sbaglia destinatario e non parte dai dati. Tanto per cominciare ci sono studi della Regione che confermano come la questione dello spandimento sia slegata da quella delle Pm10. Inoltre l’impatto concreto delle emissioni di risulta di liquame e pollina è infinitesimamente inferiore a quello delle industrie. I responsabili dell’inquinamento vanno cercati altrove. E gli agricoltori continuano a investire per preservare il loro bene primario, che è l’ambiente.

D – Facciamo un po’ di autocritica. Lei non crede però che l’agricoltura bresciana – oltre ad essere un po’ ancorata alle culture tradizionali, come il mais – abbia un problema di dimensioni? Ci sono troppi piccoli e fare investimenti, spesso, è difficile…

R – Alcune coltivazioni, come il mais, sono funzionali ai numerosi allevamenti presenti sul territorio. Ma l’innovazione non manca. E di certo uno dei maggiori punti di forza del nostro settore è la biodiversità. Ospitiamo tantissimi prodotti differenti, non facciamo commodities. Il brand, che è quello del Made in Italy, rappresenta un indubbio valore per noi. Il problema principale oggi, a mio avviso, è la fase commerciale. Su questo – penso a consorzi, cooperative e non solo – possiamo fare molto di più.

D – In questo ragionamento rientrano anche fiere e infrastrutture. Per gli agricoltori bresciani quali sono le priorità?

R – Le fiere sono importanti e sulle infrastrutture dobbiamo certamente fare di più. Penso alle autostrade e al trasporto ferroviario. Ma anche all’aeroporto. Il Gabriele D’Annunzio di Montichiari potrebbe essere un traino importante anche per l’export del settore agricolo. Ma credo che per arrivare a questo risultato sia importante che Brescia venga maggiormente coinvolta, a partire dall’azionariato.

D – La prossima battaglia di Coldiretti Brescia quale sarà?

R – Selvatici, fotovoltaico e questione ambientale li ho già citati. Poi c’è la questione dell’acqua, con la necessità di mettere in atto soluzioni concrete, sin da subito, per i periodi di siccità. Ma anche sugli agriturismi vogliamo fare di più, sostenendo concretamente i nostri associati e aiutandoli a valorizzarsi. Senza dimenticare la montagna, un presidio indispensabile che va aiutato non soltanto dal punto di vista economico. Le sfide, insomma, non mancano. Cercheremo di fare del nostro meglio per rappresentare le istanze di agricoltori e allevatori. Nella convinzione che gli interessi dei produttori siano gli stessi dei consumatori e di tutti gli italiani.

Laura Facchetti, foto Andrea Tortelli

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