L’ultimo appuntamento | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Vincenza Angrisano e Meena Kumari sono le ultime due donne vittime di femminicidio al momento in cui vi scrivo. La speranza che dopo la pubblicazione di questo articolo non ve ne siano altre, è una speranza che resiste ma che è sottoposta a forti e potenti scossoni dalla tragica la realtà a cui continuiamo ad assistere...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

di Doriana Galderisi* – Vincenza Angrisano e Meena Kumari sono le ultime due donne vittime di femminicidio al momento in cui vi scrivo. La speranza che dopo la pubblicazione di questo articolo non ve ne siano altre, è una speranza che resiste ma che è sottoposta a forti e potenti scossoni dalla tragica la realtà a cui continuiamo ad assistere.

Vincenza e Meena sono state infatti assassinate a pochi giorni dall’omicidio della giovane Giulia Cecchettin e subito dopo il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere.

In tutta Italia e anche a Brescia, migliaia di persone, donne e uomini, hanno  ribadito il proprio NO alla violenza. Anche la nostra sindaca Laura Castelletti, nell’iniziativa clou della giornata, cioè al presidio tenutasi in Broletto, ha sottolineato come questo 25 novembre 2023 è e deve essere diverso da tutti quelli precedenti.

Ma purtroppo… la storia si ripete.

Non c’è dubbio che sia stato un 25 novembre più “sentito” e a dimostrarlo è l’onda emotiva e umana che ha travolto tutte e tutti noi dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin.

Purtroppo già oggi quell’onda sembra essersi infranta contro un nuovo muro di apatia, per non dire di indifferenza, al punto che le morti di Vincenza Angrisano e Meena Kumari quasi “sono passate” sotto silenzio, in seconda, terza, quarta pagina…

Per suggerire elementi utili per sottrarsi a queste dinamiche, torno sul tema in questo articolo, dopo averlo trattato già due domeniche fa, il 19 novembre, in una riflessione in cui il focus era la gestione delle rotture di relazioni sentimentali. Invito a leggere anche il contributo dei giornalisti Francesco Zambelli ed Emanuele Galesi nella loro rubrica di approfondimenti Breccast dal titolo “Chiedere scusa non elimina il patriarcato” .

Ma a questo punto perciò è praticamente impossibile non chiedersi che cosa accade all’interno di una persona, in questo caso di una donna, che concede un ultimo appuntamento, anche quando è di fronte ad un partner accusatore, molesto o addirittura violento.

Perché una donna accetta, nonostante da più parti si esprima fortemente la raccomandazione di non andare mai all’ultimo appuntamento, soprattutto di non andarvi mai sole e di non appartarsi, e ciò soprattutto se, prima di quell’incontro, preesistono condizioni di tensioni forti nella coppia, o, ancora di più, se ci sono già stati episodi di aggressività vera e propria?

In altre parole: perché si va all’ultimo appuntamento anche se sarebbe meglio non farlo?

E’ proprio nel funzionamento della mente umana che possiamo trovare una serie di spiegazioni a tali domande.

Il modo con cui la mente elabora le informazioni, il modo in cui ciascuno di noi prende decisioni e sceglie dei comportamenti, ci fornisce un quadro di quanti e quali meccanismi a nostra insaputa giochino nel determinare un abbassamento del livello di vigilanza e, quindi, possano favorire una involontaria incursione nel rischio.

Vanno banditi i pregiudizi molto (troppo!) diffusi secondo cui la donna che accetta l’appuntamento “se la va a cercare”, o l’idea che la donna che si mette in situazioni di pericolo sia una persona dipendente affettivamente, magari con la problematica psicologica cosiddetta “love addiction”, o comunque una persona con dei problemi. Si tratta di errori di pensiero, perchè, al contrario (e tante situazioni ce lo dimostrano!), le donne maltrattate molto spesso, molto più spesso di quello che ci si immagini, sono donne dal carattere mite, buone, disponibili, altruiste, che cercano di risolvere i problemi, molto empatiche, che soffrono per il dolore dell’altro al punto da offrire, anche ai partner violenti, opportunità di cambiamento, o al punto di accettare di mantenere dei contatti nella speranza che il partner possa rassegnarsi all’idea di una rottura, possa accettare la conclusione di una storia. Insomma si tratta di donne portatrici di valori affettivi, sentimentali, relazionali, profondi, seri, e che considerano importante “lasciarsi bene”.

Le ragioni dunque, vanno molto oltre le cosiddette teorie ingenue, cioè i pregiudizi più diffusi: le ragioni sono ben più complesse.

Essere consapevoli che le decisioni, le valutazioni (soprattutto quelle relative al rischio) possono risentire negativamente, quindi essere sovra o sotto stimate, proprio a causa dell’azione di meccanismi di pensiero, può aiutare a calcolare meglio le direzioni da seguire, ad interporre uno spazio maggiore di riflessione tra pensiero e azione. In altre parole può far decidere diversamente, in questo caso di non andare all’ultimo appuntamento.

Quali sono questi meccanismi?

Vanno sotto il nome di “bias cognitivi”, concetti non nuovi in questa rubrica, poiché in più occasioni ho descritto il ruolo di questi che possiamo definire delle scorciatoie del pensiero, delle strategie veloci, che portano però a conclusioni affrettate e, quindi, molto spesso errate, inefficaci, acritiche, generate in assenza di una analisi attenta, basata su studi approfonditi o scientifici.

Si tratta, in altre parole, di errori che compiamo abitualmente in modo inconsapevole, senza rendercene conto.

Per citare soltanto qualcuno tra i tanti bias, il cosiddetto “bias di proiezione”, ad esempio, ci aiuta a capire perché si concede un ultimo appuntamento in situazioni di rischio.

Il bias di proiezione fa sì che la persona, in questo caso la donna, ritenga che, proprio perché l’intento che sta alla base del lasciarsi nel miglior modo possibile è un intento “corretto”, anche nel partner vi sia lo stesso pensiero, cioè che anche lui possa vedere le cose allo stesso modo, cioè possa capire e dare valore al gesto del salutarsi un’ultima volta. Purtroppo è uno sbaglio questo tipo di convinzione perché induce a sottovalutare la concreta possibilità che l’interlocutore, il partner, non capisca la serietà e le buone intenzioni. E le conseguenze sono molto serie. “La storia non si ripete, ma i suoi appuntamenti si assomigliano”, sosteneva, a ragione, lo storico Gabriel de Broglie.

Un altro bias molto potente è il cosiddetto “optimist bias”, o bias dell’ottimismo. Si tratta di un meccanismo tale per cui nelle persone vi è la tendenza a credere che le cose potranno cambiare, andare meglio e questo si amplifica in età giovanile, quando l’ottimismo spesso è caratterizzato da quello che viene definito “ottimismo irrealistico”, che porta ad una deformazione in senso troppo positivo e “facile” delle situazioni. E anche qui, purtroppo, le cose non sempre finiscono bene.

Ancora: molto spesso nelle persone vi è la convinzione che fare qualcosa sia comunque meglio di non fare nulla. Una serie di studi in tal senso dimostrano come sovente le persone, pur sapendo che sarebbe meglio rimanere ferme, al contrario, agiscono, cioè compiono esattamente quello che sarebbe più opportuno non fare. Qui è in gioco il “bias d’azione”, secondo cui bisogna sempre fare l’ultimo tentativo, per non avere rimpianti, per non chiedersi se magari sarebbe finita meglio.

È evidente che, quando è in gioco questo tipo di convinzione, non andare all’ultimo appuntamento è veramente difficile.

Legato al concetto di ottimismo vi è un ulteriore meccanismo cognitivo, relativo a quanto la persona nutra fiducia nelle proprie capacità, e si ritenga in grado ad esempio di tranquillizzare un interlocutore difficile o agitato, di capirne pensieri e stati d’animo, di saper  fornire rassicurazioni efficaci… stiamo parlando del cosiddetto “overconfidence”.

A complicare ulteriormente le cose c’è anche il modo in cui la mente elabora i ricordi e come tutto questo poi porti a decidere cosa fare o cosa non fare. È come se la nostra mente archiviasse i ricordi per “picchi”, nel senso che si tende a valutare le esperienze passate rispetto ai picchi di positività o negatività. Nel contesto di una relazione sentimentale che si chiude, per esempio, le persone tendono a mantenere una memoria dei momenti romantici, belli, delle situazioni che ci hanno gratificato nonostante quella relazione invece sia stata vissuta con ansia, fatica, paura, dolore. Questo meccanismo di lavoro della mente relativo ai ricordi va sotto il nome di “peak-end- rule”. È un bias cognitivo che fa si che si tenda a valutare un’esperienza sulla base più delle emozioni, belle o brutte, piuttosto che sulla base di una considerazione generale che tenga conto del pro e dei contro e anche dei rischi.

Come abbiamo visto sono molti gli errori in cui la nostra mente può cadere: conoscerli può servire per non andare all’ultimo appuntamento e per poter così ripetere, con un largo sorriso, la battuta del film Animal House:

Ho disdetto un appuntamento!
– Dal parrucchiere?
– No, da un funerale!

Grazie per l’attenzione con augurio anticipato di buone feste, ci ritroviamo presto sempre su questi canali. Auguri

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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Ultimo aggiornamento il 21 Aprile 2024 17:58

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