Mario Conte, un magistrato in attesa di giustizia. E se fossi tu l’imputato?

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Un titolo sotto forma di domanda, pensato per coinvolgere il lettore fin da subito. E se fossi tu l’imputato? è una provocazione, un appello ben pensato e un invito a riflettere che Mario Conte – ex pm di Bergamo e magistrato addetto ai rapporti con l’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa – lancia sulle tendenze distruttive che può avere una certa forma di giustizia quando si perde il senso della sua natura, quella di servizio al cittadino. Accusato per vent’anni di crimini gravissimi, prima di essere assolto con formula piena, Mario Conte, «presunto colpevole» per anni, ricostruisce nel dettaglio la propria vicenda giudiziaria. La giustizia come puro esercizio di potere è l’anticamera dell’errore, riconosce l’autore: “mi sono convinto che forse il vero problema in materia di giustizia non è quello di fare riforme epocali, ma di recuperare la distinzione dei ruoli e la «cultura della prova», oggi spesso soppiantata da una visione della giustizia, non già come servizio nei confronti del cittadino, ma come esercizio di un potere che funge da ammortizzatore sociale (…)”

La sua è un’analisi fredda e obiettiva, mirata a far esplodere quelle mancanze e quegli errori così comuni nel sistema giudiziario italiano. Errare humanum est, ma fino a un certo punto. Quando gli errori della giustizia diventano un motivo ridondante d’ingiustizia, occorre farsi delle domande e riflettere sulle opportunità e sulla natura dei cambiamenti possibili. Secondo l’autore, non sono le riforme epocali a fare la differenza, ma il rispetto e la consapevolezza dei ruoli. Che questi siano chiari: è nella confusione che si perdono i punti di riferimento e si generano mostri.

Il punto di partenza è una storia personale e singolare, ricostruita con forza e efficacia da chi ha da sempre il controllo degli strumenti che usa, un’esperienza che l’autore stesso definisce come “surreale”: da questa vicenda Mario Conte coglie l’occasione per individuare e raccontare le contraddizioni e le possibili degenerazioni del nostro ordinamento giuridico. Il fine, quindi, va al di là dell’occasione contingente di scrittura: suggerire alcune possibili soluzioni per far fronte alla crisi d’identità della giustizia italiana, a favore di chi, come Conte e nonostante tutto, ancora crede nel valore delle Istituzioni.

Il libro è un’occasione per ripercorrere l’esperienza di Mario Conte, e per trarne degli insegnamenti validi. O, almeno, per sollecitare delle riflessioni: come si sentirebbe il lettore a prendere il posto dell’ex pm nell’intricata vicenda giudiziaria descritta nel libro?

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