Se mai avesse dialogato con chi ogni giorno lavora fra i banchi, scoprirebbe che le difficoltà di apprendimento degli alunni non conoscono colore di pelle o estensione di vocabolario.
Per esperienza diretta – oltre le statistiche approssimative e casarecce – posso testimoniare che la capacità di calcolo, d’abilità mnemonica, di educazione, di rispetto delle regole é in buona misura superiore negli alunni di famiglie immigrate da altri paesi.
Non escludo eccezioni negative, ma tali vanno considerate evitando strumentalizzazioni che complicano solo le inevitabili complessità legate a fenomeni di migrazione irreversibili.
Forse, avvolta nella nebbia di Leno, l’infanzia della Gelmini non è stata contagiata dalla fama mondiale delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi. La loro “Casa dei bambini” di Mompiano servì da modello nel 1968 alla moderna scuola per l’infanzia in tutta Italia.
L’innovazione di allora è la base ancor’oggi di un metodo improntato sulla spontaneità e sull’esperienza personale dei bambini che – fatti vivere in comunità – sono chiamati a occuparsi di musica, di canto, di disegno, di scrittura, di giardinaggio, imparando a conoscere ciò che li circonda. L’alunno nella sua molteplicità è considerato nelle sue componenti fisiche, intellettuali, culturali, a prescindere dalla provenienza sociale.
La scuola agazziana non distingue tra apprendimento, gioco, lavoro, poiché tutte le azioni della vita quotidiana sono veicoli educativi della massima importanza. Qui gli infanti trovano l’occasione migliore per imparare – scoprendole da sé – le regole della vita e i principi del vivere civile, del rispetto reciproco.
Io ho avuto il privilegio di frequentare questa scuola perché sono nato qui, dove anche i miei figli hanno imparato che le disparità si applicano agli oggetti, alle cose inanimate, un po’ meno alle piante quasi nulla agli animali… di certo non agli esseri umani.
Non fu casuale che durante il Fascismo l’esperimento della Casa dei Bambini di Mompiano fu osteggiato dai gerarchi in camicia nera. Non è fortuito che chi propugna oggi un contingente al 30% di stranieri nelle classi continua a non voler riformare la scuola nel merito, guardando quasi con nostalgia a un passato oscuro.
Gianluigi Fondra – Mompiano
Grazie per l\’alto contenuto della riflessione
Ma siamo sicuri che la Gelmini sia in grado ci capire queste considerazioni?