L’ORTO FASCISTA | romanzo di Ernesto Masina | CAP. 21-22-23-24
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CAPITOLO XXI
Franz occupava l’ultima stanza a destra del corridoio
che si affacciava sulla piazza.
Il corridoio le sembrò interminabile, ma si accorse che
ad ogni passo diventava più sicura di sé, come se camminare
la ricaricasse.
La porta della stanza era socchiusa e la luce che proveniva,
probabilmente dalla abat-jour del comodino, illuminava
una striscia del corridoio, quasi fosse un raggio di
quel “fanal” nella traduzione di “Lili Marleen”, la struggente
canzone d’amore e di guerra che in quel tempo era
sulla bocca di tutti. Quel ricordo fece pensare a Benedetta
che forse il suo non sarebbe stato un gesto prettamente
fisico ma quasi un atto di carità verso quell’uomo
da tanto, troppo tempo lontano da casa, a una età nella
quale gli affetti, la tenerezza e la presenza dei famigliari,
e soprattutto di una donna, assumono una grande importanza.
Sentì che quello che stava per fare non era del
tutto male e che rifiutarsi avrebbe voluto dire negare a
Franz conforto ed aiuto.
CAPITOLO XXII
Ripassò il piano che si era preparato. Sistemati i due
candelotti di dinamite sotto la parte posteriore
della vetturetta, avrebbe dato fuoco alle micce e sarebbe
corso, il più velocemente possibile, nell’androne che
portava al fienile dove l’Isaia, il macellaio, teneva le
bestie di notte prima di macellarle all’alba. Nel fienile
avrebbe passato la notte in quanto era troppo rischioso
cercare di raggiungere la propria baita fuori paese. La
mattina avrebbe deciso il da farsi.
CAPITOLO XXIII
Quella porta semiaperta era un invito palese. Forte
della propria certezza, la aprì completamente e,
senza bussare, entrò nella stanza.
Franz se ne stava seduto sul bordo del letto con l’ampio
torace scoperto, di un biancore mai visto. Portava solo
un paio di boxer e, stranamente, un paio di cortissime
calze bianche tendenti al rosa, quasi da bambina.
Benedetta trovò così strane quelle calzine a ricoprire i
due piedoni enormi, abituati a calzare scarponi o stivali,
da non riuscire a distoglierne gli occhi.
Chiusa la porta, era rimasta ferma in piedi in mezzo alla
stanza senza sapere come comportarsi. Franz, dopo averle
sorriso, si era alzato dal letto e le si era avvicinato. Le
aveva preso la mano destra tra le sue e se l’era portata lentamente
alle labbra per un breve bacio.
Benedetta ne era rimasta sconvolta. Mai in tutta la sua
vita aveva ricevuto un gesto di affetto e di considerazione
alla sua persona come quel semplice baciamano. Si era
commossa al punto che, per riconoscenza, stava per buttare
le braccia al collo dell’uomo. Ma, questi, forse vergognandosi
del gesto affettuoso che aveva fatto, si era
bruscamente girato ed era ritornato a sedersi sul letto.
Imbambolata Benedetta lo guardò: era uno sguardo di
gratitudine ma anche di disagio: cosa doveva fare?
Franz le venne ancora una volta in aiuto. Sorrise nuova-
mente e le tese le braccia. Benedetta allora si tolse il vestito
rimanendo nuda. Non sarebbe mai riuscita a spiegarsi
come avesse potuto compiere quel gesto, per lei così spregiudicato,
con tanta naturalezza. Poi si avvicinò al letto.
CAPITOLO XXIV
I trenta metri circa che lo separavano dall’obbiettivo gli
sembrarono interminabili, quasi dovesse percorrere una
distanza superiore a quella del pratone della Concarena
con le roccette che portano in vetta. Appaiono sempre a
portata di mano ma non ci si arriva mai.
Camminava il più velocemente possibile, piegato in
due per limitare la sua visibilità. Finalmente arrivò a
toccare la parte posteriore dell’auto. Si sdraiò a terra,
sistemò i due candelotti con le parti terminali delle
micce annodate tra loro.
Mentre prima era nervoso ed eccitato, ora erano sopraggiunte
calma e tranquillità.
Avvicinò l’accendino, con un gesto deciso l’accese e diede
fuoco alle due cordicelle impregnate di resina.