🔻 Brescia, la ferita che non si chiude | 🔺DAL GRUPPO G9

Trent’anni fa nasceva a Brescia 2 il Crystal Palace di Bruno Fedrigolli, il primo grattacielo della nostra città...

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Trent’anni fa nasceva a Brescia 2 il Crystal Palace di Bruno Fedrigolli, il primo grattacielo della nostra città...
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di Mario Baldoli – Trent’anni fa nasceva a Brescia 2 il Crystal Palace di Bruno Fedrigolli, il primo grattacielo della nostra città. La sua costruzione fu particolarmente controversa e non si arrivò subito a quello che oggi vediamo.

Doveva essere il più alto d’Italia, 131 metri, e lì cominciarono i problemi. La Regione Lombardia che sia era trasferita al “Pirellone” di Milano, l’opera di Giò Ponti e Pier Luigi Nervi, incominciò la guerra: il Crystal non doveva essere più alto del Pirellone, m 127.

Poi entrò in guerra il Comune di Brescia: un edificio così alto e per di più vetrato, come appariva dal progetto, banalizzava il Castello e non dialogava col resto della città, bassa e fatta di pietra.

Il progetto di Fedrigolli, l’architetto che più ha costruito nel Secondo Novecento in provincia di Brescia – ma anche in altre città o Paesi, come in Inghilterra – era un palazzo forte “sfaccettato come un diamante” – diceva lui1’00

Primo progetto del Christal Palace, per gentile concessione di La compagnia della stampa, Massetti editore e di Paolo Fedrigolli

Viveva in perenne conflitto con il Comune di Brescia che accusava di aver lavorato – urbanisticamente – per un secolo a danno della città (v. “Il Bruttanome” 1962, n.3-4). All’epoca già scriveva: Tra Otto e Novecento il Comune abbattè le mura venete, poi sostituite con il ring. Immaginate come sarebbe Brescia con la rocca, il Castello, le mura venete circondate da 2-300 metri di verde. Cominciò allora lo spappolamento della città. Quando arrivò l’elettricità, Brescia stese 240 km di tram che arrivavano in quasi tutta la provincia. Passò poi al filobus, infine gettò via tutto per passare all’automobile. Quindi inquinamento, morti per incidenti, crescita dei tumori, avvelenamento dell’aria e dell’acqua. Abbiamo cementificato quel dono di Dio che è la pianura Padana: le colpe dei padri ora ricadono sui figli e i nipoti.

Non solo: Brescia aveva perso l’occasione di unire al centro la zona più bella, quella verso nord, oltre la galleria, un’occasione meravigliosa: invece aveva scelto in piena meschinità di tracciare un nastro d’asfalto, via Crocifissa di Rosa, abbandonata alla speculazione. Né aveva provato a fare qualcosa di bello e di nuovo nelle direzioni est e soprattutto a ovest.

Ora le rimaneva solo la direzione sud, prevista come il centro economico della città.

Fedrigolli aveva visto giusto, si doveva puntare a sud. Progettò il Crystal Palace, il gigante vicino alla tangenziale all’autostrada dove avrebbe atteso l’arrivo della città vecchia. Ma il Comune diceva di no, e la polemica finì sulle riviste di architettura dove Fedrigolli ebbe come alleato Bruno Zevi, il grande storico (e costruttore) dell’architettura italiana. Lo scontro arrivò ai giornali locali che scoprirono il tema dell’architettura e dell’urbanistica. Il dibattito fu rovente e, malgrado l’appoggio nazionale, Fedrigolli fu sconfitto.

Il Comune decise che doveva ridurre il suo grattacielo a 110 metri, tagliarne 21. A quel punto intervennero i committenti: l’edificio avrebbero perso i piani più alti, quelli che rendevano di più. Fedrigolli dovette cambiare progetto, fece un’opera neo-razionalista, semplice, ma “guardate che non è facile essere semplici”. A est il Crystal presenta un flusso d’acqua che muove dei cucchiai che fanno suonare delle campane, fu l’ultimo atto di gentilezza verso un’opera che “mi hanno intozzito”.

Però la sua rabbia cresceva: Brescia 2 doveva integrarsi con la città antica, e “I trentini sono testoni” concludeva, alludendo alle sue origini.

Aveva anche un interesse personale, che gli fu fatto pesare: la città antica finiva a sud con una sua opera, quella in cui ora si trova la Camera di Commercio (anch’essa drasticamente ridotta in ciò che aveva di più bello, l’alzarsi al suo lato est di un grande edificio curvo che culminava a carena di nave, la parte che Zevi giudicava più suggestiva).

 

Progetto della Camera di commercio (solo parzialmente realizzato, senza la torre) per gentile concessione di La compagnia della stampa, Massetti editore e di Paolo Fedrigolli

Ma le due città non si parlavano, le univa solo un ponte d’asfalto nato per le auto, il cavalcavia Kennedy.

Fedrigolli scrisse che Brescia 2, sette ettari di campagna, sarebbe finita nelle mani degli speculatori. Vi nacquero, per esempio, il Symbol (detto il Matitone) di Enzo Ragni, la sede della Confindustria e dell’Ubi Banca, costruita dallo studio Gregotti e tanti altri nuovi edifici, ma Brescia 2 non fa veramente parte della città.

In un ultimo tentativo di unire urbanisticamente le due città, Fedrigolli pensò alla stazione ferroviaria, già allora insufficiente. Doveva essere adagiata in lunghezza sul cavalcavia, debitamente allargato. Ne presentò il progetto già realizzato in un plastico, approvato dalle Ferrovie dello Stato: non era necessario spostare le rotaie, la stazione sarebbe stata collegata a terra da scale mobili, il movimento che avrebbe creato avrebbe cucito la città antica con quella dell’economia. Il costo sarebbe stato ripagato dai negozi che si sarebbero aperti.

Il progetto della stazione sul cavalcavia Kennedy, per gentile concessione di La compagnia della stampa, Massetti editore e di Paolo Fedrigolli

Come si vede, non se ne fece niente.

Fedrigolli continuò ad attaccare la mancanza di coraggio del Comune: “Non i bresciani hanno paura, l’hanno gli architetti del Comune, gente di lingua, non di matita e di cantiere”, come amava definirsi.

Alla morte (1995) ancora gli rimaneva nel cuore quella ferita, una ferita che resta, credo, una vergogna della città.

L’architetto Bruno Fedrigolli,, per gentile concessione di La compagnia della stampa, Massetti editore e di Paolo Fedrigolli

Articolo a cura del gruppo Gruppo 2009 / G9. Ulteriori informazioni sul sito  www.gruppo2009.it

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