Il Tancredi di Rossini chiude la stagione operistica

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In arrivo l’ultimo titolo d’opera della Stagione 2013: Tancredi celebre melodramma di Gioachino Rossini sarà per la prima volta al Teatro Grande di Brescia nei giorni 13 e 15 dicembre.

Scritta da un Rossini ventiduenne in tre mesi e mezzo, Tancredi ha compiuto quest’anno i 200 anni dalla sua prima rappresentazione il 6 febbraio del 1813 alla Fenice di Venezia. L’opera divenne per un certo periodo una delle più popolari, rappresentata in tutti i teatri d’Italia, tanto che Stendhal la considerava l’opera migliore di Rossini. Ebbe poi un periodo di poca fortuna e gradualmente tornò ad affacciarsi sui più prestigiosi palcoscenici operistici dalla metà del Novecento in poi. Oggi è considerato tra i lavori più ispirati ed equilibrati del Rossini serio.

Il cast vocale sarà affidato per questo nuovo allestimento ai vincitori del 64° Concorso As.Li.Co.: i giovani cantanti impegnati saranno Teresa Iervolino (Tancredi il 13 dicembre e Isaura il 15 dicembre), Raffaella Lupinacci (Tancredi il 15 dicembre e Isaura il 13 dicembre) e Sophio Mchedlishvili (Amenaide). Il basso Alessandro Spina interpreterà il ruolo di Orbazzano, mentre Mert Süngü e Alessia Nadin saranno rispettivamente Argirio e Ruggero. Gli artisti saranno guidati dalla regia del giovane Francesco Frongia, regista e videoartista di grande fama, mentre per la bacchetta della buca d’orchestra è stato scelto il maestro Francesco Cilluffo, giovane emergente direttore d’orchestra e compositore italiano che si è già affermato in ambito nazionale ed internazionale.

I biglietti per entrambe le recite sono acquistabili alla Biglietteria del Teatro Grande (orari: mar-ven 13.30-19.00, sab 15.30-19.00) e on line sui siti teatrogrande.it e vivaticket.it.

NOTE MUSICALI di Francesco Cilluffo
In questa produzione di Tancredi abbiamo scelto di proporre il finale di Ferrara, frutto dell’influenza su Rossini dell’ambiente ferrarese vicino al primo Romanticismo italiano (e a Foscolo in particolare). Questo finale, sorprendentemente moderno nel suo essere “aperto”, pone lo spettatore di fronte a una morte irrazionale, sospesa tra la stoica accettazione della fine dell’eroe e lo stupore umano per il venire meno della vita.

L’ombra della perdita, intuita nei momenti di sconforto amoroso nella partitura (“Ah che scordar non so”, nel secondo atto) o di pericolo (l’aria di prigionia di Amenaide), viene spesso suggerita dall’abbassamento cromatico del sesto grado da maggiore a minore, un topos del Rossini serio, che arriverà a caratterizzare il sovrannaturale in Semiramide, ultima opera seria per Venezia (Tancredi era stata la prima).

Nella mia concertazione, e in alcune cadenze da me suggerite ai cantanti, ho voluto mantenere una certa enfasi su questo aspetto romantico della partitura, sottolineando come Rossini sia riuscito a proporci uno squarcio di mondo dove la sofferenza e la serenità sono compagne della medesima esperienza; i personaggi contemplano l’abisso della perdita, attraverso uno sguardo che però unisce nobiltà neoclassica a sublime romantico.
Tale equilibrio si rispecchia anche nella scelta costante di tonalità maggiori (l’introduzione dell’aria di prigionia di Amenaide nel secondo atto e il coro funebre finale sono gli unici brani dell’opera in tonalità minori), che rendono persino più struggente e tristemente quotidiani l’addio e la sofferenza, contribuendo ad una vasta galleria musicale dell’addio che va dal Auf dem Strom di Schubert alla fine di Das Lied von der Erde di Mahler ma anche al più solare del Campiello di Wolf Ferrari.

Nel suo essere opera di gusto classico e sereno (secondo Stendhal la più perfetta di Rossini), Tancredi si pone come curioso esempio di teatro classico che si basa sul valore modernissimo dell’incomunicabilità tra i personaggi. L’assurdità del dramma (che è un “non dramma”) viene esaltata dall’erompere di alcuni meccanismi musicali dell’opera buffa, come nel finale primo, che accentuano con i loro tic lo smarrimento dei personaggi in una rete di reazioni inspiegabili dei quali sono marionette involontarie. “Un solo accento tutto cangiar potrà d’aspetto” dice Isaura verso la fine del Tancredi di Rossini. Ma questo “accento”, nella versione di Ferrara, non arriva. Il silenzio di Amenaide, donna, e quindi vittima di regole e codici che le impongono di subire accuse ingiuste, si romperà solo di fronte a Tancredi morente, quando sarà ormai troppo tardi e la musica si spegnerà.

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