Cgil: “Salviamo la scuola pubblica. Soldi all’istruzione e non nel parcheggio sotto il castello”

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"In Italia si dovrebbe investire di più in formazione e istruzione. Invece si sprecano risorse e continuano i tagli. Prima lo Stato (che non dà nemmeno quel poco che promette), poi la Regione (che si preoccupa di dare le doti per chi va nelle scuole private) e ora anche anche i Comuni (che hanno pochi soldi per scuola e servizi sociali ma li trovano per i parcheggi sotto il Cidneo". E’ quanto sostine in una nota la Federazione Italiana dei Lavoratori della Conoscenza della Cgil di Brescia.

 

Ecco il testo completo del comunicato: 

 

La scuola è sotto attacco. I tagli a livello nazionale al sistema pubblico di istruzione che si sono susseguiti negli ultimi anni si sommano ora ai tagli decisi dagli enti locali che, in crisi finanziaria, azzerano o quasi i fondi per il diritto allo studio alle scuole.

Un abbraccio mortale che fa a pezzi, nel concreto, i tanti ragionamenti che si fanno sulla necessità di investire in formazione per uscire dalla crisi economica.

 

In Italia…

Negli ultimi anni le politiche del Governo Berlusconi e dei ministri Tremonti, Gelmini e Brunetta hanno: tagliato il personale, bloccato il tempo pieno, determinato il sovraffollamento delle aule, impoverito l’offerta formativa, penalizzato l’integrazione degli alunni disabili, costretto le scuole a chiedere alle famiglie contributi di natura economica per il funzionamento.

L’Ocse (dati 2008) rileva che in Italia la spesa per istruzione è il 4,8% del Pil contro una media del 5,8% degli altri Paesi industrializzati. Un gap che richiederebbe investimenti per 17 miliardi di euro in più all’anno.

 

Sciaguratamente, invece, nella scuola si confermano i tagli e si consente di lasciare la scuola a 15 anni e di assolvere quindi l’obbligo scolastico lavorando come apprendisti.  

Tutto ciò ha un sicuro effetto depressivo sul piano sociale e sul piano della crescita economica.

 

 

In Lombardia…

Al quadro nazionale si è aggiunto negli anni l’atteggiamento della Regione Lombardia che – nei fatti – attraverso il meccanismo delle doti scuola ha trasferito risorse dall’istruzione pubblica a quella privata e dai meno abbienti ai più ricchi.

 

A Brescia…

Ora arrivano anche i tagli in chiave locale. La tradizione amministrativa che per anni ha dato risorse  aggiuntive al sistema dell’istruzione sta venendo meno.

Il Comune di Brescia ha ridotto drasticamente i fondi per il diritto allo studio agli istituti comprensivi.  Fino allo scorso, complessivamente erano 980mila euro che servivano per il funzionamento delle scuole, all’alfabetizzazione per gli alunni stranieri e le loro famiglie (soldi, questi, che ovviamente favoriscono l’apprendimento e l’integrazione in tempi più rapidi e aiutano la classe nel suo insieme). Ora, dopo le proteste, ha promesso di reintegrare parte dei fondi (380mila euro), comunque 600mila in meno rispetto agli anni passati.

 

Oltre a questo il Comune ha ridotto anche di 600mila euro le previsioni di spesa sugli alunni disabili (da 2,8 milioni di euro a 2,2 milioni), di 190mila euro i fondi per il personale delle scuole materne, di 80mila euro i soldi per il trasporto degli alunni dei campi nomadi.

C’è una disponibilità finanziaria minore, è indubbio, ma è altrettanto vero che in tempi di crisi come questa le poche risorse che ci sono devono privilegiare il sistema di welfare locale piuttosto che promuovere opere (vedi il parcheggio sotto il castello) dalla dubbia utilità.

 

 

Qualche proposta

Anche il Governo, attraverso il sottosegretario alla Pubblica Istruzione (MIUR) Rossi Doria, promette che la scuola sarà risparmiata dalla “spending review”. Pertanto è asupicabile che si attivino al più presto tavoli di confronto e di contrattazione che tengano conto anche del parere degli operatori della scuola.

A livello nazionale servirebbero riforme di spessore – obbligo scolastico a 18 anni, investimenti in edilizia e innovazione, stabilizzazione del personale precario per dare continuità alla didattica – ma, in attesa di quelle, si potrebbero comunque mettere in campo alcune azioni per «salvare» la scuola. Tra queste ricordiamo:

 

        Risorse certe. La maggiore trasparenza che ne deriverà, che non ha oneri aggiuntivi, metterà le scuole nella condizione di poter programmare le attività didattiche contando su risorse certe.

        Rispetto dei pagamenti. Le scuole, private di risorse, sono state costrette a ricorrere al finanziamento delle famiglie, ai fondi contrattuali e via dicendo per pagare i supplenti e il personale impegnato negli esami di Stato. Si sono dovute fare carico, anticipandole, di spese di competenza del ministero della Pubblica Istruzione. È una questione annosa, che va risolta il prima possibile.

        Coerenza. Ad aggravare il quadro, c’è la situazione paradossale per cui l’Agenzia delle Entrate sta multando le scuole perché, per mancanza di fondi, queste hanno pagato solo al netto gli stipendi dei supplenti (quelli che dovrebbe pagare il ministero), astenendosi dal versamento dei contributi e degli altri oneri dovuti.

        No a spese improprie. L’operazione di ricorrere ai servizi di pulizia esterni alla scuola, in sostituzione dei collaboratori scolastici, è stata un fallimento. La spesa è superiore a quella del servizio interno, tanto che il risparmio realizzato con i tagli all’organico non l’ha coperta. Con i continui tagli dei fondi, i servizi di pulizia sono stati ridotti al lumicino, le scuole sono poco sorvegliate e non perfettamente pulite.

        Autonomia reale, no burocrazia. Da quando le scuole sono formalmente autonome sono state caricate di incombenze che prima erano collocate altrove. L’aspetto amministrativo ha oscurato l’autonomia. Eliminare ogni incombenza e molestia burocratica dalle scuole italiane, liberando la vera autonomia (istruzione ed educazione) è un passo necessario per rimettere le finalità della scuola al centro. 

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