Genitori e figli nello sport: un gioco di squadra “effetto Sinner”? | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Lo sport viene spesso considerato come metafora della vita perché allena e mette alla prova capacità di resistenza, di sopportazione del dolore, di tolleranza delle frustrazioni, di capacità di saper perdere ma anche di saper gestire risultati eccellenti affinché non diventino dei blocchi...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

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intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Mens sana in corpore sano: lo stretto legame tra benessere fisico e benessere mentale è noto sin dall’antichità e oggi pare proprio un dato recepito sia dal mercato, sia dall’opinione pubblica sia dalle istituzioni. Sono infatti sempre di più le amministrazioni comunali, tra cui il Comune di Brescia, che da anni propongono corsi di sport di ogni tipo e per ogni età, d’inverno nelle palestre e d’estate nei parchi cittadini. Corsi che poi hanno aperto brillanti carriere: non a caso all’ultima cerimonia dal nome “Campioni della Leonessa”, avvenuta lo scorso dicembre, il Comune di Brescia ha premiato ben 44 atleti bresciani che si sono distinti in tantissime discipline.

Dottoressa Galderisi, lei che ha anche la specializzazione di psicologa dello sport, ci aiuti a capire in che modo oggi, in un mondo così frenetico, caotico, stressante, lo sport può apportare benefici alla nostra mente?

Lo sport viene spesso considerato come metafora della vita perché allena e mette alla prova capacità di resistenza, di sopportazione del dolore, di tolleranza delle frustrazioni, di capacità di saper perdere ma anche di saper gestire risultati eccellenti affinché non diventino dei blocchi (ovvero la paura di non raggiungere più picchi così alti di successo e prestazione). Inoltre lo sport è anche legato a contesti quali il benessere fisico e l’estetica, perché può aiutare a guarire da certe patologie o a modellare il corpo.

La pratica sportiva oggi è talmente diffusa che le poche persone che non praticano alcuno sport quasi quasi vengono considerate strane, pigre o fuori dal tempo, perché sempre più lo sport fa parte delle attività di base che sin da piccoli si fanno praticare ai bambini in una sorta di programma di crescita sana. Questa diffusione è anche grazie al fatto che oggi lo sport, soprattutto a livelli amatoriali e non agonistici, è sempre più alla portata di tutti.

Non solo: lo sport è anche tra i principali interessi forti dell’opinione pubblica e, non a caso, ogni giorno e in modo molto ampio i media ci propongono le vite, le esperienze, talvolta anche gli aspetti personali di atlete e atleti del nostro tempo.

È un bene questa diffusione? Direi di sì, perché, oltre ai benefici per il corpo, dalla pratica sportiva arrivano anche benefici per la mente: si può ben dire che lo sport fa particolarmente bene al funzionamento psicologico di un individuo. Non a caso esiste un settore della psicologia specificatamente dedicato allo sport: la psicologia dello sport. Si tratta di un’area della psicologia che studia la relazione tra comportamenti, emozioni e prestazioni nell’attività sportiva. La caratteristica principale è quella di fare leva soprattutto sulla cosiddetta psicologia positiva.

In altre parole, lo psicologo dello sport non interviene solo dove c’è un problema o una patologia, ma lavora per stimolare, arricchire o addirittura far sbocciare ed emergere le caratteristiche migliori dell’atleta, sia in un’ottica di crescita personale sia di miglioramento della prestazione.

Lo sport è anche uno strumento per costruire relazioni e veicolare valori, in particolare tra i giovani. In che modo quindi lo sport si inserisce nella relazione genitori-figli?

La passione condivisa e la pratica effettiva ogni giorno di uno sport sono elementi che, se ben gestiti, possono creare un miglior dialogo, scambio di idee e di interessi tra genitori e figli, arricchendo quindi la relazione. Del resto il ruolo logistico e organizzativo che i genitori hanno gioco forza nella vita sportiva dei figli, può aprire degli spazi più ampi di presenza, vicinanza e di supporto ai figli. Sono moltissimi infatti i genitori che accompagnano i propri bambini o ragazzi agli allenamenti e che non di rado assistono alle partite o alle gare.

Grazie allo sport in una famiglia è possibile abbattere le barriere generazionali, andare oltre le incomprensioni e condividere valori e momenti di socialità importanti e, perché no, a volte creando anche un clima di cameratismo. Tutto ciò fa sicuramente bene alla crescita psicologica di un giovane, ma anche ai genitori!

Un aspetto interessante che la domanda mi permette di segnalare è un fatto che riscontro in aumento nell’ultimo periodo e che ho chiamato una sorta di “effetto Sinner”. Sì, perché questo giovane grande tennista, nel momento di maggior risalto e riconoscimento del proprio successo, si è espresso ringraziando in maniera completa, profonda, straordinariamente toccante i propri genitori. Ebbene, questo riconoscimento alla propria famiglia, così affettuoso e colmo di gratitudine, ha scatenato un vero e proprio, e sano, terremoto nei genitori nel senso che molte sono le famiglie che hanno intercettato le frasi di Sinner e in qualche modo si sono chieste quali siano gli ingredienti che fanno riconoscere ad un figlio, e così grandemente, il ruolo positivo avuto dai genitori nella propria storia sportiva. Ecco perché l’ho chiamato “effetto Sinner”: perché molti genitori si sono interrogati di più su che cosa renda forte un atleta e lo renda capace di resistere alle fatiche, agli sforzi, alle paure, agli insuccessi e lo equipaggi di capacità di tenuta così grandi. La risposta sta molto nella capacità dei genitori di trovare la giusta distanza e il giusto equilibrio nella relazione con il figlio che pratica sport, ma anche con coloro i quali ruotano attorno a lui, quindi allenatori, tutti gli adulti che fanno parte del mondo sportivo del ragazzo. Questo equilibrio non è un aspetto né scontato né facile da mettere in pratica nella relazione genitore/figlio, tant’è che diversi studi individuano nei genitori tutta una serie di funzionamenti che possono più o meno danneggiare o favorire quella che è la crescita sportiva di un giovane.

Si tratta delle ricerche sui modelli degli stati di attivazione dei genitori che si concentrano su ciò che influenza il comportamento dei genitori nello sport dei figli (gruppo di ricerca guidato da Celia Brackenridge della Brunel University di Londra).

Non di rado i genitori incentivano i propri figli sportivi alla competizione spinta, alla vittoria ad ogni costo, arrivando talvolta a farli sentire dei falliti se non diventano campioni o, più semplicemente, se non si distinguono nella loro squadra e/o disciplina sportiva. Quanto può danneggiare questo atteggiamento adulto una giovane mente?

Il modo in cui lo sport si inserisce nella relazione genitori-figli non è solo positivo, come abbiamo visto poc’anzi, come nel caso di Sinner, ma a volte, anzi troppo spesso, è, al contrario, negativo.

Questo si verifica quando il genitore si pone in modo sbagliato rispetto al figlio atleta e uno degli errori è quello di vivere l’attività sportiva del proprio figlio esclusivamente in termini di prestazione o di risultati. Un altro errore si ha quando il genitore vive lo sport del proprio figlio in un modo invadente, intrusivo, esagerato rispetto alle aspettative, alle attese e anche alle preoccupazioni. Questo stile può danneggiare la crescita psicologica di un bambino, di un ragazzo, che si ritrova a dover gestire padri o madri che riversano su di lui propri sogni infranti, propri fallimenti, proprie delusioni, che deragliano in un atteggiamento ipercritico, svalutante e insofferente.

A farne le spese, nel giovane sportivo è, da un lato, la compromissione dell’autostima che, ancor prima ancora di essere un’idea multidimensionale di “valore”, è un’idea di competenza, un’idea del saper fare.

L’autostima perciò si costruisce anche passando attraverso quella che viene chiamata autoefficacia. L’eccesso di critiche ad esempio sul modo di esercitare lo sport, sugli insuccessi, sui risultati non raggiunti pienamente, fa sì che l’autoefficacia si costruisce malamente o, addirittura, viene “frantumata”. A sua volta tutto questo crea una spirale di negatività che può compromettere massicciamente la motivazione e la progettualità di un giovane atleta. Non di rado infatti assistiamo ad abbandoni, ad uscite (drop out) da una attività sportiva che si profilava magari anche promettenti; oppure vediamo fenomeni di scadimento di una prestazione sportiva, preceduto però fino a quel momento da una buona resa: è il fenomeno che va sotto il nome di Choking,

Sono fondamentalmente gli obiettivi prioritari nello sport.

Dapprima il divertimento. Quando questa componente viene meno, si presentano una serie di problematiche motivazionali, oltre che di tenuta agonista, ad esempio quello che prima abbiamo chiamato drop out e choking.

Vi è poi un obiettivo di crescita personale: chi pratica sport rafforza, migliora il proprio carattere, diventa più forte e capace di non solo tenere testa alle difficoltà, ma anche, in un certo senso, di farne buon uso, quindi di crescere, di migliorare. Basti pensare che sono due i capisaldi in ambito sportivo che si devono presentare in un buon atleta, ovvero la resilienza e la durezza mentale, intesa come capacità di evolvere dalle difficoltà.

Infine vi è la socializzazione, la capacità cioè di creare relazioni costruttive, condivise, cooperative, di gestire conflitti, di dialogare…

Ecco quindi che è facile capire come le finalità dello sport siano molto simili e condivisibili a quelle presenti nella genitorialità. L’attenzione, l’incoraggiamento, l’appoggio incondizionato da parte di un adulto, soprattutto di un genitore, fanno di un giovane atleta uno sportivo valido, ma soprattutto un essere umano felice, sereno e completo.

Tutto ciò è ben sintetizzato da un pensiero di John Ruskin: “Il miglior riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava, ma ciò che si diventa grazie a essa”.

Nel ringraziarvi per l’attenzione rimando al prossimo appuntamento tra 15 giorni

(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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Ultimo aggiornamento il 30 Aprile 2024 20:07

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