✴️ Pd, a proposito di fuoriuscite e congressi | di Paolo Pagani*
La fuoriuscita, pertanto, non interroga tanto il PD, ma loro stessi e Calenda. I liberaldemocratici o gli eredi dell'azionismo, come piace definirsi a Calenda, devono decidere da che parte stare in una politica sempre più polarizzata
di Paolo Pagani* – Nel giorno in cui a Brescia sono state depositate le liste unitarie per i congressi PD provinciale e cittadino e, dopo quella di Zanardi, la candidatura anch’essa unitaria di Cammarata per la città, i giornali danno grande enfasi a 30 dirigenti liguri che hanno lasciato il PD per Azione di Calenda.
È un evento che offre il destro per una riflessione più ampia sulle prospettive della sinistra e del campo progressista. Intanto le motivazioni. Davvero che lasciano l’amaro in bocca per la loro modestia. In sostanza vedono una cosa che non c’è: il massimalismo di ritorno. Non conoscendolo, neanche storicamente. Infatti il massimalismo è stata una corrente della sinistra italiana la cui cifra era quella di non fare politica e di puntare sulla propria autosufficienza.
Ebbene al nuovo PD di Elly Schlein si può imputare tutto, ma non la tentazione, che fu non solo renziana, della vocazione maggioritaria, quella sì versione moderna del massimalismo.
Di piu il massimalismo era anche una idea di politica sganciata dal tema delle alleanze sia sociali che politiche. E proprio per questo in gran dispetto, per dire, a Togliatti.
Ebbene al nuovo PD si può imputare tutto, ma non il tentativo di costruire un nuovo blocco sociale, alternativo a quello della destra. Tentativo anche di riconnettersi con il proprio popolo, quello degli ultimi e dei penultimi.
Un’altra motivazione sarebbe quella che il PD non parla più di imprese. Singolare, però, che nessuno di questi dirigenti abbia mai avanzato una proposta specifica. Le proposte sulla valorizzazione delle imprese le continua a fare Bersani, probabilmente da costoro considerato il capo dei massimalisti.
Penso, invece, che queste motivazioni non siano la verità. Penso che questi siano dirigenti che, al fondo, aderiscono ad una idea liberaldemocratica della società e sono andati dove li porta il cuore e… la testa. Giusto così, quindi.
La fuoriuscita, pertanto, non interroga tanto il PD, ma loro stessi e Calenda. I liberaldemocratici o gli eredi dell’azionismo, come piace definirsi a Calenda, devono decidere da che parte stare in una politica sempre più polarizzata. Come dice Bersani sempre a Calenda: gli azionisti stavano con gli anarchici nella guerra di Spagna e nella Resistenza.
Ergo, dove vogliono stare adesso per costruire l’alternativa a questa destra regressiva, securitaria, che vuole non conservare ma riportare in vita il mondo dell’altro ieri.
Questo mi pare il punto decisivo e se queste fuoriuscite spronassero Calenda a fare la scelta politica, conseguente ai valori a cui si ispira, sarebbero addirittura positive.
Certamente il PD deve rafforzare il suo confronto e il suo dibattito interno, deve definire ancora meglio la sua politica delle alleanze. Importante sarebbe un grande appuntamento autunnale.
Passi in avanti si sono fatti. La stessa fase congressuale, con tanto candidati unitari, sta assumendo contorni positivi. E penso e credo che dopo l’1 ottobre a Brescia ci sarà uno scatto in avanti, soprattutto nel rapporto con la società bresciana e con le altre forze politiche che possono fare parte di un nuovo centrosinistra.
Anche dal mondo liberaldemocratico e azionista bresciano mi piacerebbe arrivassero segnali che, qui e ora, per tutti i progressisti, più o meno moderati, più o meno radicali, suona la campana di una nuova alleanza non solo amministrativa ma politica a tutto campo. Perché le reazioni alle politiche di questa destra non sono all’altezza del pericolo che essa rappresenta.
Questo, mi pare, il tema centrale della ripresa politica e da Brescia sono convinto arriveranno segnali congruenti.
* Pd/Articolo Uno Brescia
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