Referendum: i perché di un Sì riformista e antipopulista | di Claudio Bragaglio*
di Claudio Bragaglio* – Al Referendum voto SI, pur condividendo alcune ragioni del NO. Come due piatti d’una bilancia che oscillano in equilibrio, ma con un peso che fa poi la differenza. Dirigenti ed intellettuali di sinistra, in cui peraltro si riconosce la mia storia politica, hanno motivato le loro contrarietà. Anche con toni esorbitanti. Da parte mia nessun manicheismo, ma una scelta – quand’anche solo per realismo – del “male minore” o d’un “ex malo bonum”, ovvero la trasformazione d’un Referendum non voluto in qualcosa di buono. Quindi non Marx, ma Sant’Agostino, con la teologia politica che a volte…concorre. D’altronde lo stesso costituzionalista Zagrebelsky s’è ironicamente immaginato come l’incerto asino di Buridano davanti ai due mucchi di fieno del SI e del NO.
In primo luogo va rilevato – come di recente sottolineato sia dal presidente Bonaccini che dall’on. Martina del PD – che la riduzione dei Parlamentari è da sempre una richiesta del Centro Sinistra. Come, per esempio, nella Commissione Costituente di D’Alema. Si obietta, mal scomodando i Padri Costituenti, che viene ridotta la rappresentatività costituzionale originaria, quando semmai si deve parlare della riforma del 1963 che ha stabilito i numeri attuali. Ma soprattutto non si considera che con le Regioni nel 1970 si sono aggiunti circa 1.100 “parlamentari regionali”, e già allora si pose il tema giusto della riduzione, dovuto al trasferimento di attività legislative alle Regioni. Ma non se ne fece nulla.
Si obietta che tale riduzione è pericolosa perché non inserita in un quadro di riforma. Già, ma qual era il nostro quadro condiviso del passato? Ahimè, nota dolente che investe un Centro Sinistra che ha lo sguardo rivolto solo alla Medusa della “politique politicienne” che pietrifica anche oggi il ragionamento di molti esponenti.
Intatti, mentre si confermava nel tempo la riduzione dei parlamentari, i vari Centro Sinistra hanno sposato le più diverse forme di governo: dal cancellierato, al premierato, dal presidenzialismo al semipresidenzialismo. Nonché tutte le riforme elettorali, financo il Rosatellum: dal proporzionale al maggioritario, dall’uninominale al plurinominale, ,con relativo bipartitismo di partiti a vocazioni maggioritarie o con alternanze di coalizione. Quindi un quadro ballerino, senza risparmio di contorsioni e fantasie. Tutte cose avvenute con un M5S neppure nato, che semmai ha poi scippato idee altrui. Chi parla d’una “sindrome di subalternità” del PD zingarettiano verso il M5S cammina con le gambe all’aria, scambiando l’effetto con la causa. Infatti la vera “fabula” che ci dovremmo raccontare – senza il coraggio ancora di farlo – riguarda le cause del fallimento delle “grandi riforme” costituzionali immaginate dalla sinistra democratica. Il populismo “sinistrorso” che si è poi ritrovato nel M5S nasce anche da quel fallimento. Ecco perché chi pensa con un NO di sinistra di dare un colpo al M5S fa un errore grossolano, trasformando la riduzione dei parlamentari, già evocata per 30 anni, in un precedente nostro imbroglio. Spingendo quindi la stessa Sinistra nel vortice suicida della “casta”. Stretti tra la morsa d’un populismo di destra salviniana e di una nuova fiammata antiparlamentare che investirà la nostra credibilità. In quanto al refrain poi d’una riforma da bocciare per farne una migliore non trova più eco neppure nelle saghe.
Oggi non si può neppure ripartire dalle “grandi riforme” senza sfidare il ridicolo e, nel contempo, la tragedia, dovendo – qui ed ora – gestire con questo governo l’emergenza economica e sociale più drammatica. Con un PD perno d’una difficile governabilità democratica, assillato – anche al suo interno – dalla richiesta d’una sua autosufficienza. Dall’illusione del colpo di reni. Evocando la “ vocazione maggioritaria”, senza neppure rendersi conto che il bipartitismo fondativo del PD nel 2007 vede ora il PD al 20 %, con tre scissioni, e Forza Italia al 7%! Mi auguro che un PD armato di nervi saldi e di lungimiranza, manifesti anche sul Referendum capacità di tenuta democratica e nazionale. Nonché la volontà di mantenere aperto il varco d’un riformismo anche istituzionale. E quello che in 30 anni non è entrato dalla nostra porta principale possa rientrare da una finestra rimasta aperta. Quella appunto del Referendum il cui esito positivo possa (forse) determinare un “effetto domino” del tutto inaspettato. Senza impancarsi ancora a supponenti “Padri Costituenti”, ma copiando la Germania con un cancellierato e la sfiducia costruttiva.
Condivido molto il pressing di Zingaretti, ma nel Centro Sinistra rimane irrisolto il nodo del fallimento del proprio precedente cammino. Parlo di regole di sistema fatte ad immagine dei vantaggi del momento. Come il disastroso tentativo contro la quota proporzionale del Mattarellum (Referendum del 1999), che mise in crisi il Governo dell’Ulivo – ben più di Bertinotti – con il miraggio (già allora!) del bipartitismo. Con un PD, ante litteram, che liquidasse l’anomalia dell’ex PCI, o con un Partito Socialista che ridimensionasse il cattolicesimo democratico. Una preistoria vendicativa che ci si ripresenta ancora oggi nelle vesti d’un PD autoreferenziale. Alle spalle del Referendum si gioca quindi anche la partita della natura del PD. Se con questo nuovo PD coalizionale, con questo Governo e con quella che sarà (se sarà) l’evoluzione del M5S. Oppure no. Una cosa è certa, il PD ha vinto in Regioni e Città – anche Brescia ne è un esempio – solo con ampie coalizioni di cui il PD è stato perno. Ciò è possibile quando – come oggi – si gioca non con le facilità dei No, ma rischiando con il coraggio delle difficoltà dei SI.
Questo, per me, il peso che fa differenza tra i due piatti della bilancia.
* Presidente della Direzione Lombarda del PD