Modello: #automobilistasenzafreni… chiavi in mano? PARTE 2 | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Come annunciato, torniamo sul tema del precedente contributo, ovvero gli incidenti stradali. Un tema così importante e delicato per il quale non sarebbe stato sufficiente un solo appuntamento di riflessione...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

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Non guidare più’ velocemente di quanto
sappia volare il tuo angelo custode.
Anonimo

intervista di Irene Panighetti a Doriana Galderisi* – Come annunciato, torniamo sul tema del precedente contributo, ovvero gli incidenti stradali. Un tema così importante e delicato per il quale non sarebbe stato sufficiente un solo appuntamento di riflessione con la dottoressa Galderisi. Del resto, i progetti e le campagne di sensibilizzazione di enti, istituzioni e associazioni dedicati alla prevenzione sono molto diversificati, anche nella nostra città. Tra questi ricordiamo quello della Provincia di Brescia dal titolo: “Quando guidi poche storie”, con il concept di campagna focalizzato sulla distrazione e in particolare sull’utilizzo del telefono alla guida.

Dottoressa Galderisi, in una città come la nostra, luogo di partenza della Mille Miglia e, quindi, con una consistente presenza di appassionati verso il mondo delle automobili, viene quasi spontaneo chiedersi: perché guidare piace molto? E, per contro, perché invece alcune persone hanno paura di guidare?

Buongiorno dottoressa Panighetti e grazie per queste sollecitazioni di pensiero.

Quando parliamo della guida, quasi automaticamente la prima immagine mentale che ci appare è quella di un’automobile. Ebbene l’auto è sicuramente un mezzo di locomozione, ma è anche una sorta di rappresentazione della nostra persona, del modo in cui ci vediamo, del nostro carattere, del nostro status sociale… quindi un’automobile è anche un qualcosa che permette di farci acquisire una sorta di senso di sicurezza e di potenza. Consideriamo inoltre che un’auto è un involucro e quindi, in qualche modo, crea una sorta di “armatura” che protegge ma, dall’altro, “sollecita” una rappresentazione di sé come invincibile e questo è un altro dei motivi per cui l’auto piace.

Per i giovani, soprattutto per i neopatentati, l’automobile rappresenta anche uno strumento di autonomia, di indipendenza, di emancipazione dalla famiglia, quindi per loro poter guidare metaforicamente rappresenta un  trampolino verso la realizzazione di sé e dei propri progetti.

In generale un’automobile è uno strumento che può semplificare la vita dal punto di vista logistico e pratico, e, per molte persone, è anche un’esperienza distensiva: quante volte abbiamo sentito dire, o abbiamo detto noi stessi: “Vado a fare un giro in auto così mi rilasso, ascolto la musica mentre guido e vago un po’ con la mente!”. Questo atteggiamento, detto anche mind wandering, può tuttavia essere rischioso perché porta a distrarsi durante la guida; quindi occorre saper dosare bene la parte di relax con quella della soglia di attenzione.

Ma non a tutti piace guidare, anzi, ci sono persone che hanno paura quando si mettono al volante, provando cioè quella che va sotto l’etichetta diagnostica di amaxofobia. Si tratta di una paura non rara, che si può presentare anche senza un trauma pregresso, ovvero la può provare anche chi non è mai stato coinvolto direttamente o indirettamente in un incidente stradale.

Come mai insorge allora l’amaxofobia? I motivi sono ovviamente sempre vari e personali, ma spesso dietro a questa fobia si celano altre paure, legate al timore verso l’indipendenza, l’autonomia, l’assunzione di responsabilità; può anche nascondersi una sorta di paura degli spazi chiusi, dell’essere “intrappolati” in una “scatola di metallo”, la paura degli spazi aperti e di quelli non familiari.

Oltre alla passione per la guida, c’è un comportamento diffuso che si verifica quando succede un incidente, ovvero la pericolosità del contesto viene aggravata da alcune persone che si fermano a guardare. Da dove deriva questa sorta di voyeurismo?

Si tratta di un fenomeno molto diffuso e pericoloso, che viene chiamato effetto Rubberneck per il quale molto spesso si vede, ancora prima dell’incidente in sé, un nugolo di persone che guarda e che provoca così ingorghi e, talvolta, difficoltà ai soccorsi.

Come mai si verifica così frequentemente questa situazione? Dapprima per un motivo molto umano che ha a che fare con la solidarietà: ci si ferma cioè per verificare se c’è bisogno del nostro aiuto. Si tratta di una motivazione nobile ma, quando ci si rende conto di non essere utili, è bene lasciare spazio a chi invece serve, come ambulanze, personale sanitario e/o delle forze dell’ordine.

C’è poi un altro motivo che porta le persone a fermarsi a guardare gli incidenti e cioè il fatto che ciò ci mette a confronto con la morte e con la paura che abbiamo della morte, nostra e altrui. Guardare un incidente, a maggiora ragione se grave, provoca una sorta di catarsi, che ci spinge a capire che cosa è successo per cercare di evitare che capiti anche a noi, oltre che per rafforzare un’idea di immunità, una convinzione che a noi non potrà mai accadere qualcosa di simile a ciò che stiamo vedendo. Si tratta di un processo molto inconscio: guardiamo un incidente per convincerci, erroneamente, che a noi non potrà succedere. Questo rimanda ad un concetto che abbiamo sviluppato nella prima parte dedicata a questo tema, pubblicata due settimane fa: in quel contesto avevamo descritto il cosiddetto bias dell’ottimismo. Un esempio di bias dell’ottimismo è pensare di poter avere una stima perfetta del rapporto tra velocità, potenza e tempo per decidere se accelerare o rallentare quando si avvista qualcuno sul ciglio della strada in procinto di attraversare oppure sulle strisce pedonali. Questo fenomeno che viene indicato come time to contact (TTC) e che è appunto la stima che il nostro sistema cognitivo compie nel calcolare la presunta distanza e velocità per evitare l’ostacolo, è molto ingannevole, sopratutto se tra gli “attori” della scena coinvolti vi sono dei bambini. Questo perché le funzioni cerebrali responsabili di “quantificare” correttamente tutti questi parametri per decidere se procedere o se fermarsi non sono ancora maturi nei bambini.

Capita spesso che alla guida molte persone abbiano un comportamento molto diverso da quello che invece hanno in altri contesti, cioè che, al volante, diventino irritabili, aggressive talvolta volgari e violente per questioni futili come un parcheggio o un sorpasso. Si può fare una sorta di elenco di tale comportamenti, capire perché insorgono e come affrontarli?

Eh sì, si tratta di un fenomeno molto diffuso e che riguarda davvero tutti noi: almeno una vota nella vita infatti ciascuno di noi, in una situazione di guida, ha avuto comportamenti aggressivi, nervosi o addirittura volgari; per poi magari pentirsene in un secondo momento, o non appena fuori dalla propria automobile. L’aggressività verbale, gestuale o d’azione alla guida di un veicolo viene indicata con l’espressione “road rage” (rabbia al volante).

Uno degli atteggiamenti più frequenti è quello che porta al tagliare la strada (tailgating), o al tallonare il veicolo che ci precede con l’intento di superarlo il prima possibile, facendo venir meno le distanze di sicurezza e aumentando così il rischio di tamponamenti. Ancora, c’è chi suona il claxon in continuazione per chiedere strada, o abbassa il finestrino appositamente per insultare o per fare un gestaccio.

Sono situazioni molto diffuse ma che sarebbe bene evitare il più possibile, per la sicurezza propria e altrui in strada ma anche per la nostra salute! Riconosco che non è facile: non è certo semplice… Per facilitare l’insorgere di queste buone pratiche è bene ricordarsi alcune regole in apparenza banali ma molto efficaci: dapprima considerare la strada come un luogo collettivo e non privato, ovvero non pensare che la strada sia il corridoi di casa propria e, quindi, assumere atteggiamenti rispettosi del bene comune.

Poi partire sempre con un buon margine di tempo: gli imprevisti del traffico possono rallentare il nostro spostamento, ma se avremo calcolato di metterci alla guida con un anticipo sufficiente è più facile evitare l’insorgere di situazioni di fretta e di ansia di arrivare in ritardo.

Ancora: mantenere sempre la calma, in ogni situazione, anche in quelle più tese.

E ancora quindi non assecondare l’aggressività altrui, non guardare negli occhi l’interlocutore aggressivo (fenomeno che va sotto il nome di eye contact) perché questo intreccio di sguardi, come le neuroscienze ben descrivono, ha il potere di andare a stimolare le aree cerebrali che recepiscono le minacce, generando di conseguenza delle controreazioni aggressive e involontarie.

E poi… evitare di fermarsi, evitare di voler necessariamente far ragionare l’altro, evitare di cogliere le provocazioni nonché di dare risposte “simmetriche” (occhio per occhio, dente per dente: NO) alle sollecitazioni negative. Tenete in mente questo set di indicazioni consente di riuscire a superare situazioni molto difficili in cui la tensione e la paura possono giocare brutti scherzi.

Care lettrici e cari lettori, vi saluto con un verso della canzone di Lucio Battisti:  Sì viaggiare, in attesa di ritrovarci tra 15 giorni: “Si, viaggiare / evitando le buche più dure / senza per questo / cadere nelle tue paure / gentilmente / senza fumo con amore / dolcemente viaggiare / rallentando per poi accelerare / con un ritmo fluente / di vita nel cuore / gentilmente / senza strappi al motore”.

(Rubrica a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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