Ricordati che devi morire… Ho capito, me lo devo segnare? | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Dopo il Veneto anche la Regione Lombardia sta affrontando la tematica del fine vita, con la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare: «Liberi Subito», presentata al Pirellone nelle scorse settimane dai promotori con, a sostegno, oltre 8mila adesioni di cui oltre 2mila bresciane...

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

(Anno nuovo rubrica nuova! Ricomincia la rubrica psicologica per Brescia, dal titolo “Brescia vista dalla psicologa”, a cura della dottoressa Doriana Galderisi, nella nuova forma di dialoghi con la giornalista bresciana Irene Panighetti).

di Doriana Galderisi* – Dopo il Veneto anche la Regione Lombardia sta affrontando la tematica del fine vita, con la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare: «Liberi Subito», presentata al Pirellone nelle scorse settimane dai promotori con, a sostegno, oltre 8mila adesioni di cui oltre 2mila bresciane. Il tema quindi pare sentito, eppure, sono davvero pochi i bresciani così come tutti gli italiani, che hanno depositato in Comune le proprie Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat): nella nostra provincia lo ha fatto una percentuale di persone che si attesta a  meno dello 0,5 per cento. A conferma del fatto che, se una legge offre un diritto, non è automatico che questo diritto sia fatto proprio dalla popolazione.

Dottoressa Galderisi il fine vita è un tema scomodo? In altre parole, come mai facciamo così fatica a pensare alla nostra morte?

Questa domanda mi richiama alla mente una famosa battuta del noto attore Massimo Troisi nel famoso film: “Non ci resta che piangere”. Si tratta della scena in cui un predicatore continua a ripetere a Troisi “Ricordati che devi morire” e l’attore risponde: “mo’ me lo segno, non vi preoccupate”.

Ecco, questo battuta è solo in apparenza comica e leggera, perché in realtà apre una riflessione profonda e difficile, ovvero quella sulla morte.

Se ci fermiamo a pensare a questo concetto, ci rendiamo conto che la morte è l’evento più ineluttabile, più sicuro, più ineliminabile della nostra vita! Molte, al contrario sono le cose che possiamo scegliere di non fare: non fare figli, non sposarci, non studiare, non lavorare, non curarci… ma… non possiamo decidere di non morire. Nessuno di noi lo può fare.

Siamo immersi un una società in un cui la morte viene accantonata, come chiusa un un cassetto, tenuta dietro ad un sipario, sul cui palcoscenico, nella nostra vita, sono protagoniste la giovinezza, la vitalità, la prestanza e la produttività. Essere giovani è il mito della società attuale, che si traduce in una sorta di illusione di immortalità.

La teoria della gestione del terrore, la “terror management theory” (TMT di Greenberg, Pyszcznski, & Solomon); ci spiega proprio come vi è un costante tentativo di allontanare dalla vita la morte, di spostarla, come se non ci appartenesse, attraverso una serie di illusioni come, appunto, la prestanza o l’eterna giovinezza. La frase del film “Non ci resta che piangere” invece dovrebbe sollecitare in noi maggiore consapevolezza di come la vita sia tale proprio perché esiste la morte e quindi come sia necessario affrontare con umiltà, generosità tutto ciò che la vita ci offre.

La morte ci fa soffrire, sì, ci fa molto soffrire (ricordo che l’argomento è stato trattato anche in questa rubrica)  ed è proprio per questo che, soprattutto nell’epoca attuale è necessario pensare ad una “educazione alla morte” (death education), che riguardi le giovani generazioni, che sempre meno sono aiutate nel comprendere questo passaggio fondamentale dell’esistenza attraverso l’insieme dei riti dedicati e della condivisione della comunità, come invece accadeva per le generazioni precedenti.

In questo senso possiamo ritrovare delle ottime riflessioni, offerte da ospiti importantissimi come don Flavio dalla Vecchia, direttore dell’Istituto superiore scienze religiose dell’Università Cattolica e la professoressa Ines Testoni, tanatologa dell’Università di Padova  che è stata annoverata tra i 100 scienziati dell’animo umano italiani studiosi della morte, nel percorso scientifico da me ideato: “La scienza di eccellenza”, attualmente alla quinta edizione, in un episodio dell’aprile 2022 dal titolo: Ombre di Luce. Morire oggi… in tempo di pandemia e di guerra. Il lutto e l’“esistere oltre” tra Religione, Scienza ed Esperienze Umane (lo potete trovare qui.

Scegliere come terminare la propria vita tuttavia risparmierebbe i nostri cari dal dover affrontare decisioni drammatiche in vece nostra, eppure sono davvero poche, a Brescia e in tutta Italia, le persone che hanno formalmente lasciato le proprie Dat. Secondo lei come mai?

Le Dat sono, lo ricordiamo, le disposizioni anticipate di trattamento, ovvero delle volontà che sono depositate quando ancora la persona è in grado di esprimersi in vista del momento in cui non lo sarà più a causa della malattia. In pratica un testamento biologico, che è stato introdotto come diritto dal 2017 con la legge 219. I dati a 7 anni di distanza segnalano  come siano ancora poche le persone che depositano le Dat.

Come mai? I fattori sono, come sempre, molti e, per certi versi, contraddittori. Tra questi un aspetto controverso è dato dal fatto che in questi 7 anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge, si è verificato un evento unico, epocale, stravolgente e cioè la pandemia. Durante il Covid abbiamo assistito alle morti in cui non vi era possibilità di esprimersi, le persone morivano sole e in modo terribile. In altre parole, il tema della morte in pandemia era, oltre che molto forte, molto angoscioso, proprio per le caratteristiche in cui le morti avvenivano. Quindi, teoricamente, tutto ciò in qualche modo avrebbe dovuto sollecitare le persone a confrontarsi con il tema della fine della vita e, sempre in teoria, a predisporsi maggiormente a compilare  la disposizione anticipata delle proprie volontà di trattamento.

Il fatto che ciò non sia avvenuto ci fa riflettere, ancora una volta, su come, il concetto di morte intrecci una serie di fattori che non sono solo culturali e ambientali ma che riguardano il nucleo profondo del concetto stesso, cioè la difficoltà a pensare la propria morte, a considerarla un pensiero “normale” e sano, presente in ognuno di noi. Se poi pensiamo che ci sono persone angosciate dalla propria morte, (tanatofobia), questo ci fa capire come quando noi osserviamo il trend dell’applicazione delle Dat dobbiamo adottare una visione scevra da moralismi ma anche sganciata da aspetti percettivi come può essere la quantità, i numeri di adesione. E’ un argomento su cui è ancora necessario costruire conoscenza, informazione corretta, con dati scientificamente consolidati.

E’ possibile avere un approccio positivo al pensiero della propria fine?

L’approccio positivo è possibile e deriva dall’apprezzare ogni istante della propria e dell’altrui vita. Si può affrontare il pensiero della morte in modo sereno dando valore ad ogni giornata, perché, per quanto banale essa possa apparire, è sempre in ogni caso unica e irripetibile. Provare riconoscenza verso ogni situazione che la vita ci presenta, anche quelle difficili, che ci insegnano il valore delle piccole cose e delle persone.

Ecco, un fatto importante è prestate attenzione alle persone care, per esempio ai genitori, che magari vengono lasciati soli o trascurati perché siamo presi dal lavoro, dalla nostra famiglia, da noi stessi… ma poi, quando i genitori muoiono, insorgono rimpianti, rimorsi di non aver fatto qualcosa insieme, di non aver detto certe parole, di non aver vissuto con la propria madre o il proprio padre più tempo e in modo più intenso. Insomma, con il rimpianto di aver sprecato un’occasione d’Amore. Se si vuole arrivare al momento della propria morte con la maggior serenità possibile è importante cercare di non avere mai la sensazione di “sprecare” la propria vita. Le persone che si dichiarano pronte a lasciare la propria esistenza terrena sono quelle che hanno vissuto intensamente, intendendo con ciò non tanto vita dissipatorie o trasgressiva ma vite in cui l’attenzione e rispetto di sé e del prossimo sono state centrali e obiettivi sempre presenti. Per essere il più possibile pronti a lasciare questa vita è fondamentale poter dire a se stessi dire di aver camminato nel mondo dando un senso ai propri passi. Ma, dottoressa Panighetti vorrei concludere questa conversazione citando parole preziosissime della professoressa Ines Testoni, contenute nel suo famoso libro: “Il grande libro della morte” (Il Saggiatore, 2021): “Il grande libro della morte ci sfida a caricare nuovamente di senso la mostra più grande paura, restituendo l’antico alone di sacralità a questo confine e, al tempo stesso, pensandolo come un passaggio naturale dell’esistenza. E’ solo guardano negli occhi la nostra fine che possiamo vivere pienamente”.

Grazie a voi, lettrici e lettori, e grazie a lei, dottoress

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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Ultimo aggiornamento il 21 Aprile 2024 22:24

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