Vite con poche stelle ma… tante strisce sul pigiama | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Il titolo di questo contributo rimanda al prossimo appuntamento, in calendario il 26 ottobre, del percorso scientifico da me ideato “La scienza di eccellenza” che si svilupperà proprio dalla frase: “Vite con poche stelle ma tante strisce... sul  pigiama. La realtà carceraria tra umanità e istituzioni”.

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

La liberazione non è la libertà:
si esce dal carcere ma non dalla condanna (Victor Hugo)

di Doriana Galderisi* – Il titolo di questo contributo rimanda al prossimo appuntamento, in calendario il 26 ottobre, del percorso scientifico da me ideato “La scienza di eccellenza” che si svilupperà proprio dalla frase: “Vite con poche stelle ma tante strisce… sul  pigiama. La realtà carceraria tra umanità e istituzioni”.

La frase di Victor Hugo posta come sottotitolo, introduce molto bene il cuore del tema di oggi: il carcere e le sue innumerevoli problematiche e contraddizioni. Un tema che anche negli ultimi mesi è stato sotto i riflettori mediatici, a causa dei tanti suicidi avvenuti, delle condizioni di sovrafollamento che impediscono ciò che invece la nostra Costituzione, all’articolo 27 impone: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Eppure sono molti i luoghi dove questo principio viene violato, dove cioè le strutture non rispondono ai requisiti per permettere una vita dignitosa per chi vi è rinchiuso. Tra queste realtà compromesse vi è anche il nostro carcere bresciano, il Nerio Fischione, già Canton Mombello, più volte segnalato in modo bipartisan da politici, istituzioni, enti e associazioni, come una struttura che non presenta le caratteristiche necessarie per poter rimanere funzionante in modo costruttivo.

Questo nonostante i diversi progetti che la società civile mette in atto per e con questo carcere: storicamente ci sono quelli dell’associazione bresciana Carcere e Territorio fondata dall’oggi Prorettore Carlo Alberto Romano, ma anche da realtà più recenti, come l’associazione InPrimis che sta portando avanti il progetto “11 giorni dentro”, di cui io stessa sono tra le prime persone sostenitrici.

Si tratta di progetto che prevede un laboratorio multimediale volto alla creazione di una serie web, dedicato ai detenuti del Nerio Fischione, a studenti e studentesse delle scuole superiori della città di Brescia. Su proposta nata dagli stessi detenuti, verrà prodotta una web serie di 33 episodi di un minuto ciascuno, che inviterà a riflettere sul tema della legalità, valorizzando soprattutto la relazione come antidoto e prerequisito per la costruzione di una società civile sana e coesa.

Il tema della legalità si intreccia con quello della giustizia riparativa, che secondo una definizione dello stesso Ministero della Giustizia italiano, intende “superare la logica del castigo, muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o un comportamento che incrina l’ordine costituito – e che richiede una pena da espiare – bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato”.

A tale percorso è stato recentemente anche ammesso Davide Fontana, il bancario condannato in primo grado a 30 anni per l’assassinio di Carol Maltesi, un caso che proprio il direttore del portale di informazione Bsnews, il dottor Andrea Tortelli, ha seguito da vicino pubblicando poi la sua inchiesta anche in un libro, dal titolo: “Sulla tua pelle” da poco presentato anche a Librixia. La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha accolto la richiesta di ammissione alla giustizia riparativa dell’uomo, che però non è alternativa all’iter penale né incide sul piano civilistico.

Il progetto “11 giorni dentro” è speciale anche perché porta all’esterno immagini e racconti dei detenuti di uno dei peggiori istituti di pena di tutta Italia. La vita di queste persone, al pari o forse un po’ peggio di quella di tutti gli altri carcerati, è caratterizza da un inizio altamente drammatico: l’ingresso infatti viene definito da tanti studi di psicologia penitenziaria proprio come una trauma, poiché vi è una rottura brusca e totale con la vita condotta fino a quel momento, dalle abitudini quotidiane ai rapporti, dai sentimenti ai progetti includendo anche il rapporto con se stessi e con il proprio corpo.

Per questo trauma iniziale la fase successiva, quella di adattamento, può risultare vorticosa o talvolta impossibile e ciò crea problematiche sia personali sia gestionali. Numerosi studi e ricerche, tra cui quelle del sociologo statunitense Erving Goffman, segnalano diverse modalità di adattamento del carcerato, il quale può ribellarsi (adattamento intransigente) o chiudersi in un atteggiamento totalmente apatico (adattamento regressivo), o apparire un detenuto modello (adattamento ideologico) o come un detenuto che si conforma perfettamente alle regole e alle norme (adattamento entusiastico).

Ai nuovi detenuti sono molte le problematiche psicologiche che possono presentarsi: crisi di panico, crisi depressive, disturbi d’ansia generalizzata, agitazione psico motoria… il tutto spesso accompagnato da altri problemi, come il disturbo del comportamento alimentare, fino alla comparsa di sindromi di tipo sistemico carenziale che possono avere degli esiti irreparabili e fatali. Si tratta di tutta una sintomatologia psicologica, fisiologica, comportamentale che si inscrive nei quadri cosiddetti delle sindromi da prisonizzazione, in cui l’erosione dell’identità, la frantumazione dell’autostima e la consapevolezza dell’irreversibilità della condizione di detenzione in quel momento sono decisamente devastanti per l’individuo.

In questo quadro si distingue per la sua crudezza la situazione delle madri detenute e quella dei piccoli che nascono mentre la madre è dietro le sbarre e che quindi vivono questa delicata realtà. E’ un aspetto molto complesso e delicato.

Insomma il carcere oggi appare più come un ambiente deputato alla punizione che alla ricostruzione e alla risocializzazione, come un’istituzione che, invece di rieducare, fa ricadere chi esce nello stesso vortice criminoso che lo ha portato in cella. In altre parole l’integrazione sociale degli ex detenuti è sempre molto dura e spesso fallimentare.

Invece nelle carceri, oltre alla cura dell’ambiente e un minimo di habitat dignitoso per i carcerati, andrebbero coltivate diverse attività per aiutare la crescita e l’evoluzione della persone che, a volte, entra in carcere con un background culturale devastato, impoverito o comunque degradato. Quindi è essenziale avere la possibilità di studiare, oltre che di lavorare, di ricevere una formazione, di avere figure di aiuto, come per esempio quella dello psicologo, che è una figura di recente introduzione. Lo psicologo, oltre a favorire il reinserimento e la socializzazione, ha anche il compito di sviluppare nella persona delle modalità di ripensamento del proprio progetto di vita, individuando strade alternative al delinquere: in tal modo si riduce il rischio di recidiva.

Tutti questi temi saranno affrontati il prossimo 26 ottobre durante la quarantasettesima puntata de “La scienza di eccellenza”, che, lo ricordiamo, per la sua rilevanza ha il patrocinio del Comune di Brescia, che quest’anno è Capitale della Cultura italiana insieme a Bergamo. Con il titolo: “Vite con poche stelle ma tante strisce… sul  pigiama. La realtà carceraria tra umanità e istituzioni”, l’incontro, come sempre in diretta streaming sui miei canali social, avrà ospiti illustri: il criminologo Carlo Alberto Romano, il video maker del progetto “11 giorni dentro” Nicola Zambelli e la Garante dei detenuti di Brescia, dottoressa Luisa Ravagnani. Con loro cercheremo di delineare le caratteristiche del mondo carcerario di oggi, incluso l’aspetto della madri detenute, e, soprattutto, le sue prospettive di evoluzione.

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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Ultimo aggiornamento il 30 Aprile 2024 07:07

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