Corri che ti passa | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

“La maggior parte delle persone corre una gara per vedere chi è il più veloce. Io corro una gara per vedere chi ha più coraggio”: questa frase del mezzofondista statunitense Steve Prefontaine mi è venuta in mente domenica scorsa, quando, dal mio balcone, ho visto sfilare oltre ottomila persone per la “Race for the cure”, la maratona benefica organizzata da Susan G. Komen Italia per sostenere le donne operate al seno, ma anche per la prevenzione e la ricerca

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

Sembra sempre impossibile farcela. Finché non ce la fai.
(Nelson Mandela)

di Doriana Galderisi* – “La maggior parte delle persone corre una gara per vedere chi è il più veloce. Io corro una gara per vedere chi ha più coraggio”: questa frase del mezzofondista statunitense Steve Prefontaine mi è venuta in mente domenica scorsa, quando, dal mio balcone, ho visto sfilare oltre ottomila persone per la “Race for the cure”, la maratona benefica organizzata da Susan G. Komen Italia per sostenere le donne operate al seno, ma anche per la prevenzione e la ricerca.

La “Race for the cure” è una delle tante iniziative sportive, in particolare proprio di corse e camminate, che sono proposte ormai da anni anche a Brescia: penso alla Corsa Rosa che Uisp organizza attorno all’8 marzo, ma anche alle serate di CorriXBrescia, che una volta a settimana riempiono il centro storico durante quasi tutto l’anno.

Ma che cosa spinge le persone a partecipare a questi eventi e in modo così massiccio? Per rispondere pensiamo alle parole dello scrittore Mark Rowlands, secondo cui “Correre è lo spazio aperto dove vanno a giocare i pensieri”.

Gioco, quindi, piacere della scoperta ma anche piacere di stare insieme: queste corse sono infatti manifestazioni trasversali, che coinvolgono donne e uomini di ogni età, di ogni estrazione sociale e provenienza culturale, ma anche tante famiglie e gruppi di amiche e amici e questo dimostra come queste corse possano costituire un modello di socialità condivisa e bella proprio perché praticata in compagnia.

Un altro aspetto che rende così attrattivi gli eventi come la “Race for the cure” è il fatto che non sono competitivi: chi partecipa lo fa non per vincere, non per arrivare primo, ma per condividere valori e impegni sociali. Lo evidenza bene lo scrittore Haruki Murakami: “Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no in fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore”.

Tutto ciò crea, in chi prende parte ad eventi sportivi di questo genere, una sensazione di serenità, di rilassamento, perché sono assenti gli elementi tipici dell’agonismo, quali, appunto, la competizione, l’ansia da prestazione, la paura di un insuccesso… tutti fattori che talvolta creano ombre nell’approccio sereno ad una attività sportiva.

Nella mia pratica clinica di psicologa dello sport diverse volte mi sono imbattuta in atleti in difficoltà, in atleti cioè che hanno delle potenzialità molto grandi e prospettive di un futuro brillante ma che inciampano nei gradini dell’ansia, della tristezza, della perdita di senso. In altre parole la loro sana motivazione verso la pratica sportiva e la loro progettualità vengono fermate da un mostro psicologico: la paura di non farcela, dell’insuccesso, di commettere un errore, di deludere, di fare brutta figura.

Ancora, specialmente in atleti adolescenti, tutto ciò si somma alla paura di perdere altri aspetti della vita di cui invece potrebbero godere, come i loro coetanei non sportivi, se non avessero l’impegno, che richiede costanza, perseveranza e sacrificio, degli allenamenti per migliorarsi nella disciplina sportiva in cui si è scelto di competere.

A tutti questi giovani talenti e potenziali campioni ricordo quindi le parola del filosofo  Frederich Nietzsche: “Un piede avanti l’altro, un passo alla volta, non ha importanza quante volte cadi, quello che è importante e che ti rialzi una volta in più… Se non credi in te stesso non pensare che gli altri lo facciano per te. Le prove a cui sopravviviamo ci rendono più forti”.

Come in ogni contesto, anche in quello sportivo quindi è necessario il giusto equilibrio: praticare una disciplina atletica va benissimo ma senza eccessi. Del resto, come ormai tutti gli studi confermano,  un giusto approccio all’attività fisica è il modo migliore non solo per prendersi cura della salute del proprio corpo, ma anche per migliorare la propria salute psichica.

Correre, fare movimento in generale, ha un grande impatto benefico sulla salute psicologica: ha un effetto positivo sull’umore, sugli stati d’ansia e sulla depressione perché rimanere fermi, chiusi in quattro mura, o in solitaria davanti ad un monitor, non stimola certo l’allegria, l’ottimismo, la serenità.

Molte persone che incrocio durante la mia pratica clinica mi dicono: “dottoressa, quando ho un problema devo andare a correre”, confermando quando sostenuto dal saggio Confucio: “Quando corro tutti i pensieri volano via. Superare gli altri è avere la forza, superare se stessi è essere forti”.

Questo perché la corsa rappresenta un po’ la sfida verso le fatiche, la necessità della tenacia, della resistenza, della tenuta e del guardare avanti verso obiettivo senza guardasi indietro e senza fermarsi troppo.

Nel caso della “Race for the cure” inoltre si aggiunge il fattore legato alla sensibilizzazione verso un tema delicato come tumore al seno, una situazione che ho analizzato in un mio articolo di questa rubrica che potete rileggere qui: https://bsnews.it/2022/11/27/stammi-bene-previsione-brescia-psicologa/

Last but not least… La corsa favorisce anche il benessere relazionale, affettivo e sessuale: lo dimostrano diversi studi appositi, che confermano la correlazione tra corsa, esercizio fisico e desiderio e attività sessuale. Nelle donne inoltre l’attività sportiva, quindi anche la corsa, aiuta ad avere un miglioramento del quadro sintomatologico legato alla menopausa.

Volersi bene significa quindi anche mettersi in marcia, al passo o di corsa, perché, come osserva il velocista Jesse Owens: “Non importa cosa trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. Il miracolo non è essere giunto al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire”.

Con l’augurio di avere sempre il coraggio di partire vi ringrazio per l’attenzione e vi aspetto alla prossima puntata, quella del primo ottobre, data in cui inizio la mia attività professionale anche a Desenzano (oltre che a Brescia). A Desenzano mi troverete in vicolo Filatoio 19, al secondo piano. Lo studio è sopra la nota farmacia Capolaterra, adiacente a Piazza Garibaldi (ampio parcheggio).

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. Esperta in psicologia dello sport iscritta nell’elenco degli psicologi dello Sport di Giunti Psychometrics e del Centro Mental Training. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELLA RUBRICA DI DORIANA GALDERISI CLICCANDO SU QUESTO LINK


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Ultimo aggiornamento il 29 Aprile 2024 01:31

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