✴️ Pd, è il momento di separare “Libertà” e “Giustizia” | di Elio Marniga*
di Elio Marniga* – Il 18 agosto, constatata la vuotezza e la ricorrente volgarità della campagna elettorale, ho iniziato a disertare le pagine dei quotidiani e le trasmissioni televisive dedicate alla politica. Ora vedo che qualcuno, pur soffermandosi ancora troppo sugli esiti e sulla ricerca dei meriti e delle colpe, riprende a guardare al futuro, a ragionare sul che fare. Ci provo pure io, riferendomi più all’area del centrosinistra che ad altre formazioni.
La democrazia sa essere una dittatura terribile: conferisce il potere di governare anche agli ignoranti, agli stupidi, agli imbecilli, a quelli che i perdenti alle elezioni ritengono tali ma: il potere appartiene al popolo, che si esprime attraverso il libero voto. Unica condizione: che tutte le forze politiche in campo rispettino, prima, durante e dopo le elezioni, le regole preventivamente concordate ed espresse nella Costituzione. Ha vinto il centro destra? Faccia, ma rimanga nella Costituzione e, soprattutto, mantenga le condizioni tutte che possano consentire la pacifica alternanza alla guida dello Stato. Io credo che così sarà. Poi il popolo giudicherà.
Scendendo un gradino guardo al Pd, che a me interessa in modo principale, e leggo le parole di Letta che richiede una rifondazione del partito di tale importanza che potrà manifestarsi persino con il cambio di simbolo e di nome. Bene Letta, ma parte male perché propone, attraverso procedure congressuali elaborate, un nuovo compromesso in sostituzione di quello tragico attuato da DS e Margherita e celebrato al Lingotto da un generoso ma astratto Veltroni.
Due i protagonisti: i DS erano eredi di quel PCI ch’era stato travolto dal muro abbattuto dalla realtà e che ancora conservava delle componenti cui quella ferita ancora non s’era cicatrizzata; la Margherita, alleanza tra forze riformiste ma con una preponderante presenza di quel Partito Popolare, ex DC, al quale il nostro Martinazzoli, per sua pigrizia fattuale, non era stato capace di dare vitalità. Ed ecco convivere in una casa comune, senza fondamenta, due estranei, forzati a ciò: uno, la Margherita, per paura di disperdersi, l’altro, il DS, per tema di eterna emarginazione.
Risalendo il gradino, tutti i matrimoni e pure le convivenze richiedono un accordo profondo sui fondamenti dell’unione; per quelle politiche lo sono i principi fondamentali, quelli che ne costituiscono la religione, quelli oggetto di fede; per me la Libertà.
Alcuni anni fa è nato, ad opera di stimati intellettuali, un movimento chiamato. “Libertà e Giustizia”, non Giustizia e Libertà come fu per i fratelli Rosselli ma, conservati gli stessi valori, per non fare ombra ad un nome prestigioso e sacro a molti, ne avevano invertito l’ordine. Per mia leggerezza, attirato da quella inversione, ho aderito subito ma, dopo poche frequentazioni, mi sono avveduto che Giustizia era al primo posto, Libertà a seguire. Non era quindi per me.
Ecco non è qui il luogo, e io neppure ne sarei in grado, di disquisire su tutte le sfumature dei due valori quindi mi accontento di esemplificare quanto vorrei che il dibattito nel Pd evidenziasse: la netta distinzione, fino alla separazione, tra chi è per la Libertà senza se e senza ma e coloro che sostengono che “non c’è libertà senza giustizia”, concetto che mi son sentito più volte proporre da amici ex comunisti. Sono due veli sottilissimi ma impermeabili che tengono distinte e separate due visioni ben differenti della società e dello Stato ed è bene quindi che il dibattito le metta in evidenza chiara, senza tatticismi e pensieri sottaciuti. Separati ma sempre dialoganti sui problemi concreti; fermi ma disposti sempre a concedere un poco del proprio per avere un poco dell’altro, ossia intenti seriamente al fare politica.
Questo io mi aspetto nei prossimi mesi dal dibattito politico all’interno della sinistra; qualcosa di più che il rivendicare una segreteria perché si è donna, qualità che è certamente un valore aggiunto per chi ha idee e programmi.
E a Brescia? I Comuni hanno compiti limitati e quindi non vivono al loro interno grandi cambiamenti se non sono provocati dalle forze politiche nazionali e a me, che seguo con minor interesse le vicende comunali, esse paiono meno complicate: il PD da tempo è il Sindaco e la maggior parte di quelli del “non c’è libertà senza giustizia” già se ne sono andati in Articolo Uno, alcuni magari anche rinnegando il proprio passato di comunisti, il che è buona cosa. Naturalmente continuano a chiedere, senza spiegarne i motivi, di allargare il campo pure al M5S che, avendo ormai totalmente abiurato la democrazia diretta, può essere un buon contenitore di scontenti e contribuire, anche se marginalmente, a sconfiggere la destra, galvanizzata dall’esito delle elezioni nazionali ma con un Rolfi ridimensionato. E il problema di queste richieste non è poi irrisolvibile: basta far caporale il rivoluzionario per star tranquilli.
C’è di certo, nel PD bresciano, una forte componente di riformisti ex PCI i quali però non osano molto e quindi poco ottengono: basta pensare alla vicenda della torre di San Polo abbattuta e, in genere, alla politica urbanistica. E poi, per mia cecità, non riesco a vedere la sinistra bresciana affrontare un dibattito tanto lacerante come quello che ho auspicato per il PD nazionale, quindi me ne sto alla finestra, pronto tuttavia a scendere in strada se chiamato.
* Le opinioni di questa rubrica non esprimono la linea editoriale del sito, ma il parere di chi le firma
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