Non è cultura se non migliora l’uomo | di Elio Marniga
dI Elio Marniga – Non è cultura se non migliora l’uomo. Parole banali? Può essere; non per me che son giunto a questa conclusione ripensando alle parole che – pomeriggio di giovedì, all’AAB – Massimo Tedeschi, mentre presentava il libro di Paolo Barbieri “Forme della ribellione”, pronunciò a proposito degli intellettuali e della loro presenza nell’oggi. Non sono le parole precise ma credo di riferirne l’esatto significato: “oggi per i pensatori non c’è spazio; è preso tutto dai presenzialisti”. ( Nonostante fosse presente il professore Emanuele Severino, come dargli torto, constatato che ormai sono gli “influencer”, onnipresenti sul Web come sulla carta del parrucchiere, a dettare pensieri e vita?)
Si era accennato al passato; erano stati citati nomi di intellettuali che avevano lasciato l’impronta nella loro società. Dai “Pensieri” e dallo “Zibaldone” di Leopardi, si era giunti, con nomi non insignificanti, al Pasolini di “Valle Giulia” e al dibattito che ne era sortito, crudele specie nella sinistra comunista. Certo, aggiunge poi Claudio Bragaglio, non è più tempo dell’intellettuale impegnato ma, per riaffermare il primato della politica, qualche idea la dobbiamo tirar fuori e, esplicito io, se non lo fa l’intellettuale lo faccia il politico.
Ma ci sono intellettuali a Brescia? Non conto Severino, che la città ha riconosciuto da non molti anni e che è altrove. Nelle redazioni, nelle case editrici, nelle scuole ci sono di certo intellettuali, ma sono di indole pantofolaia, non amano le querelle; coltivano il loro orticello che non ha ortiche; al massimo un’occhiata in tralice al collega che, per sbaglio, ha… Insomma si sono adattati alla laboriosa sonnolenza opulenta della città. (Il Bruttanome? Boh!) Anche la politica è paludata e paludosa: il Magazzino 47 è un bravissimo organizzatore di eventi; il M5S si affida ad un laborioso artigiano; la destra; la destra??? D’altronde una città che, quando ha avuto l’occasione di avere un sindaco comunista, ha scelto un democristiano dice di non voler essere disturbata.
Anche la recente intervista rilasciata ad un quotidiano cittadino da Umberta Gnutti Beretta, consigliera della Fondazione Brescia Musei, mi ha invogliato a pensare alla “cultura” e a quale significato questo termine ha per me. E a come lo vedo esemplificato nella mia città.
Pur sapendo che è impossibile definirne un concetto che possa essere accettato in modo univoco, mi permetto, con non poca sfacciataggine, di esplicitare il mio: cultura è la conservazione, la valorizzazione, la difesa e la trasmissione delle tradizioni, del pensiero, delle varie forme d’arte, di lavoro e di costumi che sono proprie di un popolo e che lo fanno diverso da altri popoli. Ma tutto questo non sarebbe cultura se non aggiungesse nulla di nuovo a ciò che è stato. Cultura deve essere creazione e stimolo alla creazione e all’innovazione: le radici nel passato, ma il presente nel futuro. Se non fa questo si tratta di erudizione, di vari gradi, ma non di cultura.
Allora riprendo quanto detto da Umberta Gnutti, con la quale posso condividere alcuni pensieri, ma non tutti. A differenza sua, se l’ho ben compresa, non demonizzo le pressoché giornaliere feste in piazza che si alternano, e qualche volta si sovrappongono nella nostra città; né disdegno le giovanilistiche manifestazioni, alcune rumorose, altre molto rumorose, altre quiete che vengono messe in campo e in strada dalla o con la collaborazione dell’amministrazione comunale: mi piacciono perfino le salamine e la pastasciutta di via Odorici. Non demonizzo nulla, però non mi basta. Potrebbe bastarmi una manifestazione, che credo di successo, come Librixia, se sotto il grande telo non mancassero le più titolate case editrici bresciane e se le tante presentazioni di libri che vi si tengono lasciassero traccia più consistente del foglio del giorno appresso. Mi soddisfa invece, è un esempio, CidneOn; mi soddisfa perché mi rendo conto che l’arte ha già avuto i tori di Lascaux e i Giotto e i Picasso e che da qualche parte deve pur andare, come ha fatto, bene, Christo.
Ma ciò che più mi ha interessato delle parole della signora Gnutti è il suo richiamo a ciò che può essere fatto, a favore della crescita culturale, dalla famiglia e dalla scuola. Allora mi è venuto alla mente lo zio Piero, terza elementare, operaio, appassionato di lirica che riusciva a portare i due figli fino al Grande almeno una volta all’anno e questi cari cugini che lo stesso hanno fatto con i loro figli e che non potevi andare a trovarli se non eri disposto ad ascoltare almeno una romanza interpretata da Tagliavini, il loro preferito.
E mi sono ricordato di quell’ora trascorsa veloce, anni fa, nel museo di Bruges ad ammirare una giovane maestra che, a soli cinque bambini, (mi spiegò poi che, a turni, riusciva a portarvi tutta la classe) spiegava e linee e colori e storia e modo di dipingere e mondo della Madonna del canonico di Van Eyck. Perché non ci proviamo pure noi, invece di portare a santa Giulia o in Pinacoteca intere scolaresche a cincischiare? E, già che mi è stato suggerito, perché non facciamo anche noi le sponsorizzazioni a dieci euro delle opere d’arte da restaurare?
Considerazioni perse le mie. Ma ormai le ho esposte.