▼ Brescia, domenica al teatro Der Mast si ride con Il Sarchiapone rivisitato da Alberto Cella

Lo spettacolo prende il nome dal memorabile sketch di Walter Chiari degli anni Cinquanta, il cui oggetto è ormai entrato nel nostro vocabolario per descrivere qualcosa di strano e indefinibile

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Foto da ufficio stampa

Al teatro Der Mast di Brescia – domenica 19 maggio, dalle 21 – si terrà la prima dello spettacolo Il Sarchiapone, scritto da Alberto Cella.

Lo spettacolo prende il nome dal memorabile sketch di Walter Chiari degli anni Cinquanta, il cui oggetto (il Sarchiapone, appunto) è ormai entrato nel nostro vocabolario per descrivere qualcosa di strano e indefinibile. Anche se nell’originale napoletano il termine indica una persona di poco cervello e molta carne.

La serata metterà in scena filmati d’annata e sketch dal vivo, per ridere sui nostri difetti di oggi, attraverso tre classici espedienti comici che originano il pretesto su cui sciorinare un compendio di battute d’annata e attuali: le interviste, le conversazioni attorno a un tavolino e la panchina. Insomma: “Una divertente serata di sane risate per demonizzare le angosce dei nostri tempi, rivedendo le paure del nostro passato più recente raccontate dalla satira di ieri”.

L’ingresso intero è di 12 euro, il ridotto a 10 (over 65, minorenni, tesserati ContaminAzioni e DerMast). Ingresso gratuito per i bambini sotto i 12 anni.

IL SARCHIAPONE

Drammaturgie e regia di Alberto Cella

Con:

Alberto Cella

Fiorenzo Savoldi

Giuseppe Carpanzano

Scene, costumi e allestimenti – Mario Bresciani

Videomaker – Emanuele Bresciani

A PROPOSITO DEL SARCHIAPONE (COMUNICATO STAMPA)

Sarchiapone è una parola napoletana che deriva dal greco sarx – poiòs e significa “fatto di carne”. A Napoli assume vari significati e come altri termini dialettali è difficilmente traducibile perché assume significati diversi e nessuna definizione al di fuori dall’idioma che l’ha concepito, riesce a incorniciarlo perfettamente. Detto questo, volessimo darne una definizione teatrale, potremmo paragonare il termine ai tratti di una maschera, quella del credulone con poco cervello e tanta carne. Un’immagine riassume incisivamente un concetto che è nel contempo semplice e complesso e che “saggezza popolare” ha ridotto, in sintesi estrema, ad una parola sola che cambia umore e significato a seconda del tono.

Walter Chiari si trovava in spiaggia a Fregene quando venne attratto dallo strillo di un venditore ambulante di fischietti, così detti “lingua di suocera”, del motto: “venite, comprate il Sarchiapone napoletano”. Alcuni bambini allontanandosi dal banchetto dell’ambulante si pavoneggiavano l’un l’altro dicendosi “Sai che io ho il Sarchiapone Americano” da qui l’ispirazione che portò Chiari a scrivere in pochi minuti la bozza dello sketch che venne rappresentato per la prima volta il 9 febbraio del 1958. Da allora il termine entra nel vocabolario della lingua italiana con una nuova declinazione ed è stato usato, per un certo periodo, anche nel linguaggio comune per indicare qualcosa di strano e indefinibile.

Nella fase di gestazione di un’intuizione che diventerà un progetto concreto non esiste idea che non sia stata anche per pochissimo tempo un Sarchiapone, anche quando la prima intuizione è un titolo che diventerà definitivo. Così è capitato anche stavolta e cercando di dare una definizione o un titolo (cosa che è tremendamente d’aiuto) al lavoro che stavamo imbastendo attorno all’intuizione di mettere in scena sketch televisivi d’annata, il Sarchiapone si è manifestato come il titolo perfetto nel momento perfetto. Così accade che un titolo diventa un nume a cui affidarsi.

I personaggi che popolano questa pièce sono creduloni e saccenti come il personaggio di Walter Chiari, come le maschere di poco cervello e molta carne, talvolta indispensabili per descriverci.

Così accade che, passando dallo studio di uno sketch a una ricerca d’archivio, come per magia, un filo conduttore si dipana dal groviglio di informazioni raccolte per spiegarci cosa raccontare.

La nostra versione del Sarchiapone non è più così indefinita e si avvale della satira di costume per aiutarci riflettere su noi stessi, i tempi che viviamo, affrancandoci attraverso il nostro passato più recente e consolandoci per l’ingenuità e la creduloneria dei nostri padri. Certo rivedendo col senno di poi è più facile esorcizzare le preoccupazioni di un tempo (seppur così simili alle nostre), con una sana e liberatoria risata.

Infondo siamo tutti sarchiaponi difronte a quello che non conosciamo e l’uomo è sempre timoroso difronte alla scoperta, alla novità, che anche se cercata con tenacia, lo coglie sempre di sprovvista.

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