CORONAVIRUS, perché non urlo? | di Ottavio Di Stefano
Perché non urlo di fronte alla sofferenza della nostra sanità che COVID 19 ha drammaticamente reso evidente?
Perché, quando entrai negli anni ‘70 nel nostro grande ospedale, mi hanno insegnato grandi, anonimi, medici che prima viene il malato.
Perché questo nostro grande ospedale, e tutte, proprio tutte le altre realtà, non importa se pubbliche o accreditate o RSA o Riabilitazioni, della nostra terra, si reggono, oggi, su donne e uomini, non importa se medici, farmacisti, infermieri operatori sociosanitari, tecnici, soccorritori, operai, volontari… e come loro il territorio si regge sui medici e pediatri di famiglia, medici di continuità assistenziale, infermieri, operatori sociosanitari, assistenti sociali e tante altre figure che….. hanno lavorato e lavorano, e questa parola non vi stupisca, con amore.
Si perché questo nostro lavoro va fatto con amore. E senza amore, o se volete passione, non avrebbero retto.
E hanno sofferto, si sono ammalati e non pochi hanno lasciato lì nelle corsie e negli ambulatori la loro vita e meritano il silenzio del rispetto. Ieri è mancato un collega medico di famiglia e faccio davvero fatica, mentre esprimo tutta la nostra vicinanza ai suoi cari, a continuare a scrivere.
Perché non urlo? Perché abbiamo, testardamente, scelto la proposta.
Abbiamo, con determinazione, proposto un tavolo tecnico all’ATS per fornire indicazioni di comportamento clinico ai MMG e queste sono state diffuse il 23 marzo 2020. Sono pubblicate sul sito dell’Ordine, sulla pagina facebook e sono state inviate tramite newsletter a tutti. A breve dovranno essere aggiornate in particolar modo per la terapia.
Sono state attivate le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA). Sono poche e non ne sono state definite bene le funzioni. Dovrebbero attuare valutazioni domiciliari di casi impegnativi da attivarsi su indicazione dei medici di famiglia curanti, instaurando una vera collaborazione. Dispongono di pochi strumenti (in pratica, oltre agli usuali, un saturimetro). Abbiamo richiesto all’ATS con l’apporto di medici di famiglia, AREU ed igienisti che si elaborino, a breve, indicazioni di intervento condivise, integrando con altre dotazioni (possibilità di eseguire ecografie toraciche? Stiamo valutando la fattibilità) e se ne adegui il numero.
Ancora rilanciamo l’appello ad una riduzione drastica, se non azzeramento dalla burocrazia, rendendo prescrivibili senza difficoltà, da parte dei medici di famiglia, i farmaci oggi in uso nel trattamento domiciliare di COVID 19.
Si sono proposte varie soluzioni per le così dette degenze di sorveglianza (pazienti in via di guarigione non dimissibili per ragioni cliniche o non gestibili a domicilio per ragioni strutturali e/o sociali). Si è scelto l’ospedale diffuso (Strutture accreditate, RSA, Riabilitazioni, alberghi etc.). Personalmente ero favorevole all’allestimento di una struttura dedicata, dove fosse possibile, oltre alle situazioni prima esposte, ricoverare malati non severamente impegnati, ma che presentino difficolta di gestione sociosanitaria a domicilio. L’attuale andamento epidemiologico, lo dico con estrema prudenza, mi fa propendere per una vigile attesa.
La discussa questione dei test diagnostici (tamponi naso faringei e non solo). OMS indica nelle condizioni di diffusione dell’infezione “di comunità”, come purtroppo in Italia, la necessità di selezionare categorie mirate, considerando la capacità giornaliera di processare i tamponi (In Lombardia circa 5000 al giorno). Oltre ai pazienti sintomatici ricoverati e tutti gli operatori della salute sintomatici, l’Ordine ha proposto di valutare con test diagnostico i lavoratori di servizi essenziali, con COVID 19 clinicamente diagnosticato, prima del rientro al lavoro. Vanno poi aggiunte situazioni particolari (RSA). Sono indispensabili studi epidemiologici, a campione, per avere effettiva contezza del numero dei soggetti affetti. Infine si stanno validando test per la ricerca degli anticorpi, questi si, secondo gli esperti, da realizzare su vasta scala.
E riteniamo ancora necessaria, se non indispensabile, anche in questa fase in cui si intravede un po’ di luce, ma che comporterà, comunque, molti interventi di riorganizzazione per ritornare alla “normalità”, l’istituzione di una unità di crisi o cabina di regia o tavolo di coordinamento, la si chiami come meglio si ritiene, con tutte le istituzioni (per es. ATS, ASST, Strutture accreditate, Consiglio di rappresentanza dei sindaci, AREU etc.) dove si affrontino i problemi che COVID 19 quotidianamente ci pone ed ancora per molte settimane ci porrà. L’Ordine l’aveva proposta all’esordio dell’epidemia (conservo gelosamente la lettera con cui ne chiedevamo l’istituzione datata 22 febbraio 2020) ed ora con forza la riproponiamo. Ve ne è davvero bisogno.
Fin qui le proposte. Ma mi sento in colpa, molto in colpa. Colpa di cui questa tragedia mi ha reso improvvisamente cosciente.
Dovevo, dovevamo, urlare prima e non solo parlare educatamente nelle nostre, tante, iniziative inascoltate?
Dovevo urlare prima che gli ospedali da anni soffrono per i tanti letti tagliati, per le assunzioni bloccate di medici ed infermieri, che i pronti soccorsi soffocano, che la burocrazia impera e che l’innovazione tecnologica sia medicale che informatica è obsoleta.
Perché non ho urlato sapendo che i medici di medicina generale e pediatri erano stati lasciati soli e non pochi di loro chiedevano risorse vere, infermieri, segretarie, informatica dedicata alla clinica e non solo votata al controllo burocratico-economico.
Perché non ho urlato sapendo che da anni non riusciamo più a parlare con chi a noi si affida. La relazione relegata ai ritagli di tempo.
Perché non ho urlato quando abbiamo accettato un sistema di formazione quasi fasullo.
Perché non ho urlato che era, ed è, indispensabile un terreno comune vero di relazioni con gli infermieri e le altre professioni sanitarie.
Perché non ho, non abbiamo urlato, ma solo sussurrato e proposto, certamente in tante occasioni (rivista, assemblee, convegni), che era indispensabile un svolta radicale del territorio e dell’ospedale, che dovrebbero essere un tutt’uno con pari dignità dei professionisti, di fronte alla sfida della cronicità e dei determinati socioeconomici della salute.
Perché non urlato di fronte alla pervicace invasione della politica che ha condizionato le scelte, le nomine, mentre doveva mettere “la salute in tutte le politiche” (Health in all policies. BMJ Agosto 2018).
Perché non ho urlato?
Perché credo, ancora testardamente, nelle proposte e nelle analisi. Questo è il vero valore di un Ordine professionale.
E ancora, oggi non urlo.
Perché COVID 19 è qui. Di giorno in giorno dobbiamo affrontare qualcosa di nuovo. Ed allora non sprechiamo le nostre competenze polemizzando e mettiamole in campo, insieme, perché il dramma che viviamo lo richiede. Non ascoltiamo i tuttologi, politici e non, ma affidiamoci alle poche incerte evidenze scientifiche per dare il meglio che possiamo a chi si ammala.
Perché la gente muore sola e le nostre parole, una di più nonostante l’impegno lavorativo immane, sono l’unico, l’ultimo, segno di pietas.
L’ho già detto. Dopo questi giorni bui, sì, dovremo impegnarci e far sentire alta, senza urla, la voce degli uomini e delle donne della salute…e tutti dovranno star zitti ed ascoltare perché questa voce viene dai campi di battaglia di questa guerra….. che, noi, tutti noi, medici e non medici, statene certi, vinceremo.
“I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.”
* Presidente Ordine dei Medici provincia di Brescia
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