La poesia, si sa, non va più di moda da un pezzo. Ma Brescia – pur essendo conosciuta in Italia soprattutto per le sue aziende – vanta un’importante tradizione anche in questo campo.
In epoche recenti la leonessa ha sfornato nomi del calibro di Lento Goffi, diplomato al liceo Arnaldo e docente al Calini, scomparso nel 2008. Oppure di Angelo Canossi, il “poeta della brescianità”. Ma anche tre dei poeti italiani più noti nel mondo sono profondamente legati alla nostra provincia. A Giosuè Carducci (e prima al meno noto Aleardo Aleardi), infatti, si deve la definizione di Brescia Leonessa d’Italia (l’ode intitolata Alla Vittoria – Tra le rovine del tempio di Vespasiano in Brescia si conclude così: Lieta del fato Brescia raccolsemi, / Brescia la forte, Brescia la ferrea, / Brescia leonessa dItalia / beverata nel sangue nemico). Vittorio Sereni si trasferì a Brescia a 12 anni e frequentò il liceo Arnaldo prima di tornare a Milano. Mentre non c’è nemmeno bisogno di spiegare i legami tra Gabriele D’Annunzio, “il vate”, e il lago di Garda, dove ancora ha sede il suo Vittoriale.
Ma nella storia della leonessa c’è un nome che pochi ricordano e che una certa fama conobbe all’epoca di Carducci. Parliamo di Giulio Uberti.
Giulio Uberti nacque a Brescia il 5 settembre 1806. Si laureò in legge e da subito si distinse per il suo impegno politico. Mazziniano, partecipò alle Cinque Giornate di Milano (18 e il 22 marzo 1848) e quindi a una campagna garibaldina. Ma fu arrestato dagli austriaci il 6 febbraio del 1953 e costretto all’esilio. Tornò nel Capoluogo lombardo solo nel 1956 (ma altre fonti indicano il 1859) e progettò anche di uccidere Napoleone III (un proposito da cui, pare, lo distolsero gli amici).
Le sue liriche furono caratterizzate da forti toni patriottici e lodate pubblicamente anche da Carducci. In gioventù scrisse un poemetto satirico ispirato a Il giorno di Parini e intitolato Le stagioni di cui portò a termine solo L’inverno (1841) e La primavera (1842). Per diversi anni non pubblicò nulla, ma negli ultimi anni della sua vita diede alle stampe diverse opere come “Italia, Impero, Chiesa” (Ginevra 1870); “Poesie edite ed inedite” (Milano 1871) e “Avvenimenti italiani dal 1859 al 1874”, in cui si avverte la forte influenza di Victor Hugo.
Morì a Milano il 19 novembre che 1876 in circostanze tragiche. Secondo le fonti disponibili, infatti, Giulio Uberti si tolse la vita con un colpo di pistola a causa di un tormentato amore (pare ricambiato) per una sua giovane allieva di origine inglese. Quando lei tornò a Londra lui la raggiunse, ma dovette ben presto rassegnarsi all’impossibilità di quella storia, circondata da voci maligne.
A Giulio Uberti sono dedicate vie in diverse strade d’Italia, tra cui le “sue” Milano e Brescia (sulle rive del Mella, nel quartiere di Fiumicello). Alla sua tragica fine dedicò alcuni versi, nel 1878, anche Felice Cavallotti. Li riportiamo di seguito.
«L’altro era un bardo: Giulio era il nome:
Quindici lustri premeanlo a sera:
Pur sul rugoso fronte non dome
L’ire fremevano dell’alma austera:
Passò imprecando: sferzò: derise:
—Tutto è putredine! — disse… e s’uccise.»
(Felice Cavallotti, Tre ritratti, 1878)
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