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Il ricordo della Strage nell’intervento di Cominelli (Pd) in Parlamento

Mentre a Brescia si celebra il ricordo della strage di piazza Loggia, a Roma la neoparlamentare del Pd Miriam Cominelli, ricorderà il 28 maggio del 1974 con un intervento in Parlamento.

DI SEGUITO IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO:

Il mio intervento per ricordare quello che accadde alle 10.12 del 28 maggio 1974 quando in Piazza della Loggia, a Brescia, cuore del dibattito politico della città, durante una manifestazione antifascista indetta dai partiti dell’allora arco costituzionale e dai sindacati che dichiararono uno sciopero generale, una bomba provocò otto morti e il ferimento di oltre 100 persone. Da quel giorno, i magistrati bresciani non hanno mai smesso di indagare per individuare la mano che pose l’ordigno, da quel giorno si è arrivati al 14 aprile 2012 alla sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Brescia ed a una dichiarazione dei pm che, dopo 38 anni, sembra una resa: ”abbiamo fatto tutto il possibile. E’ una vicenda che va affidata alla storia”. Da 39 anni, quindi, Brescia commemora i suoi morti, da 39 anni vengono deposte corone di fiori nel luogo esatto in cui è scoppiata la bomba, da 39 anni vengono spese parole come queste per celebrarne il ricordo, il ricordo di un atto criminoso che ad oggi non ha ancora dei colpevoli giudizialmente riconosciuti. Diverso è il discorso se ci concentriamo sulla verità storica della strage di Brescia: perpetrata durante una manifestazione antifascista, assume un connotato particolarmente esplicito su quale fosse il clima politico di quell’epoca e su quale fosse il prezzo che lo Stato era disposto a pagare per garantire equilibri politici nazionali ed internazionali. Piazza della Loggia è una vicenda paradigmatica della “strategia della tensione”. Ed i tanti ostacoli posti lungo il cammino delle indagini ci illuminano su quale fosse il livello a cui giunsero i legami (e conseguentemente le coperture) fra apparati statali e veri e propri gruppi armati di stampo neofascista e spiegano anche perché, dopo tanti anni, sia così difficile giungere non solo ad una verità giudiziaria, ma pure ad una memoria condivisa su quei fatti. Ed è terribile constatare, accanto al “non accertamento” della verità processuale, che pure quella “memoria condivisa” non sembra, a volte, interessare più di tanto le stesse Istituzioni nel loro considerare le stragi d’Italia (da Portella delle Ginestre in poi) al massimo una pagina di storia da non ripetere, certo, ma soprattutto da dimenticare in fretta, senza che sia stata raggiunta chiarezza. Questo, oltre a contribuire al senso di sfiducia verso le Istituzioni stesse, ha condizionato anche l’immaginario di molte persone. Spesso, quando arriva a diventare molto confuso il confine tra chi aveva ragione e chi aveva torto, si finisce comunque per trovare una qualche giustificazione a chi ha commesso quei fatti e quindi giornate di commemorazione come quella del 28 Maggio finiscono per diventare eventi di interesse solo per le associazioni/sindacati/partiti e non veri momenti di memoria collettiva appunto. Ecco perché oggi non vorrei ricordare solo le vittime di quella strage, fra le quali vi è anche la madre del nostro collega, On. Bazoli, ma anche il motivo per cui essi si trovavano in quel luogo. Rispetto alle altre stragi, le vittime di piazza Loggia non erano lì per caso, ma avevano deciso liberamente di aderire all’invito del comitato antifascista. Erano persone che ritenevano con la loro presenza in piazza quel giorno, di dare un segno preciso: volevano respingere la violenza neofascista e difendere la Costituzione nata dalla Resistenza. Una strage politica, insomma: ecco perché la sua impunità pesa enormemente sui familiari delle vittime. I valori per cui essi si trovavano in quel luogo, sembrano così annullati, dimenticati; e di conseguenza le persone morte quella mattina sono anch’esse annullate, dimenticate. Solo attraverso il riconoscimento delle responsabilità vengono ripristinate le regole che sono state infrante. Un delitto, qualsiasi delitto, costituisce sempre la rottura delle regole di convivenza della società civile; l’affermazione della giustizia diventa il ristabilimento di quelle norme. Invece, l’impunità totale di quella strage è quasi il negare l’esistenza del passato. Un passato che ha visto, nei momenti subito successivi al fatto, una città che dava una risposta civile ed allo stesso tempo politicamente “forte”. Né in Piazza della Loggia né sul percorso dei funerali ci fu un solo poliziotto impegnato nel servizio d’ordine che venne autogestito dai cittadini.

In quell’occasione, a fronte di una partecipazione popolare enorme (si parlò di 600.000 persone) e della contestuale presenza delle massime autorità dello Stato (compreso l’allora Presidente Leone), quel servizio d’ordine diede una grande risposta politica, difendendo le autorità dalle contestazioni e allo stesso tempo lasciando lo spazio, attraverso i fischi, ad una contestazione civile. Era un chiaro messaggio: le Istituzioni vanno cambiate, vanno cambiati gli uomini, va modificato il loro sistema di trasparenza, ma non vanno abbattute. Su piazza Loggia ormai l’unica “verità” che possiamo individuare e conservare è dunque quella storica. Essa definisce il contesto complessivo dentro il quale sono avvenute quelle tragedie, chiarendone le ragioni, i perché. Essa è in grado di ristabilire nuove forme di identità dentro le quali riconoscersi e dare vita a nuove forme di convivenza.

Questo perché il suo presupposto dovrebbe essere un passaggio preliminare fondamentale: ognuno deve cominciare facendo i conti con la propria storia. Le forze politiche devono ricordare i valori fondanti della nostra Repubblica, ricordare da dove veniamo. E’ questo il tema di fondo: per arrivare alla verità storica occorre prima la volontà di saper guardare ognuno al proprio passato con sincerità. In una lettera Manlio Milani (Presidente Associazione dei caduti di Piazza della Loggia), ha scritto: “l’Italia, dopo la Colombia, è il paese con il più alto numero di cittadini, funzionari dello Stato, caduti per atti di terrorismo, stragismo politico e mafioso, omicidi politici. … Noi siamo il Paese delle Associazioni delle vittime. Cosa vuol dire che i familiari si riuniscono e si battono per avere giustizia? Vuol dire che senza l’impegno di una parte di società per strappare la verità, è difficile che la verità venga fuori. Vuol dire che c’è una ferita nelle regole della democrazia, nel nostro Paese, talmente profonda che non può essere rimarginata con l’oblio, la rimozione.”. Il rischio per un paese senza memoria, è quello di essere un Paese che non impara dai propri errori, di un paese che dà per scontate le istituzioni democratiche raggiunte con enormi sacrifici. Fare che momenti come quello di oggi diventino non dei riti stanchi ma passaggi fondamentali di riflessione collettiva è una delle strade per diventare un Paese migliore e più coeso.

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Redazione BsNews.it

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