La scuola di oggi? Gli studenti non sanno nemmeno l’abc della grammatica
di Lucia Marchesi – Parliamo di scuola. Le tanto attese vacanze estive sono ormai imminenti e i ragazzi hanno iniziato il loro “Final countdown”. Conto alla rovescia molto personale, che per alcuni prende il via ai primi di giugno, mentre altri iniziano a cancellare i giorni sul calendario dal 20 di aprile.
La scuola è talmente cambiata che, se mettiamo a confronto l’esperienza dei trentacinquenni, dei venticinquenni e degli studenti di oggi, le regole sono totalmente diverse.
Ammetto la mia ignoranza in materia, ma ho scoperto solo recentemente che sono tornati gli esami di riparazione di settembre. Sempre che si chiamino ancora così. Cambiare i nomi piace moltissimo: quella che noi chiamavamo “Maturità” adesso si chiama “Esame di Stato”. Forse perché si sono accorti che tra gli allegri diciottenni che finiscono la scuola, di maturità ce n’è proprio pochina. Ma in fondo è sempre stato così.
Quelli della mia generazione non avevano gli esami di riparazione. Noi avevamo i “debiti formativi”. Praticamente a giugno andavi a vedere i voti esposti fuori dalla scuola, pratica estremamente crudele, che andrebbe abolita, e nella materia in cui “arrancavi” trovavi il 6, ma scritto in rosso, o peggio ancora, con l’asterisco accanto: “debito formativo”. Avresti passato l’anno scolastico successivo a fare compiti in classe sul programma dell’anno passato, tentando disperatamente di “saldare il debito”. Forse, visto l’andazzo degli ultimi anni, hanno deciso di abolire almeno un debito, e hanno scelto quello “formativo”. Peccato. Potevano fare di meglio.
Unica vera gioia dei giorni di scuola era il bar, sola motivazione estrinseca che portava molti di noi ad alzarsi la mattina per sottoporsi al supplizio delle lezioni, dove una focaccia costava 400 lire, 600 se aveva le olive, e il bicchiere di the freddo ne costava 1200. Non ho mai capito perché. Bar che alle 10.50, ora dell’intervallo, diventava un inferno di studenti famelici che puntualmente venivano superati dal “profe” di turno, che con tutta calma beveva il suo caffè, intrattenendosi anche in una piacevole conversazione con la barista. Intanto noi altri tutti ad aspettare. Molto democratico. In fondo, l’intervallo durava la bellezza di un quarto d’ora.
Ma lasciando da parte le rievocazioni storiche, parliamo della scuola di oggi.
Novità degli ultimi anni. L’insuccesso scolastico è sempre e comunque colpa dell’insegnante. Mi sembra ovvio. Una volta, quando prendeva 4, lo studente pensava «Mi sa tanto che la prossima volta mi conviene studiare di più», oppure «Vabbè, pazienza, la prossima volta sarò più fortunato». In ogni caso, non si aspettava certo le congratulazioni da parte dei suoi genitori. Oggi no. «L’insegnante ce l’ha con me», si lagna il giovanotto, aggiungendo una lista di simpatici epiteti che non è il caso di elencare. La cosa più stramba è che i genitori danno corda al loro erede e che in casi estremi si presentano dal perfido docente pretendendo la sufficienza, se non addirittura il bel voto, per il figliolo che in quinta liceo è ancora fermo a “rosa, rosae”.
Ma il fenomeno non si limita alla scuola secondaria di secondo grado, volgarmente detta scuola superiore. Hanno abolito l’esame di quinta elementare, anzi, scusate, primaria. E capita che i fanciulli piombino nella scuola media, altrimenti detta secondaria di primo grado, senza nemmeno saper scrivere correttamente una frase di senso compiuto.
Preposizione semplice “a” e voci del verbo “avere” sono tranquillamente intercambiabili, le doppie non esistono, la consecutio temporum è assolutamente sconosciuta. E di chi è la colpa? Della maestra, che non li ha seguiti a dovere, visto che in fondo fa lezione solo a 25 bambini contemporaneamente. Non dei genitori che, invece di mettere tra le grinfie del pargolo qualche bel libro con le illustrazioni che facilitano la lettura, hanno preferito optare per un sofisticato smartphone.
Non dimenticherò mai di aver sentito, un paio di estati fa, una mamma che, indicando la figlia almeno tredicenne, si lamentava con un’amica del fatto che l’insegnante avesse assegnato come lettura per le vacanze “Il diario di Anna Frank”. «Dovevano scegliere qualcosa di più breve, con le illustrazioni e le parole scritte grandi». Come? Ma tutti abbiamo letto Anna Frank a quell’età, stiamo scherzando? Si dice che bambini e ragazzi di oggi siano più svegli rispetto al passato, comincio a dubitarne.
Leggere, leggere e ancora leggere dovrebbe essere il sistema migliore per imparare a scrivere correttamente, dal punto di vista grammaticale e ortografico. Date a un bambino dei bei libri da leggere, ovviamente adatti alla sua età, e imparerà che “un po’” si scrive con l’apostrofo, e non con l’accento come vorrebbe farci credere il T9 del cellulare, e che “qual è” si scrive senza. Almeno, se verrà bocciato all’esame di ammissione dell’Università, sarà per la sua impreparazione, non per la prova scritta in ostrogoto.