▼ Mattarella: serve più attenzione per i detenuti, da Brescia lettera straziante
Proprio nel giorno in cui sono diventati pubblici i dati del nuovo rapporto di Antigone, in cui è emersa la pesante situazione di sovraffollamento delle carceri italiane e in particolare di Canton Mombello, a far sentire la sua voce sul tema è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che – purtroppo – non ha potuto non citare Brescia per raccontare il problema.
“Vi è un tema che sempre più richiede vera attenzione: quello della situazione nelle carceri – ha ricordato il Presidente durante la cerimonia del Ventaglio – Basta ricordare le decine di suicidi, in poco più dei sei mesi, quest’anno. Condivido con voi una lettera che ho ricevuto da alcuni detenuti di un carcere di Brescia: la descrizione è straziante. Condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza. Indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l’Italia. Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, non va trasformato in palestra criminale”.
Parole che si riferiscono chiaramente alla missiva ricevuta pochi giorni fa da alcuni detenuti di Canton Mombello e suonano come un monito a tutti, ma soprattutto al governo che nelle scorse settimane ha confermato lo stanziamento per ampliare il carcere di Verziano. Dimenticandosi però completamente di Canton Mombello.
LA LETTERA INTEGRALE DEI DETENUTI 17 luglio 2024
Alla cortese attenzione del/della
Ill. mo Presidente Della Repubblica Sergio Mattarella
Ill.ma Presidente del Consiglio Giorgia Meloni
Illm.mo Ministro Carlo Nordio
Ill. mo Viceministro Francesco Paolo Sisto
Ill.mo Sottosegretario Andrea Ostellari
Ill.mo Sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove
Ill.mo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Giovanni Russo
E p.c.
Ill. mo Garante Nazionale Felice Maurizio D’Ettore
Come è possibile riscontrare dalla lettera che il 5 settembre 2022 consegnammo alla stampa (allegata alla presente), da circa 2 anni, noi detenuti di Nerio Fischione abbiamo scelto di intraprendere la strada del dialogo con le Istituzioni piuttosto che quella delle iniziative di protesta interne agli istituti.
Lo facciamo perché crediamo che il senso di responsabilità e la sincera volontà di utilizzare il tempo della pena in maniera positiva debbano essere elementi, oltre che proclamati, visibili anche attraverso gesti coerenti con le nostre parole.
Il testo da noi scritto nel 2022 rappresenta una realtà penitenziaria, soprattutto legata al nostro istituto ma generalizzata ovunque, in seria difficoltà a causa del sovraffollamento e delle note problematiche che ne derivano. Quella lettera potrebbe benissimo essere stata scritta oggi, ogni parola è estremamente attuale e lo scritto che abbiamo consegnato ai parlamentari bresciani il 17 giugno scorso (in seguito inviato anche al presidente della Repubblica, al Santo Padre, al Ministro Nordio, al sottosegretario Ostellari e alla Presidente Meloni e qui allegato) lo dimostra chiaramente.
In due anni le condizioni di vita sono andate sempre più deteriorandosi fino a raggiungere oggi la situazione che è evidente a tutti, caratterizzata da un intollerabile numero di suicidi e da un sovraffollamento che ci sta togliendo dignità e speranza.
Nonostante i tentativi fatti, solo in una occasione (17 giugno scorso) qualcuno è venuto a parlare con noi, qualcuno della politica, qualcuno nella posizione di aiutarci.
Non tutti i detenuti, anche qui Brescia, sono d’accordo con la strada che noi abbiamo scelto. Alcuni vorrebbero adottare strategie diverse, anche eclatanti. Noi, per quel che possiamo, ci impegniamo quotidianamente per promuovere il dialogo con le Istituzioni e la richiesta pacifica di risposte urgenti. Tuttavia, mantenere giorno dopo giorno, questo impegno non è facile, abbiamo bisogno di risposte per poter convincere anche chi non crede in questa strategia che i risultati possono arrivare solo dalla condivisione di obiettivi e azioni.
In questo modo potremmo altri Istituti di pena potrebbero seguire il nostro esempio e abbandonare ogni forma di azione pericolosa e lesiva dei diritti di tutti. Potremmo davvero inaugurare un’era di dialogo che non vuol dire scendere a patti con noi ma darci la possibilità di dirvi quali sono i problemi reali del carcere e quali strumenti potrebbero aiutarci a sopravvivere.
Insomma, abbiamo bisogno di ascolto, di risposte, di incontrarvi e, seduti allo stesso tavolo, di confrontarci. Lo potete fare? Qualcuno se la sente di parlare con noi e aiutarci a trovare soluzioni?
Non chiediamo regali, come già detto più volte nei nostri scritti, ma solo di portare a termine la nostra condanna dignitosamente.
In attesa di un tanto desiderato riscontro, ringraziamo per l’attenzione.
Il gruppo di detenuti che a Nerio Fischione si impegna per promuovere strategie di dialogo costruttivo
IL DOCUMENTO DEI DETENUTI (2022)
MIR Sciopero del carrello, battitura, sciopero della fame…stiamo discutendo fra noi e valutando con quali azioni renderci visibili fuori da queste mura, far sentire la nostra voce a chi di solito non la ascolta, ma i dubbi sono molti. Se rifiutiamo il cibo del carrello poi il carcere sarà costretto a gettarlo via e sarebbe uno spreco enorme. In questo momento le persone fuori affrontano ogni tipo di difficoltà, anche economica, e noi ci permettiamo di buttare il cibo? No, questa opzione è sbagliata e, inoltre, da qui dentro non siamo nemmeno in grado di donare questo cibo a chi ne ha bisogno quindi gettarlo via sarebbe un atto di irresponsabilità assoluta. Allora la battitura… tre volte al giorno, tutti insieme, qualcuno fuori ci sentirà. Però se lo facciamo rischiamo di incrinare i difficili equilibri che a fatica in carcere si riescono a mantenere e che preservano tutti, noi e il personale penitenziario, da accadimenti violenti. La battitura dunque sarebbe altrettanto irresponsabile quanto buttare il cibo. Niente battitura dunque. Sciopero della fame, non facciamo del male a nessuno e riguarda solo noi, noi tutti che aderiremo. Però lo sciopero della fame in carcere comporta un’attivazione massiccia dell’area sanitaria che sarebbe costretta a monitorare lo stato di salute di tutti i partecipanti e, quindi, a non essere concentrata solo sulle numerose esigenze che ogni giorno riguardano detenuti fragili e con patologie più o meno gravi. Mettere a rischio i nostri compagni più fragili sarebbe da irresponsabili tanto quanto non prendere il cibo dal carrello o effettuare la battitura. Essere irresponsabili è qualcosa che vorremmo evitare. Non vogliamo far sentire la nostra voce rischiando conseguenze tanto importanti nella vita di tutti. Siamo detenuti ma, a differenza di come spesso fuori ci vedono, non siamo irresponsabili. E allora che mezzi ci restano per chiedere aiuto? L’opinione pubblica è abituata a parlare dei detenuti quando le proteste dentro accadono in modo violento, dandoci quasi l’idea che se non utilizziamo quei metodi nessuno ci ascolterà. Noi però non siamo disposti ad assecondare questa logica, abbiamo bisogno di ascolto e di tanto aiuto ma vogliamo ottenerlo dimostrando responsabilità e maturità. È per questa ragione che abbiamo deciso di sperimentare una forma di manifestazione alternativa del nostro disagio, una manifestazione consistente nel rifiuto consapevole dei mezzi che tradizionalmente i detenuti sono costretti ad usare per far parlare di loro: MIR – Manifestiamo Insieme Responsabilmente. Non faremo nulla di irresponsabile qui dentro ma chiediamo fortemente di essere ascoltati e considerati su quanto diremo di seguito. Il sovraffollamento non è solo una questione di numeri e di metri quadri stabiliti a livello europeo e controllati (con più o meno attenzione) dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria: il sovraffollamento è una questione di uomini e donne accatastati in spazi non dignitosi e costretti a condividere ogni attimo della propria esistenza, per lunghi periodi, con un eccessivo numero di altri uomini e donne nella medesima condizione; il sovraffollamento è una questione di mancanza di prospettive/alternative per il futuro, è l’eliminazione della speranza che dopo il carcere ci possa essere una vita nuova, positiva, per noi, per le nostre famiglie ma anche per la collettività intera verso la quale sappiamo di avere un debito, almeno in termini di fiducia. Perché sovraffollamento vuol dire non avere sufficienti figure educative di riferimento per ciascuno di noi, con le quali poter intraprendere un percorso di cambiamento; il sovraffollamento è una questione di assistenza sanitaria che non può raggiungere tutti nel momento del bisogno e che deve avere a che fare anche con soggetti che non dovrebbero essere gestiti in carcere perché probabilmente destinati a strutture e servizi differenti, meglio rispondenti alle loro specifiche necessità, tuttavia anche queste non sempre disponibili all’accoglienza perché già stracolme; il sovraffollamento è una questione di colloqui e telefonate con le famiglie che faticano ad essere gestiti adeguatamente e nel rispetto dei diritti di tutti, soprattutto dei minori coinvolti; il sovraffollamento è una questione di attività lavorativa inframuraria, disponibile solo per pochissimi di noi, lasciando gli altri a pesare sull’economia delle famiglie all’esterno o totalmente indigenti, con un rilevante debito da pagare allo Stato una volta terminata la pena (siamo l’unico paese europeo che grava i detenuti delle spese di mantenimento in carcere e che a fine pena chiede agli ex detenuti di pagare somme che, se avessimo o avessimo avuto, magari non ci avrebbero portato a delinquere). Il sovraffollamento è una questione di forniture di beni igienici e di pulizia che il carcere non riesce a sostenere per tutti e che, senza il contributo di qualche persona illuminata, non riusciremmo ad avere Il sovraffollamento è questo e molto altro ma, soprattutto, è una questione di dignità ferita, violata, a volte distrutta. Il sovraffollamento, in ultimo è una questione di esistenze spezzate, di uomini e donne che si tolgono la vita e che non dovrebbero costituire solo statistiche (che magari a volte attirano anche l’attenzione) perché hanno nomi e cognomi, famiglie ferite e tanta disperazione alle spalle. Noi detenuti siamo stanchi di parole, proposte, promesse che, almeno negli ultimi dieci anni non hanno portato a nulla. Nello stesso tempo sappiamo bene di essere l’ultima categoria a suscitare l’interesse di qualcuno e, probabilmente, anche l’ultima per la quale qualcuno decida di alzarsi e venire ad incontrarci, a vedere come viviamo. Non vogliamo però visite che servano solo a rattristare, nella migliore delle ipotesi, chi entra –di questo tipo ne abbiamo vissute molte, forse troppe –ma desideriamo incontrare qualcuno che tornando nel mondo libero e confermi che si è arrivati al capolinea, che è il momento di risolvere questa situazione insostenibile una volta per tutte, perché la dignità di ogni uomo ha pari valore, indipendentemente dal suo stato di libertà o prigionia. Almeno questo è quello che ci hanno sempre detto, quello che è scritto nella nostra Costituzione. Noi detenuti che utilizziamo questa nuova forma di protesta – la neonata MIR – non chiediamo di evitare la nostra pena ma urliamo a gran voce, affinché qualcuno ci senta e sappia ascoltarci, che vogliamo scontarla con dignità (concetto espresso anche dal Presidente della Repubblica nel suo secondo discorso di insediamento) e con la possibilità di tornare non solo liberi ma migliori. Nerio Fischione, 5 settembre 2022