Voci dalla quarantena: gli Italiani, tra Coronavirus e una nuova idea di futuro
Un Paese inquieto che, tuttavia, non perde le speranze e la volontà di guardare alla crisi come ad un’opportunità di rinascita. È questa la cornice entro cui si innestano i dati raccolti tra i il 2 ed il 13 aprile 2020 all’interno della ricerca nazionale “Voci dalla quarantena. La vita degli italiani durante il Coronavirus”, con l’intento di scattare una fotografia all’Italia e agli italiani nel periodo centrale del Lockdown, per poi restituirne un’analisi, di cui questo articolo rappresenta un primo estratto.
La ricerca condotta da un team di ricercatori utilizzando NeosVoc (www.neosvoc.com, www.backtosmartwork.com) ha previsto la realizzazione di tre distinte fasi: una prima fase di approfondimento qualitativo svolto attraverso le interviste in profondità; una seconda fase quantitativa realizzata mediante questionario semi-strutturato su un campione di 1195 maggiorenni; un’ultima fase che ha previsto la compilazione di diari di vita da parte di 20 partecipanti, che attraverso l’uso di una guida non strutturata per la compilazione hanno raccontato il loro vissuto giornaliero per un periodo lungo una intera settimana.
Quanto siamo preoccupati?
Un’Italia che nel mezzo del Lockdown non nasconde il suo turbamento e le sue incertezze, ma che ha ancora voglia di pensare positivo e non cedere al senso di sconfitta. Si presenta così lo scenario di riferimento generale in cui versa il Paese durante il periodo centrale di Quarantena. A emergere è innanzitutto un generale e condiviso senso di preoccupazione (91,4%), che nel 45,9% dei casi tocca livelli di significativo allarme, non senza differenze lungo le aree geografiche del Paese. Un’istantanea che pone in luce le diverse fragilità di una stessa Italia in cui, con ogni probabilità, la disomogenea percezione della possibilità di accesso alle risorse del territorio contribuisce ad acuire, in alcune zone più di altre, paure e incertezze. Ed è infatti al Sud e nelle Isole che si rileva il maggior livello di allarme, con il 51,5% dei rispondenti che affermano di essere seriamente preoccupati per il Coronavirus. La stessa percentuale si riduce significativamente nelle regioni del Nord Est, limitandosi al 36,6%.
Se i temi della Sanità e del diritto alla salute rappresentano senza dubbio un primo discrimine, è necessario inserire i dati nei diversi contesti economici e infrastrutturali che caratterizzano le due aree del Paese: un Mezzogiorno a forte vocazione turistica che si appresta a fare i conti con una stagione fortemente critica; un Nord Est che può contare sulla piccola e media impresa, pronto a ripartire.
Accanto a questi dati è possibile inoltre registrare un atteggiamento lievemente più ottimista tra le classi più giovani del Paese: complessivamente afferma di sentirsi preoccupato l’88,3% del segmento.
Ma che cos’è questo Coronavirus?
Queste considerazioni aprono a una ulteriore e importante riflessione: di cosa si compone, specificamente, il senso di preoccupazione degli italiani verso il Coronavirus?
L’approfondimento (dalle interviste)
Oltre ai dati raccolti nella fase quantitativa della ricerca e appena riportati, ad arricchire l’analisi è quanto emerso durante la fase qualitativa, condotta attraverso le interviste in profondità, in cui appare evidente come la paura di un contagio venga significativamente superata da ansie e timori diversi, tutti legati a un profondo senso di incertezza, dovuto all’assenza di date, di indicazioni guida, di direzioni certe.
“Il Coronavirus? Spaventoso, ma surreale”
La percezione del virus è molto sfumata, per lo più non si riesce a farsene un’idea precisa. Ma i temi che compongono questa sgangherata rappresentazione sono diversi e ricorrenti. Dopo un veloce riferimento alla paura del contagio, infatti, gli intervistati spaziano lungo diverse direttrici: l’informazione, la percezione dello spazio, la reazione degli altri, scienza e politica.
L’informazione sulla pandemia
A una fase iniziale legata all’informazione ufficiale – media e organi istituzionali – si è aggiunta l’informazione informale dalle fonti dirette, medici e infermieri principalmente, o comunque amici e persone considerate fonti “dal campo”. Sono questi che hanno dato la misura di quanto sta realmente accadendo. Il racconto della loro esperienza si è sovrapposto all’informazione veicolata da TG e conferenze stampa, che tratteggiava una situazione talmente inusuale, talmente più vicina a un film apocalittico, da non trovare uno spazio cognitivo concreto. Al contrario, le esperienze dirette riportavano il dramma in un ambito conosciuto. Si è passato, cioè, da una apocalisse zombie terribile ma lontana, a un’emergenza sanitaria concreta che, pur nella sua tragicità, è diventata più verosimile e tutto sommato gestibile, almeno nella percezione.
La percezione dello spazio
Si è definita subito una dialettica dentro vs fuori, in cui il dentro (la casa) è la sicurezza e il fuori (non ben identificato, ma in pratica tutto quello che c’è fuori dalla porta di casa) è l’ignoto. Ignoto più che pericoloso in sé, e dunque spaventoso proprio perché non conosciuto e non conoscibile. Il fuori è anche lo spazio dell’ansia e della fatica, che sono molto collegate: per andare fuori devo svolgere una serie di operazioni che, oltre a essere fisicamente laboriose (indossare la mascherina e i guanti, compilare una certificazione, disinfettare tutto al rientro), mettono ansia. Non si tratta, cioè, di operazioni in sé faticose (truccarsi è più lungo, tanto per fare un esempio), ma comportano uno sforzo emotivo tale da diventare fatica fisica che crea angoscia.
La reazione degli altri
“Il virus è un virus, fa il suo mestiere, che è quello di replicarsi. È più cattivo degli altri, ma prima o poi lo batteremo. Quello che mi fa paura è la reazione delle persone”. Gli sceriffi di quartiere, le vedette condominiali: il teatrino della delazione è ovunque ed è spaventoso, perché fa sorgere altre domande, come “Davvero le persone saranno così, d’ora in poi?”. La clausura è sopportabile, si direbbe, nella misura in cui contribuisca a costruire un mondo migliore; ma se le persone si dimostrano intolleranti, forse non sarà servita. E questa è la paura più grande: aver sprecato un’occasione.
Scienza e politica
Entrambe si sono fatte cogliere impreparate. Entrambe ci dicono solo qualcosa. Forse entrambe non sanno che pesci pigliare. Non c’è animosità verso questi due pilastri, ma solo una presa di coscienza. Di quanto a volte la realtà sia talmente imprevedibile da non farci arrabbiare se non c’è ancora un vaccino o se viene emesso un decreto ogni due giorni. Si prende atto della cosa, la si rileva, non la si perdona ma in fondo in fondo la si comprende. È il riconoscimento, dopo anni di “università della strada”, della necessità del sapere – quello che si costruisce sui banchi: di scuola, ma anche del Parlamento o del Governo.
Non una semplice paura di ammalarsi, dunque, ma un insieme di fattori che creano angoscia. Poi, quando quest’angoscia si racconta, diventa di fatto un labirinto, una negazione della linearità che forse è la cosa più difficile da accettare.
Riusciremo a tornare al benessere perduto ?
Se il presente, per gli intervistati, è un quadro a tinte fosche, il futuro è, invece, tutto da ridisegnare e apre a nuove speranze. Alla richiesta di pensare allo scenario post-emergenza, la maggior parte degli italiani mostra un atteggiamento propositivo, un misto tra consapevolezza e voglia di ripresa. Accanto al 38,3% di quanti affermano che l’Italia, seppur non nell’immediato, potrà ritornare ai livelli precedenti al Coronavirus, raggiunge il 44,7% la percentuale di quanti sono convinti che se verranno fatte le scelte giuste, il Paese potrà anche superare i livelli degli scorsi mesi. La stessa percentuale raggiunge il 48% nelle zone del Centro.
Per una significativa parte del Paese, dunque, la crisi comportata dal Covid-19 sembra assumere il significato di una vera e propria opportunità che non può e non deve essere mancata. Una sfida a cui l’Italia deve saper rispondere, con decisione e senza sbagliare le sue mosse. Un’occasione: per recidere i vecchi rami, dare risposte concrete e ripartire, con nuove visioni e strategie efficaci. È questa la principale reazione di un Paese che arriva al Lockdown con degli evidenti segni di stanchezza e con un bisogno profondo di rivalsa e cambiamento. Per quest’ampia fetta di intervistati, quello attuale è il tempo della ripartenza e lo è a prescindere dalle sue posizioni più squisitamente politiche e dallo stesso giudizio attribuito alla capacità di gestione dell’emergenza da parte del Governo Conte.
Governo che, più in generale, raggiunge il favore del 76% degli intervistati, sebbene solo il 19,4% di questi gli riconosca una valutazione molto positiva.
Appare residuale e si assesta sull’8% la quota di intervistati che, invece, prendono le distanze da queste posizioni e abbracciano una visione fortemente critica sul futuro, affermando che difficilmente questo Paese riuscirà a riprendersi. Una posizione, questa, che, al contrario, sembra risentire fortemente del giudizio sull’attuale Governo, raggiungendo il 27% tra quanti attribuiscono al suo operato una valutazione per niente positiva.
Da dove deve ricominciare l’Italia?
È come un nuovo west, una nuova frontiera inimmaginabile, potrebbero esserci opportunità, potrebbe aprirsi un mondo nuovo, proprio nuovo completamente.Ma quali saranno, secondo gli intervistati, i settori che potranno fare da traino e guidare questa ripresa? All’interno di un generale primato attribuito dal campione complessivo a Turismo (43,5%), Tecnologia (42,9%), Industria (36,5%) e Agricoltura (35%), ad apparire evidente è, innanzitutto, una forte differenziazione tra le diverse aree geografiche, con una forte propensione da parte dei rispondenti ad individuare le migliori opportunità all’interno di quei settori che rappresentano già oggi la vocazione specifica di ciascun territorio. Se quindi, per i residenti al Centro e al Sud Italia la prima voce da cui ripartire è sicuramente quella del Turismo (rispettivamente indicato dal 51,1% e dal 46,5% degli intervistati), per il Nord Est non si può che ripartire dall’Industria (44,9%). Nel Nord Ovest l’attenzione massima è posta, invece, sugli aspetti della Tecnologia e dell’informatica (50,6%).
Accanto a queste posizioni più generali sembra esistere, tuttavia, una visione di nicchia, che rimescola le attribuzioni di importanza indicando un nuovo ordine di priorità e mettendo in evidenza possibilità di ripresa diverse. Questa visione, elitaria, è quella riportata dal segmento più scolarizzato del Paese, composto da quanti dichiarano di aver conseguito un titolo di studi superiore alla Laurea. Per questa nicchia di super istruiti è più che evidente la necessità che a fare da traino, oggi più che mai, sia la Tecnologia (56,6%) seguita, ad una certa distanza, dall’Agricoltura (43,6%) e solo successivamente, dal Turismo (36,6%). E’ importante infine porre in rilievo l’importanza attribuita da questo segmento ai servizi alla persona (35,3%), ritenuti essenziali per il rilancio economico del Paese da circa il 30% del campione complessivo. Una visione che trova sicuramente il suo fil rouge nella spinta all’innovazione che tutti questi settori coltivano come un potenziale, oggi solo parzialmente espresso.
Al di là dei punti di vista sul come, dunque, in un presente che lascia sospesi, gli italiani cercano conforto nell’idea di un futuro migliore, raggiungibile, possibile. Chiusi tra le loro pareti domestiche, si appellano al domani, lasciano indietro il pessimismo e guardano avanti. Perché mai come in questo momento c’è bisogno di reagire, di fare le scelte giuste e ripartire. Perché niente è finito e tutto può ricominciare, da se stessi e dagli altri. Meglio di prima.
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