di Paolo Pagani* – Da osservatore esterno, non abitando in città, sto vedendo che si è avviato nel capoluogo un dibattito pubblico sulla pianificazione urbanistica. È sicuramente un tema centrale per dare gambe ad una idea di città futura. La lunga tradizione in Loggia (iniziata già durante le sindacature di Boni e in opposizione, anche interna, alle sue idee a lungo dominanti) di una politica di contrasto alle rendite fondiarie, che ha dato i suoi buoni frutti in uno sviluppo sostenibile della città, è una garanzia che anche questo passaggio sarà affrontato e gestito contrastando l’ idea di una gentrificazione di porzioni chiave del territorio. E attraverso, ovviamente, un di più di consultazione di cittadini e associazioni. Perché così si deve fare nella fase attuale di disaffezione politica e elettorale.
Dentro questo solco trovo che la costituzione della Fondazione Campus poteva essere un modo della cosiddetta società civile di rafforzare il proprio ruolo di interlocutrice delle istituzioni. E proprio per questo penso che la partecipazione del comune costituisca un errore di metodo perché può creare un cortocircuito tra il necessario processo di coinvolgimento della società e la speculare totale autonomia decisionale del pubblico.
Ancora più improprio, poi, che si sia scelta la strada della Fondazione di partecipazione del Terzo settore, che c’entra con l’ urbanistica come i cavoli a merenda. Il mio consiglio, non richiesto, ma derivante anche da una esperienza lunga di assessore all’ urbanistica, è quello di fare rientrare nell’ alveo di cui sopra il rapporto tra Fondazione e comune. E, quindi, a questo punto di usare il tempo che la giunta, meritoriamente, si è data per un ulteriore approfondimento affinché si introducano tutte le necessarie modifiche allo statuto e le necessarie premesse e dispositivi in delibera per eliminare ogni ambiguità.
Una spinta in tal senso dovrebbe venire dalle stesse dichiarazioni di Rolfi, sdraiato a pelle di leopardo sulla coprogettazione. Non perché non bisogna ascoltare la destra per principio ma perché le sue parole dicono con chiarezza qual è il rischio che si sta correndo. Dai cultori delle stato minimo a quelli del comune ai minimi termini.
Questa vicenda mi offre anche l’ opportunità di avanzare una proposta di iniziativa politica al centrosinistra bresciano. Cogliere l’occasione di una nuova fase della storia della pianificazione urbana per porre il tema, nazionale, di una nuova legge urbanistica (grande assente nel confronto su un nuovo modello di sviluppo). Che abbia il suo cuore in una ridefinizione giuridica della proprietà delle aree di espansione e delle grandi aree dismesse. Che tagli le unghie alle rendite fondiarie.
Vedo già le sopracciglia che si alzano a denunciare una idea pre-moderna, che guarda al passato. Comunista, oserei dire. Ebbene sì. Che guarda alla idea centrale della riforma di Fiorentino Sullo, ministro democristiano degli anni Sessanta. E cioè che le aree di espansione debbano entrare nella disponibilità pubblica per essere poi assegnate, secondo le regole di mercato, sulla base della pianificazione urbanistica. Sullo non riuscì nel suo intento e la legge sui suoli fu una riforma a metà. È ora di completare l’altra metà. E a Brescia si può incubare la riforma, così come nelle stanze della cooperazione bianca e dell’ on. Salvi, scaturì la riforma della cooperazione sociale. A volte a pensare in grande si ottengono risultati.
* Pd/Articolo Uno Brescia
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