Per… Bacco! Quanti Wine Lovers in tempo di Psico Pandemia! | 🟢 BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA
di Doriana Galdrisi* – Alzi la mano chi non ha mai fatto tintinnare i calici per brindare in occasioni di festa, o in momenti storici per la vita di comunità e per quella privata, quali vittorie, nascite, incontri, amori… e quanti tra noi hanno, a volte, passeggiato tra i vigneti durante la vendemmia, quando i filari si riempiono di grappoli profumati di uva…
Sì, perché il vino è come una sorta di sigillo di momenti che spesso segnano le biografie di ognuno di noi. Il vino piace, è buono, così come piacciono altri tipi di bevande alcoliche, come ben sanno i degustatori specializzati in ogni singolo prodotto del settore drink e i molti wine lovers.
Il vino apparentemente è un prodotto “innocuo”, che non porta con sé idee o sensazioni di pericolo: si presenta in belle bottiglie, colorate, spesso con etichette di design; inoltre è comodo poiché facilmente recuperabile e trasportabile…
Insomma, il vino e l’alcol hanno tante caratteristiche per apparirci come buoni amici.
Se poi consideriamo che Brescia e il territorio bresciano vantano la presenza della Franciacorta, una delle terre più note a livello internazionale per la produzione di ottimi vini, ci rendiamo conto della solidità storica e culturale della nostra provincia.
Per dare un’idea di quanto sia apprezzato il nostro vino, basti pensare che le storiche cantine della zona, per esempio la celebre Fratelli Berlucchi, vendono centinaia di migliaia di bottiglie anche oltre oceano, o in Russia, in Giappone e in altre parti del mondo.
Il vino, tuttavia, oltre che un piacere e una compagnia, è, a volte, anche un “piacere insidioso”. Bere, infatti, soprattutto se in eccesso, si lega spesso a periodi di vita in cui si presentano problematiche, umore depresso, esistenze insoddisfacenti, o insicurezze personali, difficoltà relazionali. A volte, dunque, bere è una sorta di passe-partout verso uno stato di benessere idealmente migliore o un modo di essere più friendly, più social.
Ed è proprio qui il problema!
Talvolta si beve fino all’ubriacatura, fino alla perdita di coscienza e di controllo, per lenire un dolore, per ridurre una timidezza o anche semplicemente per passare il tempo, cioè per noia, e questo è l’evidenza di come le risorse di coping, cioè le nostre capacità di fronteggiamento degli eventi stressanti, facciano “cilecca”, lasciandoci nel disagio, intrappolati, come in un gorgo.
Se aggiungiamo poi che la pandemia in cui ci troviamo porta con sé delle caratteristiche particolari che individuiamo nella tipologia di misure di contenimento dell’emergenza sanitaria in atto, misure come l’isolamento e il distanziamento, ecco che troviamo in tutto questo una sorta di cassa di risonanza dei disagi, che produce anche un vero effetto detonatore (effetto trigger) verso comportamenti di maggior consumo alcolico.
Anche il modo, lo scenario in cui si beve in tempo di pandemia, assume connotazioni diverse: se i classici happy hours sono ovviamente diminuiti, sono invece fortemente aumentati modi di bere nel web. Tra questi troviamo ad esempio il “gioco” delle forti bevute on line, il cosiddetto necknomination, gioco nel quale le bottiglie sono svuotate fino all’ultima goccia, tutto d’un fiato, filmate e postate sui social. Ma questo “gioco” non termina qui perché chi filma e pubblica deve nominare altri due amici che hanno 24 ore di tempo per raccogliere la sfida e fare, a loro volta, la bevuta, ma in modalità più estreme, talvolta con azioni pericolose in stato di ebbrezza. È facilmente intuibile come questo aumenti moltissimo il rischio di tragici incidenti.
Proprio gli studi sul fenomeno “necknomination” ci dicono che le persone che postano contenuti legati all’alcol, tendono a ricevere molti like e poche critiche e che chi viene taggato ottiene più like rispetto a chi posta direttamente. In tutto questo un ruolo forte è giocato dai meccanismi di emulazione, facendo passare il pericoloso ed errato messaggio che bere sia normale e senza pericoli.
In questo scenario apparentemente innocuo si colloca anche la diffusione maggiore degli “smart drinking”, ovvero un modo di bere solo in apparenza soft, e il binge drinking, cioè l’abbuffarsi di alcolici, il bere fino allo stremo, mescolando tipi diversi di bevande, in un breve lasso di tempo. Si tratta di comportamenti che possono produrre conseguenze molto serie: l’intossicazione acuta che, nei casi gravi, può sfociare in coma etilico.
Se pensiamo poi che secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) l’alcol è alla base di ben 200 patologie e genera più mortalità di malattie quali diabete, ipertensione, hiv-aids, oltre ad essere tra le principali cause di incidenti e violenza, il conto finale diventa davvero preoccupante.
L’incremento del consumo di alcol in pandemia in parte è dovuto anche al “trasbordo” di coloro che, nella difficoltà di reperire altre sostanze stupefacenti, hanno “ripiegato” sull’alcol. La cosa interessante è che dagli studi emerge come, a fine lockdown, il consumo di alcol si sia stabilizzato, mantenendosi però a livelli superiori rispetto al pre-pandemia. Si calcola che il consumo di alcol sia aumentato, in epoca Covid-19, di circa 3 litri pro capite; e ancora, una stima dell’Istituto Superiore di Sanità attira l’attenzione sull’incremento delle vendite, che sarebbe stato del 180% nei primi sei mesi del 2021, con aumenti per le enoteche online addirittura del 425%.
I dati non sono tranquillizzanti perché si assiste ad un aumento di consumo di alcol anche tra i giovanissimi e questo è estremamente allarmante, perché, come indicano le neuroscienze, l’alcol nella fascia di età adolescenziale, anche se assunto in minima quantità, ha un impatto molto negativo nello specifico su due processi: la rimodulazione e il pruning cerebrale, che vanno ad interferire con la buona funzionalità cognitiva dei ragazzi.
La pandemia, insomma, ha fatto vedere in modo molto più esplicito di prima, come sia carente una diffusa cultura del bere consapevole e senza rischi, che costituisce una specie di cintura di sicurezza invisibile che protegge dall’incursione nel rischio e dal deragliamento nella psicopatologia.
Su questo ha espresso interessanti osservazioni e riflessioni l’assessore ai servizi sociali del Comune di Brescia Marco Fenaroli, ospite al primo incontro della terza edizione de “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19”, che, ancora una volta, ha il Patrocinio del Comune di Brescia. Ritrovabile sui miei canali social, l’incontro ha il titolo “Se brindi alla salute vacci piano in tempo di Covid-19. Come cambiano consumi e comportamenti nella psico pandemia”.
In quell’occasione dunque l’assessore ha evidenziato: “l’alcolismo era un problema prima e tale è rimasto. La pandemia ha mostrato in modo evidente ciò che prima era sommerso, quindi anche l’alcolismo è arrivato sotto gli occhi di tutti. Oggi la sfida è come governare questo fenomeno, una sfida che si può affrontare con successo solo se si supera la scissione che abbiamo da decenni tra ambito sanitario e sociale. Oggi, nel processo in atto di ristrutturazione dell’Asst Spedali Civili c’è un confronto con tutti i 12 piani di zona e l’obiettivo è di arrivare ad una valutazione multidimensionale di ogni paziente. Quindi un rapporto organico tra servizi specialistici dell’azienda sanitaria e servizi sociali”.
Per affrontare queste problematiche “demonizzare l’alcol” non pare la miglior la strategia di prevenzione o di fronteggiamento del problema. Ce lo spiegano molto bene le teorie psicologiche sulla cosiddetta reattanza, che, soprattutto in età adolescenziale, fa sì che vi sia un maggior sconfinamento nel rischio proprio quando vi è un divieto o comunque una forte imposizione di un limite.
Che cosa fare allora?
Creare una nuova coscienza! Meglio dire… creare una nuova cultura del bere a cui tutti, nel proprio ruolo, nella propria realtà, possono contribuire. Un esempio di intervento culturale molto preciso, ampio e strutturato, è quello realizzato dall’attuale presidente dell’azienda Fratelli Berlucchi, la dottoressa Pia Donata Berlucchi, già presidente e attualmente consigliera dell’associazione italiana “DONNE DEL VINO”.
La dottoressa Pia Donata Berlucchi è una portavoce di eccellenza della cultura del vino e il suo progetto “Il Bere Consapevole attraverso l’Educazione, l’Istruzione e la Cultura”, ha come obiettivo proprio quello di educare i giovani ad un sano e corretto rapporto con le bevande alcoliche. La base di questo lavoro educativo, da lei sviluppato dal 2015 insieme a CoNVI, la Consulta Nazionale del Vino Italiano, ha proprio il focus sulla maturazione della cultura verso questo tipo di prodotto.
La dottoressa Pia Donata Berlucchi è stata a sua volta ospite della 24esima puntata de “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19” insieme all’assessore Fenaroli.
Durante il nostro incontro, così come sempre nei suoi progetti nei licei, nelle scuole alberghiere e nelle università, la dottoressa Pia Donata Berlucchi ha sottolineato come “la prima cosa da dire sia che ‘l’alcol è la cosa peggiore del vino, ma un vino senza alcol non è un vino”.
Tanti sono stati gli spunti interessanti di tutta la puntata, trasmessa in diretta streaming, presentati dalla dottoressa Pia Donata Berlucchi con la magia narrativa e comunicativa che da sempre la caratterizza. La dottoressa ha evidenziato: “la cultura mostra l’importanza straordinaria del vino di cui il piacere edonistico del berlo è solo uno spicchio dei 360 gradi. In un bicchiere di vino ci sono millenni di storia, berlo è si interessante e piacevole, ma ciò che ci incanta di questo bicchiere di vino è sapere da dove deriva, che cosa c’è dietro, ovvero la sua storia strabiliante che è, in fin dei conti, la storia dell’umanità”.
Avere questa formazione e questa consapevolezza aiuta ad affrontare le problematiche legate all’alcol e così aumentate durante la pandemia. In tempo di Covid-19 i progetti nelle scuole si sono ridotti ma non si sono annullati, mantenendosi con l’on line. L’importante è riprenderli a pieno ritmo per tornare a spiegare ai ragazzi, come sostiene la dottoressa Pia Donata Berlucchi: “bere consapevolmente significa capire che in un bicchiere non c’è una droga che si assume per dimenticare, bensì la nostra storia e la nostra cultura”. Cultura che va sempre ricordata e tenuta presente. A ciò ci si aggiunge che la prevenzione è tra i maggiori fattori di successo in ogni intervento educativo.
Per… Bacco come mi è venuto lungo questo articolo… non ci si ubriacherà nel leggerlo, speriamo bene!
Nel ringraziarvi per l’attenzione, vi ricordo che potete rivedere tutte le puntate de “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19”, sia della prima sia della seconda edizione, sul mio canale youtube, sui miei social e sul nuovo sito de “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19” (www.scienzadieccellenza.it). Per chi invece preferisce la forma cartacea, ricordo i due volumi pubblicati da Gam Edizioni e acquistabili su Amazon, oppure ordinabili direttamente alla Gam edizioni di Rudiano o disponibili nelle principali librerie di Brescia.
La prossima puntata on line in diretta de “La scienza di eccellenza al tempo del Covid-19”, sarà il 4 febbraio e verrà dedicata alla scuola in tempo di psico-pandemia: tra gli ospiti troveremo il professor Giacomo Stella, studioso di fama internazionale nella psicologia dell’apprendimento, l’assessore alla pubblica istruzione del Comune di Brescia Fabio Capra e la dirigente scolastica, professoressa Silvia Bianchi dell’istituto Marco Polo di Brescia.
Cari lettori, ci ritroviamo tra 15 giorni! Doriana Galaderisi
CHI E’ DORIANA GALDERISI?
Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.
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