🔻 Il senso di Lattanzio per il nuovo | 🔺DAL GRUPPO G9
di Federica Biglino – In questi giorni e fino al 20 febbraio 2022 è possibile visitare , tra il Museo di Santa Giulia a Brescia e la Pinacoteca Tosio Martinengo, un piccolo ma interessante allestimento curato da Marco Tanzi dedicato a un pittore bresciano dalla vita e dalla fortuna critica un po’ infelici. La mostra ha anche il merito di riproporre all’attenzione del pubblico un passaggio fondamentale della tradizione pittorica bresciana: il passaggio dall’ epoca rinascimentale all’ epoca della “ maniera”.
Nel 1530, anno della nascita di Lattanzio Gambara, Raffaello è già morto, Michelangelo ha completato il ciclo della Cappella Sistina, Tiziano ha dipinto l ‘ Assunta dei Frari a Venezia e la Pala Pesaro. I tempi stanno per cambiare, il Rinascimento è cresciuto e si è fatto “ maturo”. A Brescia maestri indiscussi anche se molto diversi tra loro sono Romanino e Moretto. Moretto, anzi, verrà definito da Vasari “ il Raffaello bresciano”.
La vita di Lattanzio è difficile fin dall’inizio: come risulta da documenti ufficiali, il ragazzo molto giovane viene sottratto alla potestà di un padre violento e prepotente e affidato alla bottega dei fratelli Campi a Cremona.
I fratelli Campi, Giulio, Antonio, Vincenzo, sono da considerarsi degli innovatori nel quadro artistico del quell’epoca: sono molto attenti a tutte le novità artistiche provenienti da Venezia, Mantova, Milano e poi dalla terra fiamminga. La loro opera è richiesta in tutto il Nord Italia e la loro bottega è un’ ottima fucina di nuovi artisti, tra cui il nostro Lattanzio.
Fondamentale è l’incontro a Mantova con Giulio Romano, allievo di Tiziano e artefice della splendida decorazione di Palazzo Te . E’ in questo clima così ricco di spunti per l’elaborazione di nuovi linguaggi pittorici che si forma il nostro giova e “ affamato” pittore. E’ descritto come un giovane vivace ( anche troppo, al limite del rissoso) ma al contempo gioviale e persino bontempone.
Quando torna a Brescia fondamentale è l’incontro con Girolamo Romanino nel 1549. L’affermato pittore bresciano nota subito il genio dell’allievo e gli affida commissioni sempre più importanti. Lattanzio è un abile affreschista, come testimonia anche l’importantissimo incarico ricevuto per la decorazione della navata centrale del Duomo di Parma, della Chiesa della Steccata e come dimostravano le testimonianze del ciclo di affreschi rappresentanti “ Scene dall’ Apocalisse” in Broletto a Brescia.
Nel 1556 il pittore sposa Margherita, figlia del Romanino : secondo la tradizione la dote della ragazza consisterà nella cessione al Gambara della commessa delle decorazioni delle facciate dei palazzi della Corsia del Gambero. E’ qui che il Nostro darà prova che i tempi sono cambiati: non più la ricerca del naturalismo, della prospettiva accuratissima, della monumentalità delle figure collocate in uno spazio geometricamente costruito. L’arte decorativa si trova in simbiosi con nuove forme architettoniche e con masse di più ampio respiro.
Ciò è ben rappresentato all’interno della Mostra in Santa Giulia: gli affreschi strappati dal Gambero dimostrano uno studio e proposte diversi, i cavalli sembrano uscire dalle tele, le espressioni sono torve e innaturali, i colori volutamente caricati. I “ grandissimi” sono venerati maestri : da loro si apprende lo studio della forma, l’attenzione alla natura e al linguaggio dei corpi. Gli allievi percorrono nuove strade, ripensano lo spazio e lo ricreano dandogli forme solo mentali, l’arte diventa espressione più alta di una sensibilità alle volte esasperata che cerca un nuovo linguaggio, nuove arditezze prospettiche che non tengano conto del realismo.
Dicevamo della sorte infelice, umana ed artistica, del Gambara. I pregevoli affreschi del Broletto, rappresentanti l’ Apocalisse, sono andati sbriciolati nel bombardamento alleato del luglio del 1944. Stessa sorte, anche se non per eventi bellici, hanno subito molti cicli pittorici un tempo presenti nelle principali chiese cittadine.
L’opera del Gambara è presente in varie collezioni private ed edifici pubblici un po’ in tutta Italia. Ma la sua riconosciuta grandezza non l‘ha preservato da una certa sfortuna critica. Già acclamato come “ più grande del Romanino” ( sempre Vasari), nel tempo la sua fama è andata offuscandosi. Ma il destino più amaro è legato alla sua tragica fine . Nel 1574 morì a seguito della caduta dal ponteggio allestito nella chiesa di San Lorenzo per la realizzazione di un ciclo di affreschi ( poi coperti). Rimane solo un frammento di affresco che la tradizione vuole essere l’autoritratto dell’ artista. Le voci all’epoca parlarono di un possibile sabotaggio alla struttura ordito da artisti rivali o insofferenti ai suoi modi a volte un po’ prepotenti.
La sua bibliografia critica si è però da poco arricchita con un ‘ importante attribuzione di Marco Tanzi, curatore della Mostra: “ la Deposizione”, realizzata per il convento cittadino di San Bartolomeo. L’opera risultava scomparsa da tempo, ma ultimamente è stata proposta ad un’ asta a Vienna. Fondazione Brescia Musei ha acquisito l ‘opera esposta per la prima volta proprio in Mostra.
Noi vogliamo ricordarlo come un pittore fondamentale per ricco patrimonio artistico bresciano e anche perché dotato di un temperamento “ assolutamente bresciano” anche nella dedizione al lavoro: basti pensare al suo motto “ indefesso labore”.
ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9
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