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I luoghi comuni sul vino | 🍷🥂 BARBERA & CHAMPAGNE/31

di Stefano Bergomi* (stefano.bergomi@tin.it) – Premessa: Dovendo parlare di luoghi comuni sarebbe stato bello iniziare con una definizione risolutiva di cos’è un luogo comune. Il problema è che questa definizione io non l’ho trovata, nonostante le affannose ricerche. Sarebbe servito qualcosa di esaustivo, definito e preciso, pure bello. Ma niente. Solo stitiche definizioncine che mettono in relazione l’accezione tecnico-scientifica di un’affermazione comunemente accettata come vera, che costituisce un bagaglio concettuale da cui trarre le premesse per un ragionamento, a quella comune di affermazione banale ma diffusa, un giudizio generale condiviso anche se non sempre in modo consapevole. Insomma, niente che possa offrire un punto di vista privilegiato e panoramico sullo scibile umano, in grado di sintetizzare l’essenza delle cose, di dare effettivo significato alla relativa determinazione.

Passiamo quindi oltre, confidando che il lettore non avverta la sconsolatezza di questa mancanza.

Svolgimento: Per non incorrere nel rischio di noia da trattato filologico, sarà bene concentrarsi su un numero limitato di luoghi comuni. Catalizziamo quindi la concentrazione del lettore su pochi punti fondamentali, cercando di screditarne le sue innate convinzioni.

Ecco quindi qualche “premier cru” dei luoghi comuni sul vino, e in antitesi la segnalazione di un prodotto che possa rappresentare l’emblema della sua sconfessione.

LUOGO COMUNE 1: Le bollicine solo con il dolce

Principe dei luoghi comuni sul vino, vedrà nelle prossime festività l’apice della sua deflagrazione.

Quanti tappi a fungo verranno fatti saltare sui classici panettoni e pandori, nei pranzi e veglioni delle prossime feste?

Ma l’abbinamento per concordanza, giustifica l’abbinamento di bollicine con il dolce di fine pasto solo se il vino ha un buon residuo zuccherino. Quindi si a Moscato, Asti spumante, o prosecco dolce (dry o extra dry); no a brut, extrabrut o dosaggio zero, pena la fitta al cuore che colpirà l’immancabile commensale con patentino da sommelier alla vista dello scempio.

Perché non osare una bottiglia di bollicine con residuo secco a tutto pasto? Un buon metodo classico, magari uno chardonnay in purezza con solo affinamento in acciaio, in modo da esaltare le caratteristiche aromatiche intrinseche del vitigno. Non solo per accompagnare i classici stuzzichini e tartine dell’antipasto, ma anche su primi, per esempio un delicato risotto, o secondi di pesce. Se vi piacciono le sfide, osate anche l’abbinamento con cotechino e polenta.

Proposta di degustazione: Altemasi Millesimato Brut Trentodoc – cantina Cavit

Di facile reperimento anche nella grande distruzione, e dall’interessante rapporto qualità/prezzo. Saprà stupirvi per freschezza e godibilità.

LUOGO COMUNE 2: Il pesce solo con il vino bianco

Tutti lo sanno: il rosso con la carne, il bianco con il pesce.

E’ sempre vero oppure tale affermazione può rappresentare un’imposizione limitativa?

Perché non provare un vino rosso, dalla struttura esile e dal tannino leggiadro, in grado di sposarsi appieno alla tenerezza e masticabilità del pesce. In particolare, l’abbinamento potrebbe premiare pesci cotti in sughi saporiti, anche a base di pomodoro, e zuppe di pesce.

Come diceva Gene Wyler in Frankestein Junior: “Si può fare!”, ammesso che il vino sia un rosso giovane, di pronta beva, e servito ad una temperatura fresca.

Proposta di degustazione: Meczan pinot nero – cantina J. Hoffstatter

Per buona parte le uve vengono diraspate. La breve fermentazione sulle bucce e l’affinamento in solo acciaio rendono questo vino morbido e allo steso tempo fresco al sorso, fragrante e accattivante al naso.

LUOGO COMUNE 3: Vino bianco da uva bianca, vino nero da uva nera

Partendo dal presupposto che il colore non sta nella polpa dell’acino ma nella buccia, si intuisce facilmente che se dal processo di vinificazione vengono sottratte le bucce è possibile ottenere vini bianchi anche da uve nere.

E’ tutto demandato alla conoscenza e maestria del vinificatore.

Con una magia degna del miglior prestigiatore c’è chi riesce a far apparire un brut metodo classico da vitigno di lambrusco, nobile principe tra i rossi.

Proposta di degustazione: Grosso Lambrusco di Sorbara DOC metodo classico Brut – cantina Paltrinieri

La cantina Paltrinieri è votata alla valorizzazione del lambrusco di Sorbara. Propone il suo Grosso come metodo classico vinificato in bianco, un dosaggio zero con 24 mesi di affinamento sui lieviti. Il vino si presenta con qualche riflesso ramato che ricorda la buccia di cipolla. Convince con ampio spettro di profumi, anche con note di tostatura e caramello, mentre in bocca emana suadente eleganza e una inaspettata nota minerale.

(PS: il Radice è fuori tema dell’articolo essendo un rosè rifermentato in bottiglia, ma è una prelibatezza da non lasciarsi sfuggire)

Paltrinieri Grosso, foto di Stefano Bergomi

LUOGO COMUNE 4: I vini naturali hanno una puzza sgradevole

L’affermazione laconica che i vini naturali puzzano può scaturire dal fatto che non si è mai bevuto un vino naturale vero e fatto bene.

Nell’attesa di dedicare un articolo ad hoc alla definizione dei vini naturali, in questa occasione ci limitiamo ad indentificarli con i vini a fermentazione spontanea, ottenuti da uve coltivate senza prodotti di sintesi chimica, nel rispetto della natura e con scarso o nullo apporto di additivi. Quindi, volendo, qualcosa di più rispetto a vini biologici e biodinamici, perché ottenuti con meno, in particolare per la volontà di minimizzare la manipolazione indotta dall’uomo.

Ma il vino naturale è il risultato di un processo di semplificazione solo apparente. Sforzi, attenzione e cura si moltiplicano se l’obiettivo è ottenere un prodotto di qualità, in grado di appacificare il degustatore con le mutevoli caratteristiche organolettiche indotte dall’eterogeneità delle condizioni da cui scaturiscono le diverse annate.

Di per sé, se fatto bene, il vino naturale non puzza, può però presentare un gusto diverso e non omologato, in grado di minare l’olfatto del degustatore medio, assuefatto dalla standardizzazione dei vini convenzionali.

Proposta di degustazione: Trebbiano d’Abruzzo – Cantina Emidio Pepe

Vino fatto come una volta, frutto di raccolta manuale, pigiatura con i piedi, vinificazione spontanea in piccole vasche di cemento vetrificato e nessuna filtrazione.

Dotato di carisma e personalità da vendere, colpisce per un ricco bouquet di profumi, dall’intensità inaspettata per il vitigno. Un vino che somma la terra del Gran Sasso alle influenze marine del vicino Adriatico, con caratterizzazione di spiccata mineralità al palato e freschezza, ma con struttura e carattere deciso. Non disdegna l’attraversamento di anni in bottiglia per il completamento della sua evoluzione e il raggiungimento della massima espressione.

(Curiosità: anche la stella americana della pallacanestro NBA LeBron James ha ammesso di apprezzare i vini di Emidio Pepe).

Emidio Pepe Trebbiano, foto di Stefano Bergomi

* Sommelier per passione

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Ultimo aggiornamento il 24 Aprile 2024 13:14

 

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Published by
Redazione BsNews.it

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