🔻 La Fondazione Berardelli e la Poesia Visiva🔺DAL GRUPPO G9
di Gaetano Barbarisi – In tempo di lockdown, per restare informati o trovare una forma intelligente di entertainment, siamo ormai avvezzi a viaggiare virtualmente tra musei, gallerie online e siti web, anche quando sono a due passi da casa. Nel panorama delle istituzioni culturali e artistiche bresciane val la pena intraprendere una navigazione alla volta della Fondazione Berardelli, in attesa di un approdo concreto quando le circostanze lo permetteranno. La galleria, infatti, occupa un posto di primo piano sia per la qualità della proposta culturale che da anni offre alla città, sia per il ruolo che svolge a livello internazionale nella promozione dell’arte contemporanea, soprattutto in quell’area di confine posta tra arti visive, poesia sperimentale e ricerca multimediale. Oltre che di un grande spazio espositivo su due livelli, situato nel riqualificato quartiere occidentale di Brescia (via Milano 107), dispone di una ricca biblioteca e di un ingente archivio di opere, testi e documenti, questi ultimi consultabili anche online, che la rende un luogo fisico e virtuale davvero unico per la documentazione dell’arte del Novecento.
La Fondazione prende il nome dal suo fondatore e presidente Paolo Berardelli, che nel novembre 2007 dà l’avvio ad una molteplicità di esposizioni, incontri, seminari e pubblicazioni sul movimento artistico della poesia visiva, con lo scopo di costituire un centro studi sui gruppi d’avanguardia del secondo Novecento. Il patrimonio della Fondazione, in continua espansione – al momento conta più di 4000 opere – si costituisce a partire dall’acquisizione di opere dei maggiori esponenti italiani e stranieri della poesia visiva degli anni Sessanta, quando Berardelli è direttore della Galleria Centro. La biblioteca raccoglie circa 6000 volumi e cataloghi dedicati alla poesia visiva, alla poesia concreta, alla mail art e Fluxus, oltre ad una collezione estremamente preziosa delle riviste che hanno accompagnato la storia di questi movimenti e, più in generale, la ricerca sulla convergenza tra i diversi linguaggi nell’arte contemporanea.
Tra i poeti documentati compaiono nomi di rilievo, dai protagonisti storici della poesia visiva italiana, quali Ugo Carrega, Luciano Caruso, Emilio Isgrò, Lucia Marcucci, Stelio Maria Martini, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, agli autori della poesia concreta, come Augusto de Campos, Ernesto De Melo e Castro, Pierre Garnier, nonché della performance come Arrigo Lora Totino e Giovanni Fontana. Accanto a questi spiccano i nomi di artisti che hanno operato in un ambito più propriamente pittorico, come, Joseph Beuys e Daniel Spoerri, o provenienti dalla sperimentazione musicale, come Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari. Non mancano artisti ed operatori bresciani di grande notorietà e che hanno segnato lo sviluppo di queste ricerche, come Sarenco, appartenuto al Gruppo 70 di Firenze sin dalla nascita della poesia visiva, o Guglielmo Achille Cavellini, celebre collezionista egli stesso, protagonista della mail art in Italia e nel mondo. Completa l’archivio una consistente raccolta di libri d’artista, deliziosi oggetti scultorei, realizzati con l’ausilio di materiali diversi come carta, plexi, legno, ferro.
Nell’ambito della ricerca e della sperimentazione poetica, i termini poesia visiva, poesia visuale e poesia concreta hanno assunto, spesso erroneamente, la funzione di termini onnicomprensivi di pratiche artistiche assai diverse, o perché lontane nel tempo, quindi afferenti contesti culturali non assimilabili tra loro, o perché distanti negli assunti teorici ed estetici posti a monte di produzioni creative distinte, cui si è tentato, per comodità, di conferire un’etichetta unitaria. Non si tratta solo di una “contaminazione” tra la parola classica della poesia e le forme iconiche tradizionali della pittura in quanto a convergere verso questo nuovo universo espressivo sono anche la musica, il teatro, l’installazione. Un universo che è ben riassunto nel titolo di un testo teorico di uno dei suoi esponenti, Adriano Spatola, Verso la Poesia Totale, pubblicato da Paravia nel 1978 con la prefazione di Luciano Anceschi.
La parola poetica nasce come arte orale, più tardi, con la scrittura, comunica significati attraverso suoni, immagini e gesti. Primi esempi di poesia figurata risalgono a Simmia da Rodi nel 3° secolo A.C., ai poeti alessandrini all’iconografia cristiana arricchita con la parola, con lo scopo di conferire al messaggio religioso maggiore efficacia; esemplare il caso dei codici miniati dalla fantastica ricchezza creativa nella combinazione di segno calligrafico, immagine sacra e colore. Accostamenti, mescolanze e fusioni dei due linguaggi si trovano in tutta la letteratura occidentale: si pensi, fra i tanti, al Tristam Shandy di Lawrence Sterne, alla Alice di Lewis Carroll o alle visionarie illuminazioni di Songs of Innocence and Experience di William Blake. Più tardi, con modalità più sottili sul piano concettuale e una diversa consapevolezza linguistica, la poesia simbolista francese apre nuovi percorsi alla ricerca di una dilatazione del significato poetico; pensiamo alle Correspondances di Baudelaire, o a Voyelles di Rimbaud, in cui colore, suono e parola tendono a compenetrarsi in un linguaggio sinestetico inusitato. Il celebre Coup de Dés di Mallarmé compie la vera rivoluzione, dal momento che qui l’intero spazio della pagina, il supporto, diviene il campo della significazione, inaugurando in maniera moderna la figuralità della poesia. E’ con le avanguardie storiche del primo Novecento, Cubismo sintetico, Dadaismo e Futurismo in primo luogo, che si consoliderà programmaticamente questa polivalenza del segno verbale: in Italia, Parole in Libertà di Marinetti, la poesia di Giacomo Balla e persino le pubblicità di Fortunato Depero per Campari segnano lo sconfinamento moderno della parola nel campo dell’immagine e della voce.
In tempi a noi più vicini, la poesia concreta, nata in Svizzera, poi diffusa in Brasile e nel resto del mondo alla fine degli anni Cinquanta, sposta l’attenzione dal significato del testo e dal suo contenuto agli elementi visivi che lo costituiscono, parole, sillabe, calligrammi, fonemi e lettere alfabetiche. La rivista Noigandres e l’omonima antologia del 1952 ad opera di Aroldo e Augusto De Campos e Decio Pignatari ne segnano l’inizio. Con lo scopo di indagare la materia costitutiva del linguaggio, anche nella sua dimensione fonetica, si perviene ad una dimensione poetica basata sul puro suono della voce, in una totale autonomia del significante. Anche da queste esperienze prende le mosse la poesia visiva. A Firenze, nel 1963, dall’incontro tra Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, nasce il Gruppo 70, al quale successivamente prenderanno parte anche Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Luciano Ori, seguiti da Mirella Bentivoglio, Giuseppe Chiari, Emilio Isgrò, Michele Perfetti e Sarenco. Essi utilizzano immagini decontestualizzate in forma di lacerti iconici, fotografia, disegno, figure a stampa, poi riconnesse con la tecnica del collage o della scrittura giustapposta, sempre in una rivisitazione dissacratoria e talvolta ironica dei mass-media, aspetto fondamentale anche della pop art. I poeti visivi sanno che la società opulenta si alimenta delle immagini che essa stessa produce e per questo cercano di scomporne i messaggi in brandelli, frammenti e scorci, per ricontestualizzarli in testi visivi che minano le false certezze compiaciute della comunicazione originaria, dai quotidiani alla pubblicità, che presuppongono un atteggiamento passivo e compiaciuto da parte del fruitore. Per coloro che volessero approfondire ulteriormente questo periodo della ricerca verbo-visiva, segnalo tra le migliaia di risorse online, il bel sito Culture del Dissenso a cura dell’Università agli Studi di Firenze (www.culturedeldissenso.com), l’archivio Spatola (www.archiviomauriziospatola.com) e la Fondazione Bonotto di Molvena all’indirizzo www.fondazionebonotto.org
Negli anni successivi la ricerca poetica va progressivamente a compenetrarsi nel più vasto territorio della sperimentazione interdisciplinare delle arti in una direzione concettuale che, raccogliendo tutte le esperienze trascorse, perviene ad una unità espressiva dove non è sempre possibile distinguere ambiti settoriali definiti. Il termine visual poetry viene adoperato ovunque, in Europa come negli Stati Uniti, in ambiti estetici sempre più versatili e inclusivi, tali da sovrapporsi all’arte concettuale, alla nuova scrittura, alla performance, al libro d’artista, all’installazione, in un territorio che appartiene sempre più alle arti visive che non alla letteratura; la centralità è posta principalmente alla riflessione metalinguistica sulla natura del linguaggio e sulla funzione dell’arte. La Fondazione, in modo dinamico e sensibile alla molteplicità delle proposte, ha via via posto l’attenzione su tutte queste esperienze e continua a documentarle con gusto e competenza. Tra le innumerevoli pubblicazioni che trattano il lavoro di poeti e artisti dopo la poesia visiva, segnalo un catalogo ricchissimo e aggiornato di una delle più rilevanti mostre-evento: Visual Poetry. L’avanguardia delle neoavanguardie. Mezzo secolo di Poesia Visiva, Poesia Concreta, Scrittura Visuale, Milano 2014, a cura di Giosuè Allegrini e Lara Vinca Masini (www.museicivici.pavia.it/visualpoetry).
Brescia non è una città tra le altre in questo scenario artistico, al contrario rappresenta sin dagli anni Settanta un centro culturale importante per la sperimentazione poetica. Il contributo di Paolo Berardelli fu decisivo per la città, insieme ad una delle figure principali della poesia visiva, il poeta Isaia Mabellini, in arte Sarenco, artista poliedrico, estremamente attivo, e che sin dal 1964 entrò a far parte del Gruppo 70 di Firenze. Il suo contributo al movimento si contraddistinse per il tono graffiante e caustico con cui elaborò testi epigrammatici utilizzando le tecniche del collage, dell’assemblage o della tela emulsionata in opere di forte impatto e dalla marcata connotazione politica. Fin dai primi anni intraprese un’intensa attività editoriale e organizzativa. Fondatore delle Edizioni Amodulo, fu curatore, nel 1971, della rivista Lotta poetica, poi di SAR.MIC nel 1972, insieme a Eugenio Miccini, crea Factotum Art nel 1977. A Brescia, Sarenco, aprì le gallerie Sincron nel 1967 e, nel 1972, Studio Brescia, all’interno delle quali sostenne il lavoro di numerosi poeti visivi italiani e internazionali. Nello stesso periodo partecipò attivamente alla programmazione della galleria Centro di Paolo Berardelli; ebbe un ruolo determinate nella nascita e nello sviluppo dell’Archivio Denza di Brescia.
Tullia Denza, collezionista colta e appassionata, in contatto con i maggiori artisti dell’epoca come Emilio Isgrò e Mirella Bentivoglio, conservò per anni la propria documentazione nell’appartamento bresciano di residenza, luogo di cultura destinato a restare nella memoria della città. Nel 1972 trasferì il fondo, assieme alla raccolta d’arte, a Rezzato, in una villa di famiglia. La documentazione archivistica fu poi depositata al Mart di Trento nel 2007, contestualmente alla collezione di opere d’arte e alla biblioteca. Per chi voglia approfondire, in attesa di una visita di persona, può consultare i dettagli del fondo alla pagina dedicata del Museo di Trento e Rovereto (http://cim.mart.tn.it/cim/pages/archivio.jsp?aid=1). Dal 25 aprile al 2 giugno 2013 nella Sala dell’Affresco, il Museo di Santa Giulia allestì la mostra Parola, Suono Immagine, con lo scopo di far conoscere questa preziosa raccolta e ricordare, attraverso il contributo degli eredi, la figura di Tullia Denza. Nell’occasione, con il contributo di Emilio Isgrò, fu presentato in anteprima il catalogo generale edito dal Mart, Poesia concreta Poesia visiva. L’Archivio Denza al Mart, a cura di Melania Gazzotti ( https://www.silvanaeditoriale.it/libro/9788836626410). Si può ancora scaricare il depliant della mostra e una bella locandina con un’opera di Michele Perfetti a questa pagina del museo: http://newsletterbsm.movingminds.net/download.asp?nome=10_20130424174141_Scarica%20il%20pieghevole.pdf.
Sempre a Brescia, negli anni Ottanta, un piccolo gruppo di poeti vicini alla rivista Percorsi -chi scrive ne era parte-, furono promotori di una serie di personali di poeti visuali italiani e stranieri e crearono un gruppo di documentazione presso il Centro Socioculturale di Mompiano. Tra le altre, ricordo l’esposizione Figura/Partitura del 1982, ideata da Giovanni Fontana, e Ambient’Azione Poetica nel 1986, con la presentazione di Gaetano Barbarisi e Mirella Bentivoglio presso il Punto Einaudi di Brescia, allora dotato di un grande spazio espositivo in via Gramsci. Al centro della rassegna, poi riproposta alla Galleria Artestudio Morandi di Ponte Nossa, era la relazione di contiguità tra spazio della poesia, la sua fisicità materica, e lo spazio della poiesis, campo d’azione e movimento nel continuum di luoghi eletti nell’azione poetica. Il gruppo di lavoro destò grande interesse di pubblico e contribuì a consolidare in città l’interesse per questa forma di arte oltre i confini della provincia.
In un’area prossima alle sperimentazioni poetiche, ma autonoma nei presupposti estetici, è l’opera di un altro bresciano, Guglielmo Achille Cavellini, pittore e performer, uno dei maggiori collezionisti dell’astrattismo contemporaneo italiano, più in generale dell’arte del secondo Novecento. Negli anni Sessanta Cavellini cede in uso al Comune di Brescia una vasta collezione di queste opere, poi esposte in una mostra del 1964 al Museo di Santa Giulia. Dopo una prima fase contraddistinta da lavori squisitamente pittorici, negli anni Settanta Cavellini opera nel campo della mail art e inventa le Mostre a Domicilio; conia il termine Autostoricizzazione, uno stratagemma originale di comunicazione internazionale per l’autopromozione della sua arte; l’operazione, di gusto dadaista, fu una provocazione acuta oltre che una messa in discussione del sistema dell’arte e della critica. Gli adesivi commemorativi hanno tappezzato la città di Brescia per anni, tanto che ancora oggi accade di trovarne alcuni per le vie del centro. Qui val la pena citare almeno le sue performance di scrittura sul corpo nudo di alcune modelle o sul suo indimenticabile abito bianco con cappello, cravatta e soprabito. Accanto alla celebrazione dell’hic et nunc dell’azione poetica, c’è la volontà di esaltare il corpo dell’artista, la sua unicità e irripetibilità. Numerosissime in città sono state le iniziative su Cavellini, prime fra tutte le mostre periodiche allestite da Ken Damy.
Consiglio una visita al sito a lui dedicato https://www.cavellini.org/Documenti/Biografia.html
L’attività della Fondazione negli ultimi anni, anche dopo lo scoppio della pandemia, è stata propositiva e ricca di eventi. Dal dicembre 2018 ha acquisito l’archivio delle opere di Ugo Carrega (consultabile al sito www.archiviougocarrega.it) e ne gestisce la catalogazione. Per quanto riguarda le esposizioni, tra quelle a noi più vicine nel tempo, resta memorabile In Fluenti Traslati, retrospettiva dedicata ad Arrigo Lora Totino, ad un anno dalla scomparsa di una delle figure più rappresentative della poesia verbovisiva, e un allestimento enciclopedico di circa duecentocinquanta opere, pubblicazioni e documenti; in occasione del vernissage vi fu la presentazione del catalogo delle opere, edito dalla Fondazione stessa, a cura di Giovanni Fontana. In concomitanza, l’Accademia di Brera promosse un convegno di studi sull’autore alla presenza di numerosi artisti e critici, tra cui Renato Barilli. Nello stesso anno Berardelli presenta Poesia, Azioni, Parole, una fantastica rassegna open air giunta alla sua terza edizione, allestita in Gallura durante i mesi estivi. Il festival, oltre che momenti espositivi, propone soprattutto eventi di Body Art, Action Poetry e azioni di live painting in stupendi scenari naturali ad opera di artisti provenienti da tutto il mondo. Molto bella la pubblicazione, che ne documenta i momenti salienti e restituisce l’atmosfera ludica e gioiosa delle serate all’aperto. Nel 2020 la Fondazione ha promosso un ambizioso progetto di Lamberto Pignotti, con al centro il tema della sinestesia, un lungo percorso che dovrebbe affrontare i cinque sensi, uno ogni anno, a partire dall’olfatto. In preparazione di queste iniziative, nel giugno del 2020 un singolare allestimento ne ha anticipato il cammino con il titolo Pratiche Sinestetiche. La Poesia Visiva come Arte Plurisensoriale. Su appuntamento, è ancora visitabile, salvo restrizioni di legge, poiché la direzione ne ha posticipato la chiusura al 27 marzo di quest’anno. Come rileva Margot Modonesi, che ne ha curato il catalogo, “la polisensorialità dell’opera di poesia visiva intende specchiare la pienezza della vita quotidiana, fatta di esperienze cognitive sensoriali e di sentimenti e di ricordi”. L’idea di sinestesia è al centro di moltissime proposte attuali e sembra ispirare decine di musei e gallerie. Fra le tante citate, ricordo il festival Synesthesia di Mondolfo (www.synesthesiafestival.it), la serie Seduzione dei Sensi di La Spezia, e ancora, singole esposizioni come al Centro Pompidou di Parigi (www.centrepompidou.fr/en/program/calendar/event/cKGe7Mj) e al Museion di Bolzano (www.museion.it/mostre/). Invito alla lettura del bel catalogo in mostra, consultabile e acquistabile, come tutte le pubblicazioni edite, presso la sede della Fondazione.
(http://www.fondazioneberardelli.org/home.php)
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