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Una confessione | di Elio Marniga

di Elio Marniga – Una mini autobiografia esistenziale, come premessa. Sono nato in una famiglia di tradizionale fede cattolica e in quella educato; ho contribuito a formare una famiglia, nella quale è preponderante la presenza di coloro che, con fede convinta, seguono la chiesa cattolica; di questa io, non con leggerezza, anni fa, ho smesso di frequentare i riti; non per questo i temi religiosi mi sono divenuti estranei; sono, anzi, tra i miei più vivi interessi, anche se sono più propenso a quelli che toccano più da vicino l’uomo di oggi, che qui vive.

Questa premessa a giustificazione del fatto che, questa volta, sfuggo i miei soliti temi per dire di due articoli che il GdB ha dedicato, di questi giorni, occupando un’intera pagina, alla nuova formulazione che papa Francesco, in accordo con la CEI, vuole sia recitata per la frase del Padre nostro: ”Non ci indure in tentazione”. La nuova dizione sarebbe è: “Non abbandonarci alla tentazione.”

Il GdB annuncia l’argomento con il titolo, su sei colonne, che dice: “Canobbio, riflessioni sul Padre nostro: “Le tentazioni sono prove per crescere”. L’autore dell’articolo non mi pare molto in sintonia con Francesco, ma il protagonista è  l’intervistato, monsignor Giacomo Canobbio.

Canobbio, pieno di titoli, è, mi dicono, il maggior teologo bresciano; io lo conosco solo come direttore dell’Accademia Cattolica Bresciana, alle cui conferenze ha assistito più volte; interessanti; peccato non lascino traccia nella società bresciana. E’ teologo, ossia uno che indaga su un qualcosa di cui non è certa né l’esistenza, né l’inesistenza; pratica una professione secolare, che nei secoli non ha fatto un solo passo in direzione dell’uomo; anzi, gli ha procurato lutti e dolori, magari a causa di un virgola o di un accento.

Io sono un incolto, anzi, un ignorante. Però sono un uomo di oggi; che ha domande, paure, incertezze. Un uomo che vive qui e ora. Impudente, non accetto le ambiguità di coloro che si dicono ricercatori del vero e che, invece, non seguono il precetto: “Sia invece il vostro parlare: si, si; no, no; il di più viene dal maligno.”

Canobbio ambiguo? O incapace di giungere a conclusioni logiche? O timoroso di non essere allineato al pensiero dei molti? Il fatto è che, tra le due traduzioni del Padre nostro, egli non sceglie. E’ vero che sotto sotto mi pare prediliga la dizione tradizionale: un Papa che viene dal Sud del Mondo, un mondo senza grande tradizione teologica; un mondo che s’ è inventato quell’obbrobrio di teologia della liberazione….Il fatto è che il teologo non si pronuncia.

Non pronunciarsi è una prerogativa del monsignore. Nel 2009 la benemerita Queriniana ha pubblicato il suo “Nessuna salvezza fuori dalla chiesa?” e il punto di domanda del titolo ti fa sperare in una risposta. Delusione! Quattrocento pagine di dottissime citazioni, utilissime per evitare di pensare in proprio, per giungere alla conclusione che io così sintetizzo: “Tutti si possono salvare, perfino gli atei; però, (e qui viene la sostanza bella), se sei iscritto alla chiesa cattolica è molto più facile; vuoi mettere?”

L’articolo di Alberti si chiude con una frase che butta tutto nel mondo dell’impossibile possibile: “Non dimentichiamo che stiamo parlando di fede, e l’inspiegabile è inesorabilmente destinato a rimaner tale.” Mi chiedo: cosa ha detto di inspiegabile Cristo? Ma procediamo.

L’altro articolo, quello posto a piè di pagina a firma di Massimo Lanzini, ha il titolo meno pretenzioso e mi è piaciuto. Si limita a trattare delle difficoltà che ogni traduttore incontra, specie se si tratta di lingue morte e non vuole giudicare le due formulazioni. Conclude con parole che mi son piaciute molto e che riporto: “Quale testo recitare? Quale Dio pregare?….Forse qui la domanda è destinata a rimanere – per buona parte – aperta. Un rischio che ogni traduzione porta con sé. Un rischio come la vita e la libertà.”

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Redazione BsNews.it

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