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Il Pd e la caccia al cinghiale della Maremma

di Claudio Bragaglio – Nell’offensiva violenta, velenosa, da vero e proprio bracconaggio in atto contro Renzi  ed il PD c’è un intreccio complesso tra il merito della critica politica ed il risvolto di torbide vicende. Un nodo da recidere rapidamente per poter separare le fondate ragioni dell’una, la critica politica, dai torti delle altre.

Evitando così che si stringa pericolosamente  un nodo scorsoio al collo del PD.

Per quel che ha fatto in questi tre anni, allo spregiudicato cacciatore toscano di ieri nulla verrà risparmiato, essendo  diventato –  per molti ambienti dell’establishment e non solo  – la preda  ora da braccare con mute da caccia sempre più aggressive nella boscaglia politica sempre più profonda.

Quindi non parlo degli oppositori politici da sempre espliciti, conseguenti  e coerenti. Dentro e fuori dal PD. Compreso l’ MDP.

Quanto sta avvenendo mi ricorda, per molti aspetti, il torbido periodo conclusivo di Craxi. Il periodo della caccia al “cinghialone”. Si diceva.

Tutto allora cambiava, siamo nel ’90/92, ma Craxi, confidando caparbio sulla sua forza del passato – quella dell’indispensabile, ma ricattatorio Ghino di Tacco – rispose confermando e rilanciando, anche lui da pokerista incallito qual era,  la sua stessa linea politica, blindando attorno a sé il patto di potere centrista del tempo. Il famoso CAF.

Con l’obbiettivo anche di far fuori, ed in modo definitivo, la sinistra comunista allo sbando dopo la caduta del muro ed il crollo del ‘socialismo reale’.

Ma come è ben noto, nel volger di pochi mesi, si ritrovò, da ‘padrone dell’Italia’, ad esser l’uomo poi deriso e svillaneggiato  dalla pioggia di monetine all’uscita dall’Hotel Raphael. Sic transit…

Leggo sul Corriere di oggi che il PD s’è schierato contro la gogna che lo colpisce. Bene. E  che Renzi  “prepara l’offensiva Web”. Sul…Web?! Ci sta, ma sul punto cruciale non ci siamo per niente. Anzi lo si vuol proprio evitare.

Infatti dal prima al dopo il 4 dicembre del Referendum, tutto è cambiato e si è rovesciato. E  non si può più seguire la stessa politica, modificando solo il volume degli altoparlanti mediatici. Altro che scribacchini organizzati a pestar tasti per  Web&Fake. Ci vuole ben altro!

E’ la politica che va decisamente  cambiata, perché Renzi rischia invece di produrre l’effetto del disco rotto sulla ‘solitudine vittoriosa’ del 40% del PD. Che son miraggi da ‘mille ed una notte’, con oasi, palme e variopinte ballerine nel deserto.

E cambiata nel senso indicato dal 80% delle liste di un centro sinistra, ampio ed unitario, delle prossime amministrative. Nel senso del percorso avviato per le prossime elezioni regionali in Lombardia e nei comuni capoluogo come Brescia.

Se Renzi non afferra questo nodo politico decisivo vuol dire che non è ancora uscito dallo psicodramma della sua sconfitta del 4 dicembre. Che è ancora paralizzato.

Pensa per davvero che la sconfitta sia stata tutta opera della congiura dalemiana dei “traditori”?

Se queste son le sue idee fisse si predispone ad una inesorabile e definitiva replica della sconfitta.

Mi ricorda un po’ – come un monito –  la fine di Macondo con i suoi  “cent’anni di solitudine” ed il colonello Aureliano Buendìa, con le sue 32 battaglie combattute, ma nessuna delle quali per davvero mai vinta.

Non basta esigere o predicare il ‘cambiar verso ‘  degli altri senza saperlo – neppure in condizioni di emergenza per il PD ed il Paese-  praticarlo innanzitutto, qui ed ora, per se stesso. Le battaglie sotterranee per il voto anticipato  sbaraccando Governo e Parlamento, o per cento diverse  riforme elettorali  ma poi per mille ostruzionismi a nulla valgono se non si sa (o non si vuol dire) cosa si vuol fare e dove si vuol andare. Se verso la ricostruzione del centro sinistra o tra le braccia di Berlusconi.

Se Renzi non cambia radicalmente linea e prospettiva (anche solo perché non sa, non vuole, non può…) temo si e ci consegnerà ad un prossimo risultato disastroso, analogo al 4 dicembre. Dando purtroppo così ragione a Massimo Giannini… ovvero che, dopo la breve resurrezione delle primarie, dall’isola d’Elba sta andando verso il disastro definitivo  di Waterloo. Suo e del PD.

Le recenti, ripetute  e convincenti uscite di Prodi, tra cui quella sul Corriere di oggi 17 maggio, mi sembra indichino l’unica prospettiva da augurarsi.

L’unica per cui valga la pena  di impegnarsi come PD per il Centro sinistra ed il Paese. L’unica per cui abbia senso politico esser PD e non il passaggio intermedio verso un diverso partito, personale o simil macronista. L’unica che possa positivamente riaggregare in modo costruttivo realtà come quelle del Campo progressista di Pisapia. Ed il cui valore politico e civico è ancor più rilevante pensando agli appuntamenti delle elezioni in Lombardia ed in realtà come Brescia.

Stando dentro nel PD per una diversa prospettiva – insisto – e non uscendone come in queste ore hanno fatto anche il presidente regionale della Direzione lombarda del PD, Onorio Rosati, e Roberto Cornelli, già segretario provinciale dem  di Milano.

Segni allarmanti – ed ulteriori – d’uno smottamento ancora in atto nel PD.

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Redazione BsNews.it

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