Leggere il voto prendendo il bus
di Paolo Corsini* – Al fine di una valutazione dei risultati delle recenti consultazioni elettorali amministrative prenderò le mosse da alcuni riscontri e da considerazioni di carattere generale per poi procedere, con una lente d’ingrandimento ravvicinata, ad un ragguaglio su taluni casi emblematici, atti a suggerire qualche provvisoria indicazione conclusiva. Con una precisazione preliminare: il mio è certamente un punto d’osservazione parziale, politicamente interessato e certamente non coincide con quello più affidabile di un entomologo elettorale o di un sociologo della politica che riflette a freddo e sulla base di una metodologia sperimentata. Il che non mi esime dall’affidarmi agli esiti di ricerche già condotte all’indomani del voto, particolarmente dall’Istituto Cattaneo e dal senatore Pd Federico Fornaro che della sua competenza in materia ha dato proprio recentemente una brillante dimostrazione con un saggio assai documentato, Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 ad oggi, Novi Ligure, Epoké, 2016.
Veniamo al dunque. Il primo dato da sottolineare è costituito dalla crescita diffusa dell’astensionismo. Un fenomeno particolarmente accentuato nei comuni capoluogo e capoluogo di regione dove, per limitarci a questi ultimi, la partecipazione si attesta su di un modesto e preoccupante 55,9 %, risalendo di poco al paragone delle europee, ma in forte calo sia rispetto alle politiche del 2013 che alle comunali del 2011. Non solo un astensionismo cronico, fisiologico, ormai stabile, ma pure uno intermittente, in significativa crescita, e una percentuale assai bassa di elettori costanti. In sostanza un progressivo allineamento a tendenze e comportamenti già affermatisi in molti Paesi, che dice di un’accentuata depoliticizzazione, di disinteresse ed estraneità, nonché rimanda a passivizzazione e protesta, ma pure ad una diserzione attiva come messaggio indirizzato soprattutto al Pd e finalizzato a suscitare correzioni di linea politica, di azione di Governo. Tutti fenomeni che chiamano in causa l’intero sistema politico e le sue forme di rappresentanza, sollevando altresì radicali interrogativi sull’operato delle agenzie di formazione ed educazione, nonché sull’efficacia dei canali di partecipazione, almeno là dove sopravvivono. In secondo luogo va rimarcata la presenza di un elettorato instabile, a forte volatilità, che sembra ridurre considerevolmente il voto di appartenenza e il voto di scambio a tutto vantaggio di un’espressione rancorosa e persino vendicativa della volontà di un elettore dall’opinione "contro", antiestablishment, antipolitica, desideroso di punire la "casta", le élites dirigenti, il ceto al governo.
In sostanza un voto di cambiamento, da non confondere però con trasformazione intesa come soggettività che coltiva un disegno, un progetto in grado di dare forma alle cose. Ma contro chi?, e verso quale direzione? E rispetto a quali assetti di potere? A ben guardare la portata di quanto è avvenuto non consente in alcun modo di derubricare i risultati elettorali a semplice spia di una condizione di sofferenza e disagio locale, limitandone così significato e portata nazionali. Passiamo rapidamente in rassegna alcuni dati. Nel loro complesso le amministrative hanno determinato 99 cambi di maggioranza sui 143 comuni sopra i 15.000 abitanti, sanzionando così la bocciatura di oltre il 65% dei sindaci uscenti. Bersaglio principale di questo sconquasso il centro.-sinistra che accusa ben 67 sconfitte, ma pure il centrodestra e le liste civiche che si ritrovano all’opposizione rispettivamente in 22 e 12 comuni in precedenza governati. Sul versante, invece, delle amministrazioni conquistate è il centrodestra ad ottenere i risultati più soddisfacenti, riuscendo in 34 casi ad affermarsi sugli avversari, mentre il centro-sinistra e le liste civiche riportano un successo, determinando un cambiamento alla giuda delle municipalità, in 23 e 22 casi. A sua volta il Movimento 5 stelle, che in precedenza non controllava alcun comune, presenta un saldo del tutto positivo nel rapporto tra amministrazioni perse e conquistate con ben 20 vittorie di cui 19 nell’occasione dei ballottaggi. A questo riguardo una ulteriore puntualizzazione: al secondo turno centrosinistra e centrodestra escono vincitori ciascuno in circa il 30% dei casi, mentre il Movimento 5 stelle riesce a raggiungere il ballottaggio solo nel 17%, appalesando un’evidente difficoltà ad inserirsi all’interno del classico schema invalso nell’ormai superato sistema bipolare. Il dato politicamente rilevante sta, tuttavia, nella circostanza che il "non partito" di Grillo si rivela una straordinaria, formidabile "macchina da ballottaggio", perché laddove partecipa al secondo turno, soprattutto contro i partiti tradizionali, si assicura praticamente ovunque la vittoria ribaltando gli esiti del primo con rimonte e sorpassi talora sapientemente orchestrati, talora frutto di convergenze per altro largamente prevedibili. È l’affermazione del "nemico del" "mio nemico" contro il candidato meno gradito, confermando così quanto avvenuto in precedenza a Parma e Livorno la dove l’aspirante sindaco era espressione del Pd e del centrosinistra. Un Movimento 5 stelle dunque tendenzialmente "partito della nazione", trasversale, in grado di produrre l’effetto idrovora, di esercitare richiamo a largo raggio, oltre la fattura sinistra – destra e di acquisire consensi tra disparate aree di elettorato quanto al genere, all’età, alla professione, al grado d’istruzione. Chiave di volta del successo la capacità di dare rappresentanza alla delusione e all’insoddisfazione, alla marginalità e al "dolore", alla volontà di punizione della classe politica con la quale i suoi esponenti – per ora e sino a quando? – non sono identificati, denotando un alto grado di elasticità – la differenza percentuale di voti tra primo e secondo turno – e procurandosi un indubbio vantaggio competitivo. Ben oltre anche quello delle liste civiche.
A rendere politicamente denso di significato questo dato sono soprattutto le regioni "rosse": un tempo a scenario statico, consolidato, adesso invece connotate da una contendibilità che muta tendenzialmente gli storici quadri di riferimento. Qualcosa di più di un campanello d’allarme, piuttosto un monito per il Pd e le forze di centrosinistra le quali pure sul versante più radicale incontrano smentite cocenti con risultati assai sconfortanti. Lo sfondamento al centro non è avvenuto e la conquista dei delusi del centrodestra si rivela un miraggio falsificato dalle urne. Un centrodestra per altro che, se unito, continua ad essere protagonista temibile e contendente non certamente prono. Con l’aggravante di una rottura "sentimentale" di settori significativi del popolo della sinistra i quali, se non sono animati da passioni calde che fanno muovere le bandiere, spesso disertano o si rivolgono verso il Movimento 5 stelle, non accettando il ruolo di intendenza che, comunque, a prescindere, è disposta a seguire. Soprattutto se il partito si riduce ad un marchio, ad un arcipelago correntizio, ad un coacervo di famiglie notabiliari, tanto a livello nazionale che locale, ed è guidato dal decisionismo direttista proprio della democrazia recitativa, a conduzione teatrale, del leader. Ed in effetti là dove si mantiene viva una tensione coalizionale – è il caso di Milano e di Cagliari – si vince perchè si è in grado di promuovere mobilitazione, di rianimare i delusi e gli appartati, di far battere un cuore oltre il cono di tenebra, di convincere a votare quanti sono tentati dall’astensione e possono di nuovo riconoscersi in una plausibile agenda programmatica di governo. Un Pd, dunque, aggregativo di forze civiche, di soggetti associativi, di istanze popolari, oltre che di quel che resta di formazioni politiche collocate al suo fianco sinistro. Un Pd abilitato ad evitare le forche caudine di un isolamento penalizzante, capace di dare corpo al sogno clamorosamente fallito a Roma, al di là di ogni previsione, di attraversare l’arco di Costantino. Walter Tocci, il senatore democratico che rappresenta una delle poche coscienze inquiete e critiche del partito, ricorre spesso nei suoi interventi alla metafora del bus, descrivendo un percorso che anche Marco Revelli ha nitidamente tracciato per fornire una plausibile spiegazione – una, molto rilevante, anche se non unica – della sconfitta di Piero Fassino a Torino e con lui di Matteo Renzi. Una metafora applicabile, con le dovute distinzioni, anche a Bologna dove pure Merola ha vinto, ma con un Pd che lascia sul terreno decine di migliaia di voti.
Un tempo si prendeva il bus in centro per uscire dalla città di Moriana, la città con "le porte di alabastro e le colonne di cristallo" e con le distese di "lamiera arrugginita e di muri ciechi con scritte stinte" di cui scrive Italo Calvino, un’icastica raffigurazione del moderno volto urbano. Si poteva così incontrare, inoltrandosi verso le periferie, il popolo della sinistra. Oggi invece si deve viaggiare a ritroso lungo un itinerario geo-politico che rovescia il dominio monopolistico del racconto, rassicurante quanto evasivo e distorcente, di città in risalita rispetto alla marginalità territoriale e sociologica che caratterizza interi quartieri e realtà circoscrizionali, laddove assai marcata è la frattura generazionale e oneroso risulta il deficit di reddito che duramente fa sentire il morso della crisi. Qui l’analisi del voto esaurisce il proprio compito e si distende lo spazio conteso, per nulla predefinito, della politica, dei suoi doveri, delle sue scelte e responsabilità.