di Claudio Bragaglio – Nel mare mosso dei commenti c’è una boa che non va smarrita. Pur sballottati, già dal primo turno elettorale. Una boa che riguarda un possibile – nonché auspicabile – nuovo posizionamento del PD renziano nel sistema politico. Dopo l’obbiettiva crisi del “Partito della Nazione”, con questo voto. E che è già motivo di valutazione critica dello stesso segretario Renzi. Un segnale che va colto anche dalla sinistra del PD, finora divisa proprio su questo punto essenziale. Avendo ritenuto – almeno una parte di essa – che Renzi e il Pd fossero ormai oltre le colonne d’Ercole.

Non che m’illuda. Applico però, con realismo, ad una certa politica quello che l’economista Adam Smith diceva del mercato. Non è dalla benevolenza del fornaio o del macellaio che ci aspettiamo il pranzo, ma dai vantaggi che essi sperano di ricavarne. Quindi si è indotti a parlar bene del loro egoismo e non già della loro umanità.

Alcune cose sono evidenti. L’area del centro destra si mantiene ampia anche dove è divisa. Direi vantaggiosamente “articolata”, a maggior ragione, come a Milano, dove trova anche una leadership come Parisi. Con il partito di Alfano che segue il richiamo di madre natura. Il Pd renziano non sfonda al centro. Il sistema è tripolare, con il M5S, che gioca una partita di primo piano. Il PD renziano paga invece un’oggettiva (e dirompente) schizofrenia: è un partito solitario e maggioritario (nelle aspirazioni) a livello nazionale ma, nel contempo, un partito coalizionale di centro sinistra ulivista (da Milano con Sala, a Cagliari con Zedda). Il bipartitismo infatti non è mai nato. Né nascerà.

Ma con questo quadro qual è il ruolo della sinistra del PD? Quello d’impegolarci tra le troppe sottocorrenti, come ci suggerisce un qualche amico di Brescia? O non piuttosto di superare le fratture per una migliore guida unitaria e pluralista del PD?

Ritorno al fornaio di Smith. Ritengo che Renzi sia un politico puro. Spregiudicato nel gestire politiche diverse tra loro, sulla base d’un proprio calcolo politico. E anche nel “cambiare verso”, come ha già fatto. Può sbagliare, ma non per astratte coerenze. Un paragone che mi viene è un po’ quello con Craxi, quando tra l’89 e il ’91, con il crollo del Muro e la fine del PCI, davanti al bivio tra un’operazione mitterandiana di “rassemblement” dell’intera sinistra e la riconferma d’un patto con la DC del CAF, scelse quest’ultima strada. Segnando così anche la fine sua e del PSI.

Il calcolo renziano di riforma della legge elettorale aveva (forse) una ragion d’essere con un PD al 40%, con un “bipartitismo imperfetto” ed un PD modello “partito della nazione” simil-DC, come perno del sistema politico. Da cui ci separano mesi, ma come anni luce. Oggi il PD, quand’anche – come mi auguro – vincesse il Referendum costituzionale, non uscirebbe dal suo isolamento. E il sistema elettorale dell’Italicum poteva funzionare, ma solo a turno unico. Come nei Comuni al di sotto dei 15 mila abitanti. Assicurando la maggioranza dei seggi al primo che arriva. Ma col doppio turno cambia tutto. Anche perché induce il 70%, che non è PD a coalizzarglisi contro. A maggior ragione in presenza d’una Riforma Costituzionale che rafforza la funzione del Governo, senza troppi contrappesi. E con un percepibile cambio di “sentiment” da parte dell’opinione pubblica nei confronti della figura di Renzi e del suo giglio magico.

Penso che Renzi cambierà l’Italicum, non per convinzione ma per interesse o per stato di necessità. Come il fornaio di Smith. E in direzione d’una logica coalizionale, “ulivista” e bipolare. L’alveo naturale del PD.

A mio parere la sinistra interna dovrebbe lavorare in questa direzione. Con convinzione ed altrettanta lealtà. E chi obietta che tanto sulla sinistra non c’è più nulla, perché guarda al voto per Fassina, non vede che l’area più ampia della “sinistra” è quella che è andata via dal PD verso l’astensione e Grillo. Che il PD rischia il deserto attorno a sé. Che il suo 30% è ben 15 punti al di sotto dell’Ulivo prodiano. Oltretutto ritengo che riformando l’Italicum (più o meno sul modello dei Comuni) e incardinando il progetto di legge per l’elezione del nuovo Senato si creino anche le migliori condizioni – nel PD e fuori – per il successo dello stesso Referendum costituzionale.

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Redazione BsNews.it

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