Bigio e lapide fascista, Orlando (Pd): corretta contestualizzazione? No, solo revisionismo

Con un comunicato il segretario provinciale del Pd, Michele Orlando, interviene sulla questione Bigio e sulla recente lapide fascista riposizionata all’interno dell’istituto Calini di Brescia. Per Orlando “è molto sottile la linea che separa la giusta esigenza di alimentare la memoria storica (anche attraverso i simboli che ne hanno caratterizzato le varie epoche) dal rischio di cadere nel revisionismo e nella riabilitazione (culturale, prima ancora che politica) di periodi storici verso i quali un giudizio di condanna dovrebbe appartenere al patrimonio comune di tutti gli italiani – e continua – E se tali periodi fanno parte della nostra storia recente la linea è davvero sottilissima; per questo sarebbe necessaria la massima attenzione per evitare di superarla”.

Il riferimento è al “Bigio”, certo, ma anche alla lapide di recente scoperta negli scantinati del Liceo Scientifico “Calini” e riposizionata in bella vista, con tutta la retorica d’antan, sintattica e iconografica. “Non voglio entrare nel merito del loro valore artistico-culturale (visto che non ritengo di averne granché competenza…) – annuncia il segretario – mi limito ad una riflessione storico-politica. Il fascismo, in Italia come ovunque, è stato una dittatura; una dittatura che ha cancellato le libertà, lo stato di diritto, la pluralità di pensiero, i corpi intermedi; ha trascinato il Paese in una guerra disastrosa; lo ha impoverito, dal punto di vista economico e sociale. Come tutti i regimi, anche quello ha cercato di rafforzarsi non solo con la violenza e l’intimidazione, ma anche attraverso l’arte, la scultura, l’architettura, la retorica dei comizi davanti a folle oceaniche, nelle pubblicazioni e sulle lapidi commemorative. Poi arrivò il 1943 con la Resistenza e il 1945 con la Liberazione: eserciti alleati e brigate partigiane liberano l’Italia e si cominciò a ricostruire uno stato liberale e democratico, partendo dalla rimozione, pressoché ovunque, di tutto ciò che in qualche modo, e simbolicamente, aveva avuto una funzione di esaltazione del regime fascista. Come era giusto, e inevitabile, che fosse”.

Da qui la riflessione riguardante i giorni nostri: “non regge il ragionamento di chi oggi chiede (nel caso del “Bigio”) o pone in essere (nel caso della lapide al Calini) il riposizionamento di tali simboli – tuona – no, tali azioni non possono essere considerate semplicemente operazioni di riscoperta culturale o artistica, oppure occasioni per ravvivare la memoria storica. Si parla di corretta contestualizzazione? Bene, facciamola, ma avendo ben chiaro che riposizionando queste opere laddove le aveva volute il regime fascista con intenti apologetici (non dimentichiamo che il titolo originario della statua di Arturo Dazzi è “L’era fascista” e non “Bigio” e che la frase del Gen. Diaz impressa sulla lapide del Calini è infarcita di fasci littori dall’indubbio significato) non si contestualizza un bel niente, ma si assume, non so quanto inconsapevolmente, un atteggiamento revisionista e di riabilitazione del regime fascista che non può essere condiviso”. Poi la proposta: “Piuttosto si crei un percorso museale: nel quale – contestualizzate – potranno essere esposte anche queste opere e al termine del quale ciascuno possa continuare a percepire e a respirare il fresco profumo della libertà”.

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Redazione BsNews.it

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