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Redditi 2011, più poveri dipendenti e pensionati. Media sotto i 21mila euro

Redditi 2011, più poveri dipendenti e pensionati. Queste le conclusioni del quarto rapporto dei redditi bresciani, realizzato dalla Commissione Lavoro delle Acli bresciane, che ha analizzato i dati del Caf-Acli relativi alle circa 40.000 dichiarazioni dei redditi presentate nel 2011 (relative quindi ai redditi del 2010). Il reddito medio è sceso sotto i 21mila euro (20.996 euro), più basso della media nazionale (quasi 22mila euro) e regionale (24mila).
I dati analizzati ci consentono di fare alcune considerazioni, che riteniamo ancor più valide poiché coincidenti con i trend individuati anche a livello nazionale da altre ricerche (Centri studi, ISTAT, etc…). Il monitoraggio della rilevazione ci ha in un certo senso consentito di monitorare questa crisi economica, dal suo nascere fino ad oggi.
 
Infatti alcuni indicatori sono per noi stati una spia già con la prima rilevazione del 2008 (redditi 2007, ndr), come le spese per stipula dei mutui per la casa che ci ha rivelato il costante calo dal 2005 (anno massimo di stipule con n. 750) ad oggi (con n. 502) con un calo pari al 33%;
L’aumento dei soggetti che ricorrono all’aiuto di una badante o alla casa di riposo è evidente ma ancora molto basso se teniamo conto dei soggetti analizzati: le spese sono molto alte per cui solo pochi (e comunque con grossi sacrifici) se le possono permettere: c’è da chiedersi quali politiche sociali siano in campo per affrontare questa emergenza;
A maggior ragione se guardiamo alla fascia di reddito più povera, rileviamo che perfino nelle spese sanitarie questi cittadini riescono ad accedervi in misura minore (45,71%) rispetto al dato complessivo (65%). Ma è guardando ai 4 anni che si nota un pericoloso livello di rinuncia all’accesso alle spese sanitarie del – 6,38%. E’ grave, perché stiamo parlando di un diritto/bisogno primario della persona come la salute;
Preoccupante il dato dei giovani al lavoro e delle iscrizioni all’università: nonostante la disoccupazione, molti giovani rinunciano all’istruzione, forse disillusi che la stessa non possa condurre poi a serie prospettive di lavoro.
In questa ultima rilevazione cogliamo un altro indicatore preoccupante, la diminuzione di chi sceglie di proseguire nell’istruzione universitaria. A fronte di un incremento notevole di utenti nella fascia di età più giovane (fino a 25 anni) che quindi scelgono di lavorare, non fa da riscontro un’altrettanto consistente aumento negli utenti che deducono le spese per l’università, quindi scelgono di studiare.
Se guardiamo al mercato del lavoro italiano rispetto all’Europa e al mondo che denota bassa qualità, confermata (dalla ricerca Alma Laurea) sul basso tasso di laureati italiani rispetto alla media Ocse (20% contro 35%), con preoccupazione notiamo che se le scelte sono queste, la qualità non può che peggiorare sempre più. Abbiamo invece bisogno di un sostegno a professioni di alta qualità; quindi un sostegno alla formazione e magari – in tema di riforma del Mercato del lavoro, oggi in corso – di sostenere la formazione permanente lungo tutto l’arco della vita.
Per i giovani di oggi abbiamo però un’altra preoccupazione dopo aver rilevato che la previdenza complementare ha fallito l’obiettivo che si era data. A stipendi bassi di oggi rischia di sommarsi un impoverimento futuro, nel momento in cui questa generazione si ritirerà dal lavoro;
È da notare inoltre che da quando è nato questo rapporto (che è ormai alla quarta edizione), non è intervenuta alcuna novità in termini di detrazioni di imposta. Sappiamo come queste rappresentino da un lato la possibilità per i contribuenti di recuperare alcune somme spese, e dall’altro un modo efficace per combattere l’evasione. Introdurre nuove detrazioni, ben calibrate sui settori dove alta e notoria è l’evasione, porterebbe certamente a rigore, crescita ed equità;
Si evidenzia inoltre una forte differenza nel reddito medio tra le diverse zone della provincia, dovuta sicuramente ai diversi tipi di impiego, ma che deve essere tenuta in considerazione al fine di una adeguata programmazione dei servizi, in epoca di tagli.
Innanzitutto si rimarca con forza la caduta di potere di acquisto dei bresciani, con un decremento importante dei redditi medi a fronte del continuo aumento dei prezzi dei beni di consumo.
Si raschia il barile; l’incremento dell’utenza, in assenza di novità nelle agevolazioni, denota la necessità di recuperare un rimborso seppur piccolo delle spese sostenute. In particolare la prima fascia di reddito nei 4 anni perde uno stipendio e mezzo (1.179 euro) per cui, riuscire a recuperare anche solo 100 euro è importante per cercare di arrivare alla fine del mese;
Dobbiamo anche considerare che in questa faticosa ricerca di quadrare il bilancio familiare c’è chi parte più svantaggiato. Sono in primo luogo le donne, il cui reddito medio è inferiore di quasi 10 mila euro rispetto a quello dei maschi.
Gli stranieri che rispetto al reddito medio complessivo sono penalizzati di 4 mila euro;
Non viene smentita con questa rilevazione la sensazione, ormai diventata certezza, che chi è povero diventa sempre più povero.
Ce né a sufficienza per un ripensamento sostanziale delle politiche a sostegno del reddito e di welfare. Altro che smantellare il welfare, occorre porvi mano, soprattutto in periodo di crisi economica e di finanza pubblica per definire le priorità della spesa: meno opere faraoniche e più politiche sociali.
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Redazione BsNews.it

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