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L’Articolo 18 è il vero problema?

Ci risiamo con l’articolo 18! Ogni tanto rispunta dalle nebbie, occupa prepotentemente la ribalta, poi ritorna nelle nebbie, con la gratitudine dei fabbricanti d’inchiostro.

L’ultimo ad affrontarlo seriamente fu Antonio D’Amato, ottimo presidente di Confindustria, che su questo Moloch offuscò quattro anni di ottimo lavoro al vertice degli imprenditori italiani. Adesso si è risvegliato dal letargo ed occupa la scena di Monti e Fornero, ridando visibilità a sindacati appannati dalla crisi e dagli errori, turbando i sonni ad una Confindustria divisa, i cui i candidati alla nuova presidenza sembrano aver fatto dell’articolo 18 il punto strategico loro programma elettorale, come se altri problemi più importanti non ce ne fossero.

Ma l’articolo 18 è davvero un problema? Anzi, è davvero “Il Problema” per antonomasia, dal quale discendono tutti i guai italiani, come pensa qualcuno? Oppure è un falso problema, come pensa qualcun altro?

Oggi, a giudizio di chi scrive, litigare sull’articolo 18 è soprattutto un errore, che rischia anche di diventare un tragico errore, e spiego il perché.

E’ nato nel 1970, l’articolo 18, subito dopo il “68, con gli sconvolgimenti sociali ed istituzionali che ne scaturirono, e che hanno pesantemente influito sugli ultimi decenni del secolo scorso. Cosa dice? In sostanza, stabilisce che i licenziamenti illegittimi sono puniti, nelle aziende al di sopra di un modestissimo limite di occupati (15), con la reintegrazione nel posto di lavoro, ad opera del giudice. Su questa base, se ne sono poi viste di tutti i colori, grazie anche ad una certa magistratura aprioristicamente schierata, persino in situazioni eclatanti, sempre e comunque in una sola direzione.

Tuttavia, nonostante l’art. 18, in vigore da 42 anni, l’Italia è continuamente cresciuta, l’industria è diventata la quinta nel mondo, le relazioni tra imprenditori e sindacati, tra alti e bassi, hanno comunque consentito la crescita complessiva del cosiddetto sistema paese.

Poi è cambiato il “ritmo” italiano, la politica ha cominciato a suonare una musica diversa, da retrobottega, il “deficit spending” è diventata una teoria con moltissimi seguaci tra gli innumerevoli governi che, mese si e mese no, si avvicendavano a Palazzo Chigi, il malaffare ha dilagato, fino a provocare la fine della prima repubblica. Anche i famosi “lacci e lacciuoli” sono diventati asfissianti, ed il declino è diventato una prospettiva sempre più concreta, nell’indifferenza del potere, con la conseguenza della fuga degli investitori.

L’oggi è sotto gli occhi di tutti. Il declino è conclamato, i tecnici sono chiamati ad evitare il default, combattendo mostri come l’inflazione, la disoccupazione, la crescita zero, la corruzione. Il dissesto, insomma, economico e morale.

Toh, in questa situazione, rispunta l’art. 18. A che pro, proprio adesso? A chi giova, proprio adesso? Perché lo vuole l’Europa, dice qualcuno. Suvvia, non scherziamo, non mancano i mezzi a Monti per spiegare all’Europa che i fallimenti sono molto più numerosi, nei tribunali, delle cause per l’art. 18, e che sarebbero ben più numerosi i falsi in bilancio, se non fossero stati eliminati per legge. Avrebbe potuto spiegare facilmente, Monti, a chicchessia, a Berlino, a Parigi, a Londra ed a Washington, che la flessibilità in uscita è un problema importante, ma non è quello prioritario, oggi, in una Italia in cui la disoccupazione dei giovani è a livelli mostruosi, e che gli stranieri investivano, eccome, in Italia, quando già c’era l’art. 18, ma quando l’Italia era un paese serio.

Oggi abbiamo problemi enormi, devastanti, tuttora insoluti, come la legge elettorale, il “porcellum”, che ha tolto la democrazia agli italiani, che non eleggono più, subiscono i diktat dei partiti, una evasione fiscale folle – 120 miliardi di gettito, quattro volte la manovra Monti – un deficit abissale, sempre più alto, sempre più costoso, per la scarsa credibilità italiana, e noi andiamo a riscoprire l’articolo 18! Cui prodest? Nella graduatoria dei problemi non è certo il primo per importanza, è più probabile che sia l’ultimo nella graduatoria delle urgenze. Buttato lì, sul tavolo, è probabile che diventi il sasso nell’ingranaggio, perché blocchi il dialogo ed esploda il conflitto tra PD e PDL, perché svanisca quel prodigioso “consenso”, quella convergenza realizzatasi più attraverso le vie del Signore che per le vie della politica, convergenza che sta tentando di portarci “fuor dal pelago alla riva”.

Rischia, oggi, l’art. 18, di far esplodere i contrasti tra i produttori, tra i datori di lavoro ed i lavoratori, rischia di essere la ragione per cui la destra e la sinistra si inducano a ritirrare il sostegno parlamentare a chi sta lavorando per recuperare una prospettiva per l’Italia. Rischia di essere l’alibi ideale per chi vuole ostacolare il processo virtuoso appena avviato, rimettendo in pista i partiti, le caste, i potentati, i poteri occulti, le organizzazioni a delinquere, tutti coloro che hanno interesse alla destabilizzazione, che vogliono riaprire, al più presto, la stagione dei banchetti.

In questo quadro, le cosiddette parti sociali sono chiamate a comportamenti straordinariamente responsabili. Confindustria non ceda alla trappola di scegliere il suo nuovo presidente all’insegna del pro o contro l’articolo 18. Sarebbe una scelta povera, miope, di scarso respiro, perché i problemi veri sono più strategici e ben più importanti. Ed i sindacati, dal canto loro, evitino il muro contro muro, evitino di riesumare il desueto “all’ordine, compagni”, perché il contrordine arriverebbe presto dai mercati, dalla risalita in sella della politica più deteriore, dall’agonia del paese, in cui parole come flessibilità in entrata ed in uscita rischiano di essere cancellate dal vocabolario.

Bonanni, segretario generale della CISL, ha pronunciato, finalmente, parole di grande buon senso, auspicando che l’art. 18 non si cancelli, ma che se ne faccia una profonda manutenzione. Ecco, la via è questa. Dopo quasi mezzo secolo, la rivisitazione dell’art. 18 sarebbe cosa saggia, in senso assoluto. Consentirebbe di dire all’Europa che gli impegni assunti ad agosto sono stati rispettati, consentirebbe di togliere dal tavolo un masso molto ingombrante ma di urgenza secondaria, consentirebbe a chi vuole lavorare per un’Italia migliore di andare avanti, gestendo le vere emergenze. Consentirebbe ai sindacati di svolgere un ruolo importante in questa nuova partita in atto per lo sviluppo, perché dallo sviluppo viene l’occupazione, e non dall’art. 18, e consentirebbe a Confindustria di non dover scegliere il suo presidente tra falchi e colombe, categorie ormai usurate e fuori corso, ma tra uomini dotati di visione ampia, aperta, innovativa, adeguata al cambiamento che in tutti i paesi ed in tutti gli strati si impone, adeguata ad una tradizione che ha saputo contribuire, e molto, a far grande l’Italia.

Salvatore D’Erasmo

* Presidente Confindustria Bosnia Erzegovina

* Membro Comitato Presidenza Confindustria Balcani 

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Published by
Redazione BsNews.it

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