Mino Martinazzoli con mio padre e mio nonno mi hanno appassionato alla politica fin da bambino, quando li ascoltavo in giardino nelle notti di estate a parlare e a fumare per ore. In una giornata come queste Mino se ne è andato sconfitto da un tumore che ha sfidato fino alla fine con una sigaretta sulle labbra.
Mino, al contrario di quel che i giornali o gli avversari dicevano di lui, era sorridente e scanzonato.
La cosa che gli piaceva di più fare era ridere. Rideva di tutto e di tutti, a cominciare da se stesso. Anche quando ti osservava serio, il lato estremo delle labbra era prontissimo a spiegarsi in un sorriso o più spesso in un riso, per l’appunto.
La politica gli offriva uno spettro infinito di occasioni e personaggi su cui appuntare la sua curiosità e la sua voglia di conoscere.
Mino era originale, innovatore nel linguaggio e nella professione, soltanto dopo nella politica. Sapeva stare nel gruppo, perché era rispettoso dell’esperienza e della leadership altrui, credeva cioè nella capacità dei partiti di filtrare la società e di scegliere la classe dirigente.
Quando venne il suo turno di rappresentare una posizione di guida, lo seppe fare con determinazione ed umiltà, ma anche con grande partecipazione ad una storia che si chiudeva, quella democristiana, per una guerra di potere e di speranza per una storia ideale, quella del popolarismo, che doveva rifiorire.
Mino va ricordato come l’uomo che davanti a Silvio Berlusconi, che, con la propria organizzazione già montata, gli offriva mari e monti in cambio di aiuto si limitò ad offrirgli una candidatura al Senato, congedandolo.
È vero, Berlusconi sfondò con Forza Italia, e Mino, scambiando per una sconfitta una vittoria, se ne andò in silenzio.
Molte volte con lui parlammo di quelle sue dimissioni, che, se non date, avrebbero forse cambiato la storia del Paese, ma lui mi dava sempre la solita risposta: “i voti si contano non si interpretano”.
L’uomo era fatto così, della sua cultura, della sua integrità morale, della sua intelligenza politica questo Paese e questa città non hanno fatto tesoro. Non posso nascondere che Mino fu addirittura in qualche caso sbeffeggiato volgarmente, non solo dai suoi avversari. Capita così agli innovatori. Ma questi uomini servono al Paese e alla nostra città. Ora servono gli uomini con le idee e questi mesi di inanità politica lo hanno evidenziato in modo plastico e drammatico.
L’ultima volta che lo vidi, mi fece una raccomandazione, serio, dopo aver riso sulla malattia e sull’“ultima sigaretta”, come quella di Zeno Cosini: “non bisogna rassegnarsi”.
Caro Mino, non ci rassegniamo e, personalmente, non dimenticherò la tua lezione di uomo scomodo.
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