Ecco il testo integrale del discorso di Adriano Paroli
Ecco il testo integrale del discorso pronunciato dal sindaco di Brescia Adriano Paroli:
Mino Martinazzoli, parlamentare, ministro, sindaco, statista, figlio della nostra Brescia che è qualcosa di più di una Città e di una Provincia.
La nostra comunità oggi si è stretta con tutto l’affetto di cui è capace attorno ai tuoi familiari e ai tuoi amici, alla tua cara moglie Giuseppina, a Giambattista.
Caro Mino il tuo legame con Brescia era saldo, dalla nostra terra hai ereditato la riservatezza, la sobrietà, ma anche la capacità di ascoltare e la volontà di perseguire i più alti valori, quei valori che mai possono essere disgiunti dall’azione politica.
Per noi cristiani, per noi bresciani, laici del Signore e di ogni Signore del mondo, questo che stiamo vivendo è un rito doloroso, ma è un tempo di vita.
Il tuo amico Aldo Moro dal profondo buio del carcere scriveva alla sua carissima Noretta: “Vorrei sapere con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo.” E tutti noi ti abbiamo ascoltato e letto nell’evocazione costante della luce. La luce del venire al mondo, la luce del nostro cielo lombardo, la luce finale del ritorno. E, in mezzo, evocata sempre da te come immagine di riscatto, la luce fioca della riconquista della vita dopo una breve o lunga malattia.
Forse sarebbe più giusto oggi che ha salutarti fossero i tuoi amici più stretti. E allora proverò a ricordarti con le parole che credo utilizzerebbero loro. E i tuoi amici direbbero: “caro Mino, avremmo bisogno di te anche in questo momento in cui dobbiamo parlare di te. Avremmo bisogno delle tue parole, della tua compostezza umana, del tuo modo di intendere il dolore e la rinascita.
Perciò diremo di te usandoti, captando le tue riflessioni, prendendo dal vocabolario della tua moralità espressiva, dal mistero del tuo carisma.
In questo luogo è forte il ricordo di quello che dicesti ad un altro grande sindaco, il sindaco per sempre Bruno Boni, ma i tuoi amici oggi vorrebbero dirti: “carissimo amico Mino Martinazzoli, nel momento del commiato stabiliamo un appuntamento, non ci lasceremo, non possiamo e non ci conviene, è il nostro segno cristiano. Rimettiamoci in fila i vivi e i morti per quello che enunciavi secondo le parole di don Mazzolari, per la pietà per tutti: pietà per me, pietà per noi, pietà per tutti.”
Caro Mino, pietà per il tuo riposo, pietà per il nostro cammino. Pietà.
Ho letto molte parole su di te, ho ricordato molti fatti. Con te ho rivisto la città degli umili e dei riflessivi, il popolo tollerante del lavoro secondo la teoria della tua tolleranza, la politica della mitezza, la persuasione piena che la politica è importante, ma che la vita conta di più della politica.
Tu caro Mino sei stato il testimone dei valori di una comunità, li hai intesi e tradotti in modo convincente, hai riflettuto in modi affilati e profondi e ci hai persuaso che vale la pena frequentare la compagnia umana della vita, ci hai convinto che il nostro privilegio è quello di partecipare all’incontro, e che la vita alla fine è sempre un ritornare, che il destino è uguale, nella democrazia della sofferenza, secondo il segno del normale martirio dell’uomo.
Nel recinto appassionante e impreciso della politica, tu hai sempre incitato a non rompere l’ordine delle regole, a rimanere senza iattanza, secondo un’andatura compassata, senza forzature, aspettando gli amici e gli avversari, ricercando un punto di convergenza, convinto che la controversia sia umana, ma sia disumano assecondarla.
Dicevi che la politica è una disciplina vuota senza la ricerca costante della giustizia sociale e hai osservato i movimenti popolari con rispetto, ne hai seguiti i passi incrociando le ragioni del diritto e del dovere.
Una mattina limpida davanti a Papa Wojtila, sul sagrato della cattedrale hai ricordato la storia, come dicevi tu: “dei Bresciani coraggiosi che hanno camminato, camminano e cammineranno sullo splendore e sul dolore della Terra.” E Brescia ne è orgogliosa, com’è stata orgogliosa quel giorno, di essere interpretata e protetta da un uomo che ha portato in giro Brescia e l’ha incarnata.
Caro Mino, Brescia ti ha amato e Roma ti ha rispettato. E Brescia e Roma oggi sono più povere, più tristi. Come ha scritto il tuo caro amico giornalista di Orzinuovi: “Possono contare sull’eco delle tue riflessioni e non sul suono della tua voce e la visione fisica dei tuoi passi. Ci mancano già da tempo. Ma saperti, là, nella tua casa ci confortava, nella speranza di un’uscita. Sapere che l’ombra di te e la specialità delle tue parole ci avrebbero raggiunto ci rassicurava.”
Caro Mino i tuoi amici sono stati fortunati ad averti avuto nel destino della vita e tu sai di essere stato fortunato per l’amore esteso che i bresciani ti vogliono.
Ecco adesso caro Mino vorrei da ultimo salutarti attingendo alla bisaccia della tua ironia, a quei pensieri fulminanti che riconciliavano, facevano sorridere e aiutavano anch’essi a realizzare di consumare un giorno eguale, alla ricerca di un passaggio di serenità. Appuntando che ci si sarebbe rivisti il giorno dopo. E l’ironia quella dialettale che tu hai usato bene, riprende il modo di lasciarci e non morire, ma secondo l’uso del Canossi “non sei morto sei andato a star via (te set ‘ndat a sta vià)”, dimori da un’altra parte ma sei nei dintorni. E dove andrai i tuoi amici ti disturberanno spesso e tu non mandarli via, ti darebbero del malmostoso, invece sappiamo bene che la tua è stata ed è soltanto una sconfinata timidezza.
Ci congediamo da te con le stesse parole che tu usasti salutando Papa Giovanni Paolo II nella sua visita a Brescia nel 1998 quando dicesti: “… così semplicemente, brescianamente, grazie.”
Brescia ti ringrazia, Brescia ti saluta.