L’ex sindaco di Brescia Trebeschi: mai avuto ambizione per una poltrona
di Federica Papetti – Cesare Trebeschi entra nel suo studio in via delle Battaglia ogni mattina alle sei e dopo avere evaso la posta del mattino continua a studiare quel diritto che lo appassiona da sempre. Ambizioso per sua stessa ammissione, Trebeschi confida che tale sentimento non ha mai coinvolto “la poltrona”, semmai l’attività forense. Sindaco, ma senza alcuna tessera in tasca dal 1975 al 1985, l’avvocato Trebeschi è uno di quei cattolici che “obbediscono in piedi” per qualcuno, un calvinista, per altri, ma in città rimane una delle voci più autorevoli e libere, oltre che prezioso testimone di quasi mezzo secolo di storia bresciana.
Avvocato, sono passati più di venti anni da quando lei era impegnato in prima persona nella vita politica della città e ricopriva la carica di sindaco. Molti di più dagli esordi in qualità di avvocato e di giovane cattolico alle prese con le riflessioni e studi che l’hanno condotta tra gli esponenti più autorevoli del cattolicesimo democratico. Ebbene, come vede oggi la città di Brescia?
I vecchi hanno la fortuna di “vedere dispari” e guardi che non è che 70 anni fa la situazione fosse rosea. Anche la tradizione cattolica deve essere letta con il filtro, io dico, della tradizione vandeana, perché Brescia era più cattolica che cristiana. Senza volere fornire al termine vandeano una connotazione dispregiativa, direi che Brescia era più papista, maggiormente legata a tradizioni formali, poi esistevano fior di cattolici esattamente come oggi.
Lei quindi a dispetto della vulgata che vorrebbe gli anziani un po’ tutti pessimisti, è ottimista?
La generazione della sua età è di gran lunga migliore della nostra, non per merito, ma perché allora esistevano meno ciance ed quest’ultime erano circoscritte a poche persone. Se legge le riflessioni dei docenti questi si lamentano dei giovani, oggi come ieri.
Proprio a pochi passi dal suo studio si è consumata la protesta degli immigrati sulla gru. Una lotta divenuta quasi simbolica (basti vedere gli studenti sui tetti delle università) e che ha polarizzato la città tra chi solidarizzava con i migranti e chi censurava un metodo considerato fuori dall’alveo della legalità. Lei che giudizio si fatto di questa polemica?
Quando è stata proposta un’ ora di silenzio sul sagrato della Chiesa di San Faustino per riflettere sull’iniquità della situazione che si era venuta a creare, io ci sono andato. Quanto alla legalità dobbiamo intenderci sul significato di tale parola perché qualunque azione politica e sindacale è realizzata proprio per superare la legalità in atto. Prenda ad esempio lo sciopero proclamato per un contratto legalmente convenuto o ancora le elezioni, strumento con il quale si tenta di modificare la legislazione in corso. Per giudicare fatti eclatanti come questo è necessario partire dal concetto che “l’uomo è potenzialmente infinito” e tende sempre a superare il limite del finito. Del resto io ammetto un’azione contro una legalità che ti tarpa le ali, però bisogna anche avere la consapevolezza di ciò che si vuole. Spesso ribadisco tale concetto anche di fronte ai magistrati che scioperano o agli avvocati che ne rivendicano il diritto. L’avvocato Bulloni quando ha difeso Lunardi o Margheriti si è sentito apostrofare “ guardi che fa la fine di Lunardi “ e Bulloni si è tenuta ben stretta la toga.
Si può, quindi, resistere anche al “dall’interno”, in questo caso anche nell’esercizio della propria funzione?
A Lonato era insediato un pretore, Emilio Ondei, noto per le sue sentenze originali e quando i tedeschi arrestarono quattro oppositori secondo una procedura illegale, avrebbe potuto scioperare, invece emise una sentenza rimarcando la circostanza che quell’arresto proveniva da un organo incompetente. Credo poi abbia dovuto fare i bagagli. Lo ripeto le toghe appese servono solo alle tarme e soprattutto alle tarme bipedi. Oggi è demodè rifarsi all’autorità di Lenin che diceva “ medici e maestri sono già al servizio dei popoli”.
Oggi sui giornali si legge che il vescovo di Brescia ribadisce il ruolo apolitico della Chiesa e del proprio magistero. Secondo alcuni cattolici, però, monsignor Monari risulterebbe un po’ “timido” rispetto alle prese di posizione di un altro illustre prelato come il cardinale Tettamanzi?
L’anno scorso in occasione dell’inaugurazione del restauro della Chiesa di San Salvatore a Capo di Ponte e di fronte ad una platea in cui non mancava nessuno, giornalisti compresi, monsignor Monari ha detto cose chiarissime fotografando una vera e propria geografia del potere. Io ero molto preoccupato perché sessant’anni prima don Primo Mazzolari, in pieno regime, aveva fatto più o meno la stessa cosa. San Giovanni dal fondo della galera dice “non licet tibi”, non ha detto a Erode che non è lecito, ma che non lo era per Erode perché uomo di governo. Monari fece un ‘omelia molto chiara, così chiara che nessuno l’ha riportata. Anche Erode, che stimava il Battista, era tenuto per il collo dalla sua amante e dalla pletora di ciambellani che nulla dicevano. Era davanti ai loro occhi che non voleva perdere la faccia, davanti a quelli che aspettavano in silenzio. La colpa è di chi tace.
Lei ha un po’ il dente avvelenato con i media locali?
Stimo Massimo Tedeschi, ma ritengo che il Giornale di Brescia continui a mettere in evidenza voci sbagliate, non cerca voci libere.
Perché?
La ragione affonda nella storia. Durante il ventennio esistevano tre giornali: Il Cittadino, cattolico, La Sentinella, liberal- conservatrice e La Provincia di orientamento zanardelliano, poi è arrivato Il Popolo di stampo fascista. Quattro giornali erano un po’ troppi per una città che allora contava poco più di 70 mila abitanti, quindi gli squadristi, di malavoglia, sono stati costretti a saccheggiare Il Cittadino, hanno imbalsamato La Sentinella e nel 1925 tutti quelli non di regime sono stati soppressi con il pensionamenti di giornalisti illustri come Frassati o Albertini. Il Popolo apparteneva ad una società di galant’uomini che durante la Repubblichina sono stati esortati a donare le proprie azioni che si sono fatti restituire successivamente. Il primo direttore nominato dal Cln fu Leonzio Foresti , assessore in Comune, oggi diremmo un democristiano di sinistra, nonché marito di tale signora Delai, proprietaria di una libreria in via Mazzini che era divenuta un covo di antifascisti. Interrogato su come andavano le cose in Comune o in Broletto scuoteva la testa, ma poco scriveva su quelle cose che andavano così e così. Era un giornale fatto da galant’uomini silenziosi.
Passando al presente e cambiando argomento, lei ha più volte difeso il doppio incarico del sindaco Paroli. Una posizione che si scontra con ciò che denuncia tutti i giorni l’opposizione?
Giarrattana, direttore del Popolo e presidente di Asm, ha avuto modo di difendere Asm, modello economico definito da Mussolini “socialismo municipale” proprio in Parlamento. Il doppio incarico, quindi, può essere necessario. Lo dice uno che non ha visto di buon occhio la fusione anche se, dicono gli analisti economici, la globalizzazione sembra un fatto ineluttabile e il “piccolo” non avrebbe prospettive in un mercato così strutturato. Anche se Einaudi uno dei Presidenti migliori che abbia avuto l’Italia nonostante io continui a sentirmi legato a Pertini, ebbene durante i lavori della Costituente in occasione della discussione dell’articolo 45 quello sulla cooperazione citò il proprio maestro Maffeo Pantaleoni che suddivideva gli economisti in due categorie: quelli che conoscono l’economia e quelli che non la conoscono. Einaudi riprendendo l’aforisma disse che i cooperatori si suddividevano in truffati e truffatori. Che io sappia a tutt’oggi nessuno ha dimostrato il contrario.
A proposito di cooperazione ed enti intermedi è uscito da pochi giorni il libro inchiesta “La lobby di Dio” che indaga la galassia di Cl, una presenza forte anche a Brescia. Lei cosa ne pensa?
Mi piacciono molto i primi capitoli della Bibbia quando si dice che sull’arca di Noè c’è stato posto per tutti, bestiame grosso e minuto e anche qualche uomo. Sia ben inteso io nutro ammirazione per questi giovani di Cl, ma penso che desiderino stare sull’arca nei posti più sicuri.
Avvocato, un’ultima domanda sulla sentenza di assoluzione per la strage di piazza Loggia. Lei se lo aspettava?
Mi aspettavo qualche cosa di diverso. Quando nel 74- 75 ero presidente di Asm feci mettere sugli autobus pubblici una targa che ben riassume il mio pensiero. Inoltre nel primo processo ero nel collegio delle parti civili e vi rinunciai con l’elezione a sindaco, ma non posso dimenticare lo sbigottimenti di fronte alle modalità di conduzione del processo. Già con l’interrogatorio di un ragazzino come Papa sentito dalle undici di sera alle cinque di mattina mi ero fatto l’idea che la responsabilità fosse ben più alta.