Crisi, politica e futuro: lettera aperta

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    Egr. Direttore, ho assistito con piacere, e con molta attenzione, all’assemblea annuale che Compagnia delle Opere ha organizzato lo scorso 4 novembre presso la Fiera di Brescia.

    Nel bel mezzo di una nebbia fitta che avvolge il nostro Paese, e che non accenna a diramarsi, il Presidente Camillo Zola e i qualificati relatori che hanno preso la parola ci hanno offerto analisi profonde e spunti interessanti in merito alla nostra economia e al nostro modo di fare impresa.

    Sono state molte le suggestioni positive e condivisibili. Ho particolarmente apprezzato la descrizione del fare impresa come di una vocazione, una missione da vivere con passione e sacrifico come Riccardo Ruggeri (diventato imprenditore di successo a 65 anni compiuti) ci ha spiegato.

    Mi è piaciuta la semplicità bresciana con cui Fiorenzo Castellini ha raccontato la sua azienda e ha ribadito con forza la necessità di lavorare onestamente.

    La CDO ci ha descritto la crisi come un evento drammatico dal quale però possono emergere anche segnali di speranza: la voglia di resistere e rialzarsi, la capacità di correggere i propri difetti e ripartire poi più forti e competitivi di prima. Una riflessione che ho particolarmente apprezzato.

    Quando un popolo è malato, di solito ringiovanisce se stesso e ritrova, alla fine, lo spirito che aveva lentamente perduto per riscoprire e conservare la sua potenza” ha scritto Friedrich Nietzsche.

    Pur condividendo l’accorato appello a che capitale e lavoro, nel corso di questo avvio tribolato di XXI^ secolo, trovino motivi di forte collaborazione, superando la forte conflittualità che ha segnato il ‘900, ammetto di avere alcuni dubbi su una parte importante del ragionamento ascoltato.

    In termini a volte espliciti e altre volte impliciti, dal palco sono arrivati segnali evidenti di insofferenza nei confronti dell’attuale schema di relazioni industriali nel nostro Paese.

    Sul fatto che lo schema di relazioni industriali uscito dal secolo scorso possa o debba essere modificato ho pochi dubbi anche io. Ma che si lasci intendere che nelle realtà aziendali le associazioni di rappresentanza degli imprenditori e dei lavoratori non siano più chiamate a confrontarsi collegialmente, a favore invece di un modello di imprenditoria illuminata e vagamente paternalistica, nelle cui aziende le condizioni di lavoro e retributive riservate ai dipendenti siano migliori di quanto non succeda in imprese che vedono, secondo schemi tradizionali, una presenza organizzata dei datori di lavoro e dei propri dipendenti, ebbene, questo non mi convince completamente.

    Non sempre la realtà è quella di aziende solide – come quelle presentate – magari operanti in nicchie avanzate del mercato, dove è possibile valorizzare il lavoro in maniera addirittura più vantaggiosa rispetto ai termini dei contratti nazionali. Per crescere un Paese ha bisogno di coesione sociale: continuo a non vedere altre strade che non siano la concertazione tra parti organizzate. Senza per questo precludere spazi di contrattazione territoriale e aziendale, che rispondano più da vicino alle esigenze delle singole realtà che compongono sistemi complessi, che sappiano premiare il coraggio, l’intraprendenza, il lavoro e il merito.

    Anche i collaboratori, i lavoratori debbono stringere i denti, riscoprire orgoglio di sé, della loro opera, di ciò che fanno e delle imprese nelle quali lavorano. E così le grandi organizzazioni sindacali: anch’esse hanno di fronte la sfida della modernità, una sfida difficile, una strada in salita.

    Coesione e collaborazione si conquistano per il tramite delle rappresentanze di datori di lavoro e lavoratori: il pensiero di Sergio Marchionne tra gli altri, quando parla di superamento del contratto collettivo nazionale, non prefigura quel grande Paese che vorremmo continuare ad essere, bensì – temo – la minaccia di una giungla disordinata e conflittuale.

    Questo Paese ha fame di moralità, da troppo tempo mortificata: come ha ricordato Ruggeri questa modalità va ricercata anche nel rapporto tra le retribuzioni dei manager e quelle dei dipendenti.

    Il Presidente Zola ha spiegato infine come il grande assente dell’evento CDO fosse la politica: nessun esponente politico era infatti al palco. Ho capito e apprezzato la scelta provocatoria. Da questa politica non sarebbero arrivate parole chiare né soluzioni convincenti. Forse parole balbettate, figlie di un confuso liberismo antiliberale o di anacronistiche tentazioni neostataliste.

    Ma non ci si deve rassegnare di fronte all’impotenza di questa politica, bensì chiedere innovazione e capacità, insomma una politica nuova, che accompagni i cambiamenti, che li sappia governare.

    Sempre il Presidente Zola ha chiesto qualche settimana fa dalle colonne dei giornali locali di non interrompere quella necessaria e difficile via di efficientamento e risparmio da parte della pubblica amministrazione, senza però rinunciare, specie in una situazione di crisi come questa, anche ad investimenti che diano ossigeno alla nostra economia e migliorino le condizioni strutturali per chi vuole fare impresa. Meno burocrazia, più infrastrutture, più servizi, più formazione e ricerca, maggiori capacità di consumo per i lavoratori e le loro famiglie, per rilanciare il mercato interno. Non di solo export si vive, mi verrebbe da dire: c’è una domanda interna che va rilanciata, pena veder sempre meno competitivo il sistema- Paese nel suo complesso.

    Non sarà facile uscire dal pantano, ma ce la faremo, vivendo inevitabilmente molte e incisive trasformazioni. Servirà, davvero, il contributo di tutti.

    Gianluca Delbarba

    Presidente di Cogeme  

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    1 COMMENT

    1. LA CDO SI LAMENTA DELLA POLITICA? NON HANNO SINDACO DI BRESCIA, ASSESSORI, PRESIDENTE DI A2A E TANTO ALTRO? IO LO TROVO ASSURDO…..

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